17:37 — DUE STORIE DI FINE MILLENIO ( il XXI ! sarà?) — ALTAN FRANCESCO TULLIO

 

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Francesco Tullio Altan

user:.mau. Maurizio Codogno – Autore

Francesco Tullio Altan al Salone del Libro di Torino 2014

 

Vignetta di Francesco (grande) Altan
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Il lungo fine settimana di festa si è portato via i due cantautori Enzo Jannacci e Franco Califano; noto il primo alla ‘milanesità’ più genuina e all’Italia tutta, l’altro ben noto ai romani, ma non solo, vista la folla accorsa a salutarlo nella camera ardente allestita in Campidoglio. Con la loro dipartita si sono anche rafforzati due partiti: quello di Jannacci, quello ‘dei buoni’ verrebbe da dire, di chi si realizza in vita con due carriere una di cantautore, l’altra di dottore cardiologo, per una storia la cui metà basterebbe a molti. Tante le canzoni simbolo scritte da Vincenzo detto Enzo: ne può valere una, di cui riporto uno stralcio, della fine degli anni ’80, che parla di droga, ma parla molto bene di futuro che non c’è e di altro: «Ma sì se me lo dicevi prima /Ma prima quando /Ma prima no /Eh, si prendono dei contatti /Faccio una telefonata al limite faccio un leasing /Se me lo dicevi prima /Ma io ho bisogno adesso, sto male /adesso /Ma se me lo dicevi prima ti operavo io /Ma io ho bisogno di lavorare io sto male adesso /Eh sto male e sto bene macché il lavoro e mica il lavoro /Posso mica spedirti un charter /Bisogna saperlo prima che dopo non c’è lavoro/prima, capito /E allora è bello /Quando tace il water /Quando ride un figlio /Quando parla Gaber /E allora sputa su chi ti eroina /Perché il mondo sputa Proprio quando nasce un fiore /Perché iniettarsi morte /è ormai anche fuori moda /Perché ce n’è già tanti che son venuti fuori /Oh, sei ancora qua /Vabbé, quanto sei alto /Uno e novanta /Eh eh eh non vai bene /Come non vado bene /Non vai bene…». Uno, un cantautore e uno fra la gente, con cui ‘condividere’ valori veri, tanti amici, con programmi di culto, quelli a cui partecipava, già da vivo.

L’altro con una biografia all’apparenza più sfilacciata: se non dalla parte dei diseredati, (gli piacciono la bella vita e i vincenti) almeno dalla parte dei carcerati (così la libertà è proprio quella dalle sbarre): «Vivo la vita/cosi’ alla giornata/con quello che da’/sono un artista/e allora mi basta/la mia libertà». Frequenta valori meno condivisibili (?): l’ammirazione per il denaro e per quelli che lo sanno spendere; ha sempre molte donne e pochi amici veri (chissà com’è questa equazione si ripete uguale in tante storie), eppure con i suoi strumenti è capace di stigmatizzare perfettamente una società di parvenue con testi come ‘Piercarlino’ che le radio trent’anni fa trasmettevano spessissimo, con i dj che si fingevano scandalizzati (un testo che oggi tra tanti Pier-vari e mollezze da corte Luigi XVI passerebbe, forse, inosservato): «E’ sempre così, tu stravaccata a letto, /io a fa’ nottata, ar freddo, giù de sotto, /pe’ corpa de ‘sto cane maledetto, /che se nun scenne caca ner salotto. /Mo’ poi vo’ fa’ le corse nel viale /insieme a me, chi perde è ‘n animale! /A vorte incontro gente e me vergogno /ma si ‘n coremo lui nun fa er bisogno. Quanno je scappa è sempre mattinata, /l’avesse mai ‘na vorta anticipata. /Spacca er minuto, ar primo chiaro ‘n cielo, /pare che c’ha la sveja sotto ar culo. /Chi se lo scorda er compleanno tuo /”Comprami un cagnolino amore mio! /Gli starò dietro, hai la parola mia”! /Sei stata dietro a li mortaccia tua. /Da quanno ‘st’animale s’e accasato /nun ho dormito otto ore di filato /e si consideramo che c’ha ‘n anno secondo te quando ripijio sonno? /Fra dieci dodic’anni, quanno more? /È ner frattempo dovrei pure core? /Prima de fa’ ‘sta fine io t’ammollo, /che c’hai ‘n gelone ar posto der cervello! /Me casca ‘n po’ de cenere per tera /e in du’ minuti fai scoppià la guera, vomita er cane sopra li cuscini, /”Povero amore, ha male agli intestini”! /”Mio Dio, cosa ha mangiato giù al viale?” /Le palle de mi’ nonno cor caviale!».

Manifesto di un’Italia, di una classe media che alla fine degli anni ottanta correva acritica incontro al consumismo senza rete (i primi ‘toy dog’ curati come figli); manifesto di una certa romanità e di un (disdicevole) machismo che, però, neppure il buon Jannacci si fa mancare, fra tanti nonsenseprogrammatici: «basta una sottana puttana / che ti monti la testa/ è finita la festa», strofa che nei libretti più recenti appare trasformata in «basta una persona, persona /che si è rotta la testa /è finita la festa». Il manifesto della noia che pervade la fine degli anni ’70, (con un ritorno forse all’ordinario dopo brevi speranze di cambiamento?), la noia per la quotidianità fatta di una relazione stabile, vita borghese, amici ‘scelti’, figuriamoci la noia per le altre incombenze correlate, pensando a Califano, ognuno sa che lo troverà esplicitato in una delle sue canzoni più note: «Si d’accordo il primo anno /ma l’entusiasmo che ti resta ancora /è brutta copia di quello/ che era /cominciano i silenzi della sera /inventi feste e inviti gente in casa /così non pensi almeno fai qualcosa /si, d’accordo ma poi.. Tutto il resto è noia…». I due personaggi hanno dato il loro contributo alla storia della canzone italiana, innegabilmente, sono proprio, però, le diverse biografie a dividere, anche se non sempre, gli ammiratori, e le discussioni ascoltate vertono proprio sul merito da attribuirsi ai due artisti (definiti poeti, cantori della modernità e quant’altro). Il pubblico è andato a salutarli, per l’ultimo spettacolo, con molta commozione, pazientando sotto l’acqua e un tempo, in generale, inclemente che ha accompagnato la Pasqua e la Pasquetta. Certo, chi non già non sopportava lo ‘scioglilinguagnolo nebbioso’ del buon Jannacci, il suo raccontare, anche in maniera onomatopeica, l’impossibilità di comunicare con gli altri se non in un ininterrotto monologo interiore che sembra aver guidato l’uomo e l’artista nel suo particolare percorso biografico, continuerà a non ascoltarlo; chi non sopportava la strafottenza, anche linguistica, del guascone Califano, capace di rialzarsi da molte sventure vere non ultima, anche per lui, la lotta con il male fisico, e altre adombrate (la povertà, l’incapacità di gestire in toto la sua figura pubblica) continuerà a non capirlo. La forza del ricordo degli ammiratori, il tempo, ci racconteranno un’altra storia ancora? (Se.Gr.)

Franco Califano – foto web – 

Vignetta di Altan
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immagine web 

El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore.
El purtava i scarp de tennis, el g’aveva du occ de bun
l’era il prim a mena via, perché l’era un barbun.

(…) E sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam,
e sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!

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Vignetta di Altan 

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Vignetta di Altan 

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Oppure: “A volte ritornano” (quasi sempre)…
Vignetta di Altan 

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Francesco Tullio Altan, più noto come Altan (Treviso30 settembre 1942), è un fumettistadisegnatoresceneggiatoreautore satirico italiano.

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