ore 20:59 ” Da un’infanzia infelice non si guarisce mai ” — IL BALLO —-IRENE NEMIROVSKY (1903- 1942)—al fondo una mini-noticina di ch.

 

 

 

Il suo lavoro raggiunge un’ampia fama molto tardi : questa arrivò solo nel 2004 (Adelphi 2005)  con la pubblicazione di “Suite francese”, l’ultimo suo lavoro, un romanzo sull’occupazione della Francia, che doveva constare di cinque volumi e la figlia Denise ne trovò solo due nella valigia…per cui restò incompiuto.

 

…Denise conservò tali documenti in una valigia, la stessa in cui li aveva trovati e, per anni, non aprì neppure la valigia forse per il rancore che nutriva nei confronti dei genitori che per salvarle le avevano affidate ad un’amica francese, tale Sig.ra Dumas di cui presero il cognome conservando il loro nome francese. Poi un giorno Denise aprì la valigia e vi scoprì un manoscritto della madre. Ne riconobbe la grafia, il colore azzurro dell’inchiostro preferito [5]. Lo lesse, erano i primi due tomi di un’opera in cinque volumi che resterà incompiuta “Suite Francese”. Tempo dopo Denise parteciperà alla presentazione di un romanzo di una scrittrice francese. Le si avvicinò con in mano una copia del libro per chiederle un autografo. La scrittrice, come si usa per fare una dedica, le chiese : Come ti chiami? ” Denise Epstein” Curioso hai il nome della più grande scrittrice francese del secolo.” Era mia madre – disse subito Denise – posseggo anche un manoscritto inedito ” -. Fu chiamato l’editore che decise di pubblicarlo senza neppure leggerlo e così Irène Némirovsky Epstein scrittrice del tutto dimenticata tornò a vivere riguadagnando un posto nella storia della letteratura francese del ‘900 (tutto da wiki)

 

 

DENISE EPSTEIN, FIGLIA DI IRENE

 

 

 

 

 

Jews wearing the yellow star

Irene Nemirovsky, who died in Auschwitz, has been accused of having hated her own people, the Jews, but The Wine of Solitude reveals that she hated extensively. Source: Supplied

 

traduco, anche se non so …” Irene, che morì ad Auschwitz, è stata accusata di aver odiato il suo popolo, gli Ebrei, ma  ” Il vino della solitudine”, pubblicato in Francia nel 1935, rivela che lei odiava il mondo intero.

 

VISTO  CHE E’ CITATO PER GIUDICARE IN QUESTO MODO  L’AUTRICE…

RICORRO AD ADELPHI

 

 

 

 

 

Il vino della solitudine è il più autobiografico e il più personale dei grandi romanzi di Irène Némirovsky: la quale, pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l’elenco delle sue opere sul retro del quaderno di Suite francese, accanto a questo titolo scriveva: «Di Irène Némirovsky per Irène Némirovsky». Non sarà difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hélène, che siede a tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre, la stessa Irène; e nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di moda appena arrivate da Parigi in quella noiosa cittadina dell’impero russo – e trascura una figlia poco amata per il giovane cugino, oggetto invece di una furente passione – quella Fanny Némirovsky che ha fatto dell’infanzia di Irène un deserto senza amore. Hélène detesta la madre con tutte le sue forze (e si sente morire all’idea di dover posare la bocca su quella guancia che vorrebbe «lacerare con le unghie»), al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere serali, con quello dell’amata istitutrice, «con una vaga speranza omicida». Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a invecchiare, e Hélène avrà diciott’anni: accadrà a Parigi, dove la famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Finlandia, durante la quale l’adolescente ha avuto per la prima volta «la consapevolezza del suo potere di donna». Allora sembrerà giunto alfine per lei il momento della vendetta: «Ti farò piangere come tu hai fatto piangere me!». Ma Hélène non è sua madre – e forse sceglierà una strada diversa: quella di una solitudine «aspra e inebriante». Da un’infanzia infelice, diceva Irène Némirovsky, non si guarisce mai: pochi hanno saputo raccontare quell’infelicità come ha fatto lei.

 

 

Il vino della solitudine è il più autobiografico e il più personale dei grandi romanzi di Irène Némirovsky: la quale, pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l’elenco delle sue opere sul retro del quaderno di Suite francese, accanto a questo titolo scriveva: «Di Irène Némirovsky per Irène Némirovsky». Non sarà difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hélène, che siede a tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre, la stessa Irène; e nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di moda appena arrivate da Parigi in quella noiosa cittadina dell’impero russo – e trascura una figlia poco amata per il giovane cugino, oggetto invece di una furente passione – quella Fanny Némirovsky che ha fatto dell’infanzia di Irène un deserto senza amore. Hélène detesta la madre con tutte le sue forze (e si sente morire all’idea di dover posare la bocca su quella guancia che vorrebbe «lacerare con le unghie»), al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere serali, con quello dell’amata istitutrice, «con una vaga speranza omicida». Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a invecchiare, e Hélène avrà diciott’anni: accadrà a Parigi, dove la famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Finlandia, durante la quale l’adolescente ha avuto per la prima volta «la consapevolezza del suo potere di donna». Allora sembrerà giunto alfine per lei il momento della vendetta: «Ti farò piangere come tu hai fatto piangere me!». Ma Hélène non è sua madre – e forse sceglierà una strada diversa: quella di una solitudine «aspra e inebriante». Da un’infanzia infelice, diceva Irène Némirovsky, non si guarisce mai: pochi hanno saputo raccontare quell’infelicità come ha fatto lei.

 

 

chiara : ” Il ballo” mi è arrivato ieri con Il Sole  e pur avendo l’abitudine di leggere  il giornale, l’ho preso in mano e non ho smesso di leggere fino a finirlo. E’ un piccolo gioiello, la storia di un’adolescente e di una famiglia che, pur diversamente, ripete la storia di Irene e di sua madre, così tanto odiata perché l’ha tenuta “affamata di amore” (frase mia). Ma qui, invece di un omicidio, c’è un finale ” comico”,  che la ragazza nascosta  nella grande sala assiste senza commento per noi, ma che possiamo immaginare godere in pieno…

 


Stese lentamente la mano, la posò sui capelli della madre, li accarezzò con dita leggere, un po’ tremanti.

“Povera mamma…”

 

….

 

” La strinse tra le braccia, e poiché premeva il piccolo viso muto di Antoinette contro la sua collana di perle, non la vide sorridere.

 

….

 

fine.       Parigi 1928

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1 risposta a ore 20:59 ” Da un’infanzia infelice non si guarisce mai ” — IL BALLO —-IRENE NEMIROVSKY (1903- 1942)—al fondo una mini-noticina di ch.

  1. Donatella scrive:

    Una grandissima scrittrice, incontrata per caso.

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