ORE 22: FABRIZIO BARCA —MATERIALI PER UNA MAPPA CHE CI AIUTI A TROVARE LA STRADA GIUSTA —SU INCARICO DEL PD, IN PARTICOLARE DI MATTEO ORFINI PER ROMA

 

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    (Su mandato del Commissario del PD di Roma)

MATERIALI PER UNA MAPPA CHE CI AIUTI A TROVARE LA STRADA GIUSTA
(SU MANDATO DEL COMMISSARIO DEL PD DI ROMA)

Mappa il PD Fabrizio Barca Roma
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1. Ipotesi di lavoro

I gravi fatti di collusione fra amministrazione, partiti e criminalità venuti alla luce a Roma e che coinvolgono il Partito Democratico hanno natura fisiologica, prima che patologica.
Essi derivano infatti da due fenomeni concomitanti di lungo periodo:

  1. L’accumularsi di errori nell’azione pubblica di governo della città, specie in quella che avrebbe dovuto assicurare inclusione sociale ai suoi cittadini più vulnerabili (servizi essenziali di urbanizzazione, di sicurezza, abitativi, di cura degli anziani e dell’infanzia, etc).
  2. La progressiva trasformazione del partito in una “macchina per il bilanciamento del potere” priva di riferimento a una visione della città e a un progetto politico e mescolata in forme spesso improprie con l’amministrazione (municipale e comunale).

Sul piano del governo della città, strumenti e regole che in una fase iniziale, nei primi anni ‘90 – in presenza di forte tensione culturale, monitoraggio pubblico e partecipazione politica dei cittadini – avevano prodotto esiti importanti (come l’urbanizzazione primaria delle nuove periferie) si sono successivamente rivelati fragili o addirittura carichi di effetti perversi. Fino al loro uso degenerato dopo il 2008.

Nello stesso periodo la politica locale andava degradando. La nascita del PD non è stata l’occasione per rinnovare la visione di Roma attraverso un confronto di posizioni, ma una tregua armata, talora un compromesso spartitorio, fra gruppi diversi. Si è così tollerato che il partito divenisse strumento di cordate per la scalata al potere: un partito in franchising o feudale, in cui la “casa”, il “simbolo”, il “circolo”, sono presi a prestito per catturare le decisioni pubbliche in cambio voti e favori. A questa piega ha concorso la cinica presa d’atto che “così va il mondo”, che la pace sociale della città o la fornitura di servizi o la realizzazione di infrastrutture richiedessero, stante l’inefficienza pubblica, tolleranza verso nomine non meritocratiche, palesi abusi della concorrenza (nell’assegnazione di lavori o nel trasferimento di pubblici fondi) o addirittura le degenerazioni e le illegalità di cui si aveva sospetto, anche se non se ne era beneficiari. Assai negativamente ha pesato, infine, l’uso strumentale di Roma e della sua visibilità da parte di filiere di potere nazionali.

Il risultato di questa interazione fra indebolimento dell’azione pubblica e perdita di visione e autonomia dei soggetti politici è stato un sistematico rapporto perverso tra amministrazione e partito. Il partito non serviva più a raccogliere e traghettare fabbisogni, idee e possibili soluzioni dalla comunità di iscritti e cittadini agli amministratori, a tenere gli amministratori sotto controllo; il partito serviva ora a stabilire rapporti privilegiati e chiusi con gli amministratori.

È in questo schema che si sono formate diffuse posizioni di rendita e si è poi incuneato il crimine. Per quanto riguarda il governo pubblico, incarichi nell’amministrazione, in Consigli di amministrazione di società pubbliche, in consorzi o associazioni beneficiarie di commesse pubbliche sono avvenuti al di fuori di una logica di concorrenza sul merito e sono divenuti luogo dello scambio tra economia e politica, di arricchimento o affermazione personale senza riferimento al risultato. Per quanto riguarda il partito, sono venute meno la volontà e la capacità di comprendere e di connettersi con i fermenti innovativi della società romana, di costruire con loro una visione del futuro, di attrarli per rinnovarsi.

L’insieme di questi comportamenti ha relegato in un angolo, ha tolto credibilità davanti ai cittadini, ha spesso reso invisibile il lavoro di centinaia e centinaia di iscritti e volontari che nel PD continuavano e continuano a credere come comunione di valori e di impegno per cambiare in meglio le cose. E’ proprio questo lavoro, svolto nella fiducia che il “cambiamento” non possa tardare, che nell’ultimo voto cittadino ha introdotto importanti elementi di rinnovamento nella guida dei Municipi e del Comune, erigendo una difesa contro la deriva clientelare e affaristica. Ma la dominanza del partito feudale, il tempo che le sue pratiche sottraggono all’impegno nella società, le distorsioni che esso produce, impediscono che questo lavoro prosegua e lieviti al di fuori delle scadenze elettorali. Impediscono che i progetti di cambiamento facciano rete, maturino nel metodo, divengano prototipi del nuovo.

2. Guardare in faccia i problemi

Da questa ipotesi di lavoro discende una conseguenza per tutti noi che il partito vogliamo cambiarlo. Rimuovere dal Partito Democratico le “mele marce” senza costruire un metodo di lavoro del partito e una sua visione sul futuro e sul governo della città e dei municipi si rivelerebbe atto di corto respiro, destinato a essere presto seguito – nella consueta sorpresa generale – da una recrudescenza dei fenomeni degenerativi.

All’indispensabile azzeramento delle iscrizioni a cui non corrispondano motivazioni congrue con gli obiettivi del partito stesso e quella “partecipazione attiva” prevista dallo Statuto (art 2, comma 7) – intervento che spetta alla struttura straordinaria designata dagli organi nazionali – è indispensabile che si affianchi allora una riflessione coraggiosa sulla missione del partito, sulla sua organizzazione, sui suoi raccordi con la società e con il governo della città. Bisogna chiedersi in che modo costruire un’organizzazione aperta, che elabori idee in collaborazione e dialogo con la società, che le porti in maniera trasparente ai livelli decisionali, che controlli l’attuazione e contribuisca alla sua valutazione. E che, in tutto questo, sia capace di far emergere una classe dirigente rinnovata. Un partito moderno, insomma.

Per gettare le basi di tutto questo, per trovare la strada giusta, per apprendere e ripartire dalle esperienze migliori nascoste nel partito dei circoli, è necessaria una “mappatura” dei punti forza e di debolezza, del buono e del cattivo, dei singoli circoli della città. E serve che questa mappatura tenga conto delle regole e della prassi dell’azione pubblica con cui il PD è andato interagendo. E che i suoi esiti siano subito resi pubblici in formato di open data.
E’ questo il compito che il Commissario del PD romano ha affidato a Luoghi Idea(li).

3. Finalità della mappatura: partito buono e partito cattivo

L’indagine sui circoli del Pd deve rispondere alla domanda che molti, dentro e fuori il PD, oggi si pongono: è ricostruibile un partito utile ai cittadini? Ci sono davvero punti di forza da cui ripartire? E come? Il partito degenerato è battibile? E come? Ma è davvero utile investire ancora in un partito? Nel PD?

L’indagine rappresenta una “mappatura” perché è geo-referenziata. I problemi della città, i suoi malanni, le sue possibilità di uscita dall’attuale situazione, i lampi di innovazione, hanno il nome di strade, palazzi e quartieri, hanno confini segnati da ferrovie, marciapiedi, percorsi, sopraelevate, reti e dalla distanza dei cittadini dai servizi essenziali. E dunque per capire davvero qualcosa bisogna sovrapporre la mappa dei circoli – dei loro iscritti, anomali o normali che siano, del loro raggio di azione, partecipativa o corruttiva che sia – con la mappa della città vera, dei cittadini, dei loro servizi e disservizi. Lo faremo tenendo conto dei confini per i quali è disponibile informazione statistica: “territorio dei circoli” – la nostra unità minima di rilevazione – sezioni elettorali, sezioni censuarie, Municipi.

Mappa il Pd

 

 

 

 

PER CHI VOLESSE CONTINUANO LE NOTIZIE NEL LINK

 

http://www.luoghideali.it/mappa-il-partito-democratico-roma/

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