ATTENZIONE ATTENZIONE TUTTI VOI, BORGHI E RIONI! IL NOSTRO CARI TUTTI : ::: ALBERTO ZANINI / CHIARA PAULETTO E MARCO ZANINI E CHISSA’—HANNO APERTO UN BLOG BELLO DA GUARDARE // CHE IN PIU’ RIESCE A CONIUGARE INTELLIGENZA CULTURA ALLEGRIA E UNA CERTA QUAL “BONOMIA” VERSO IL MONDO, OGGI ASSAI PREZIOSA! NOI RINGRAZIAMO DI AVERCI INVITATI AL BANCHETTO // PENA MI FA SOLO NON ABBIAMO PUBBLICATO UN LIBERO BLOG SUL NOSTRO—ARROGANZA LA NOSTRA? SARA’ IN PARTE, MA SOPRATTUTTO E’ FAME !

 

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L’intervista impossibile a Gabriel Garcia Marquez

 

Dopo lo scalo a Bogotà, sono a Cartagena per “L’Hay Festival di Cartagena de Indias.”hay-festival

Quale occasione più ghiotta per un breve tour, nella città più bella della Colombia, in compagnia di Gabriel Garcia Marquez. L’emozione è forte, ma lui, con il suo sorriso bonario, mi rassicura e incoraggia.

Passeggiamo sulla spiaggia di Bocagrande tra schiamazzi di ragazzini e palloni che sfrecciano impazziti.

<<Parli un italiano discreto. Quando lo hai imparato?>>

<<Venni a Roma nel 1955, avevo 28 anni ero inviato del quotidiano “El Espectador.>> Il mio compito era seguire lo stato di salute del Papa Pio XII. Non ci crederai, ma aveva una crisi di singhiozzo. Feci anche altri articoli, sul Festival di Venezia, sull’omicidio di Wilma Montesi ed ebbi anche occasione di iscrivermi al corso di regia del Centro sperimentale di cinematografia.>>

Camminando sulla spiaggia incontriamo delle donne, con delle vesti variopinte, che tengono sulla testa dei catini di alluminio pieni di frutta tropicale.

<<Queste sono le “Palenqueros”, vendono la frutta. Sono tipiche di Cartagena. Credo che le troverai solo qui.>>palenqueros

Lasciata la spiaggia ci avviciniamo verso il centro storico.

<<Gabo, un giorno hai detto: “Ho avuto una fortuna mal distribuita”. Perché?>>

<<Perché fino a quarant’anni non ebbi né soldi né successo, e dovetti arrangiarmi per mantenere la mia famiglia, facendo mille lavori finché non scrissi “Cent’anni di solitudine”che mi fece diventare famoso.>>

<<Come è nata in te l’idea di Cent’anni di solitudine?>>

<<Avevo diciassette anni quando inizia a scrivere un romanzo che s’intitolava: “La casa de Los Buendias”, ma non riuscivo ad andare avanti con la storia. Accantonai l’idea finché non decisi di riprendere in mano il romanzo e scrissi “Cent’anni di solitudine”. Per anni ho odiato quella storia, perché volevo scrivere un libro e non creare un mito, e per tanti anni sono rimasto prigioniero di quel libro. Non ho scritto la storia della mia vita, ma parla di ricordi, della gente e del mio paese. Il mio libro preferito è: “L’amore ai tempi del colera”, e mi piacerebbe che la gente si ricordasse di me per questo.>>

<<Come mai hai chiamato Macondo il paese dove si svolge Cent’anni di solitudine?>>Mapa-de-Macondo1

<<In realtà Macondo era una scritta che lessi all’ingresso di una piantagione di banani. Dovrebbe essere un albero dei tropici, e con il suo legno si costruiscono canoe.>>

<<Si parla di te come l’inventore del “realismo magico”>>

<<Non credo che sia esatto. Prima di me Borges e Dino Buzzati hanno scritto opere con elementi magici o sovrannaturali che i personaggi accettano senza cercare di spiegarli. Anche questo è realismo magico.>>

Nel frattempo, attraversando piazza S.Domingo, vedo una grande scultura di metallo che raffigura una donna nuda sdraiata.

<<Non conosco questa opera, ma riconosco lo stile dell’autore. Botero e te siete sicuramente i colombiani più conosciuti all’estero. Avete mai avuto dei rapporti artistici?>>la-gorda-gertrudis

<<Questa scultura si chiama “La gorda Gertrudis” che in italiano vuol dire La grassa Gertrude. Io e Fernando eravamo 2 giovani, ed incominciavamo ad essere conosciuti in Colombia, quando nel 1960 scrissi il racconto: “La siestas del martes” e lo proposi al quotidiano El Tiempo, chiedendo però esplicitamente che fosse illustrato da Botero. Venni accontentato e fui molto contento.>>siestas del martes

<<Che rapporto hai avuto con la poesia?>>

<<Molto forte. Fin da giovane amavo leggere le poesie, ogni momento era quello buono. Andavo nella Biblioteca Nazionale, in una sala di musica, a leggere le poesie, e quando era l’ora di chiusura, prendevo il tram e con 5 centesimi continuavo a fare il giro leggendo. La sera terminavo la mia giornata nei fumosi caffè della zona vecchia della città, a chiacchierare di poesie, mentre il mondo faceva l’amore.>>

Siamo nel quartiere di Getsemani e con garbo Marquez mi guida verso un tavolino del Caffè Havana, dove lo scrittore ha ambientato molte sue storie. Con due bicchieri di Ron Viejo de Caldas davanti riprendiamo la chiacchierata.

<<Ho letto che ti piace anche la musica.>>

<<Certamente, anche la musica ha rivestito un ruolo molto importante nella mia vita. Amo molto il violoncello. Per la verità, una volta per scriver avevo bisogno del silenzio assoluto per potermi concentrare, in seguito ho imparato a scrivere con un sottofondo musicale. Quando scrissi “L’autunno del Patriarca”ascoltavo continuamente il Terzo Concerto per Pianoforte di Bela Bartok, e non so come fecero a saperlo, ma quando ricevetti, nel 1982, Nobel per la Letteratura in sottofondo misero quella musica.>> mentre conclude un sorriso illumina il suo viso incorniciato dalle folte sopracciglia.

<<In quella occasione il tuo discorso colpì molte coscienze.>>

<<Citai Faulkner che, quando gli consegnarono il Nobel, disse: “Mi rifiuto di ammettere la fine dell’uomo”. Nel mio discorso parlai della solitudine dei sudamericani, del disinteresse che il mondo aveva per il Sud America, parlai dei desaparecidos, dei colpi di Stato e delle guerre>>

<<Quel giorno ti presentasti in una veste insolita, rompendo un po’ la tradizione che prevede come vestito il frac.>>gabo

<<Indossavo il “liqui-liqui”che è una camicia bianca tipica della zona caraibica. In realtà il frac per me è il vestito dei becchini e dei morti>>

<<Hai abbandonato i tuoi studi universitari per fare il giornalista>>

<<Ricordo che mio padre non ha mai voluto accettare la mia decisione. Ho amato molto fare il giornalista, anche se devo dire che il giornalismo è la forma più bella di morire di fame>>

<<Hai sempre avuto un rapporto molto forte con il cinema, anche in Italia hai avuto modo di frequentare attivamente quell’ambiente. Hai anche finanziato la Fondazione del nuovo cinema latino Americano di San Antonio de Los Banos.>>

<<In quel periodo rilasciavo interviste televisive che mi venivano pagate molto bene, ed io davo quei soldi alla scuola dove insegnavo sceneggiatura. Però sono convinto che con la scrittura si possa fare di più che con il cinema>>

<<La tua meticolosità nello scrivere è rimasta proverbiale.>>

<<Si, sono maniacale, riscrivevo 6 volte ogni romanzo. Voglio avere ben chiara la storia che scriverò, e il primo paragrafo è la cosa più importante e complicata da scriver. Il resto viene di conseguenza.>>

Abbiamo ripreso a camminare e in Plaza Bolivar di fronte a quello che fu il Palazzo dell’Inquisizione vi sono delle panchine. Gabo me ne indica una e dice:<< Quante notti passai a dormire sulla panchina. Non avevo i soldi e non potevo permettermi una stanza>> un sorriso amaro si apre sotto i suoi folti baffi.

<<Si è parlato molto della tua amicizia con Fidel Castro e della tua simpatia per il comunismo>>marquez e fidel

<<Conobbi Fidel nel gennaio del 1959. Ma non capisco perché si attaccano le etichette alla gente. Nel 1957 scrivevo per il giornale El Espectador e feci un reportage sull’Unione Sovietica, Ungheria e Polonia prendendo le distanze da quei regimi. Non sono comunista, non conosco il marxismo e non ho mai letto niente in merito. Vivendo in America Latina ho capito però molte cose comprese le necessità della mia gente. L’amicizia con Fidel si è allargata anche verso il popolo cubano. L’amore io non riesco a spiegarlo, io di solito lo uso l’amore. A proposito di Fidel, ricordo che un giorno lo accompagnai in un viaggio in India. Doveva incontrarsi con il primo ministro Indira Gandhi. Rimasi in aereo ad aspettarlo, ma quando la Gandhi seppe che c’ero anch’io sali sull’aereo perché voleva conoscermi. Diventammo amici e le promisi che sarei tornato in India per visitarla assieme a lei. Poco tempo dopo venne assassinata e io non tornai mai più in India>>

Mentre ci addentriamo nei vicoli stretti del centro storico una languida atmosfera ci stordisce e ci culla, e Gabo mi dice:<<La vita non è quella che uno ha vissuto, ma quella che uno ricorda e come la ricorda per raccontarla. Sarebbe stata una bellissima chiacchierata, se io non fossi morto il 17 aprile 2014.>>

 

Alberto Zanini

Film: 10 Cloverfield Lane

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Anno: 2016

Titolo originale: 10 Cloverfield Lane

Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Durata: 103 min.

Genere: drammatico,thriller,orrore,azione,fantascienza

Regia: Dan Trachtenberg

Produttore: J.J. Abrams,Lindsey Weber

Cast: Mary Elizabeth Winstead,John Goodman,John Gallagher Jr.,Bradley Cooper

Una giovane donna si sta preparando per andarsene. Visibilmente agitata raduna le sue cose e sale in macchina. Sembra che stia scappando dalla sua vita e a confermarlo è il cellulare che suona. La voce dall’altra parte, quella di Ben, presumibilmente il fidanzato, le intima di tornare a casa che si sarebbe risolto tutto. Michelle, questo è il nome di lei, rifiuta il consiglio di Ben ma finisce per distrarsi e rimane vittima di un furioso incidente stradale.

Quando rinviene ha una flebo al braccio, un tutore alla gamba destra ed è sdraiata su un materasso in quella che sembra la cella di una prigione. La porta si apre, ne esce un uomo immenso, dice di averla portata lì appena dopo l’incidente e che vuole tenerla in vita. L’omone si chiama Howard e ha portato Michelle nel suo bunker per proteggerla, ed è estremamente sicuro del fatto che fuori tutti siano morti. Il motivo?A quanto pare nel Mondo è scoppiato un conflitto, forse nucleare, e l’aria ha contaminato tutti conducendoli alla morte. Con loro c’è un’altra persona, Emmet DeWitt, anche lui all’interno del bunker per trovare rifugio dalla catastrofe. E’ vero quello che dice Howard o Michelle e Emmet sono stati ingannati?

 

“10 Cloverfield Lane” è l’opera prima del giovane Dan Trachtenberg, messosi in mostra nella serie TV fanta-distopica Black Mirror. Giunge alla Corte di J.J. Abrams impugnando un soggetto, che secondo lo stesso Abrams, è volutamente legato, attraverso il titolo, a quel “Cloverfield” che nel 2008 lo aveva visto sempre produttore seguendo il lavoro alla cinepresa di Matt Reeves.

Il film si apre con un’apprezzabilissima e fuori moda sequenza di qualche minuto senza parole,che si trasforma in manuale della suspense al momento dell’incidente stradale dove genialmente vengono inseriti i titoli di testa. Dal risveglio di Michelle in poi la trama prende forma pian piano convincendo sempre di più col passare dei minuti. Nel dramma di una situazione poco chiara si originano tutte le circostanze tipiche del caso:i sospetti, la diffidenza, la tensione che scaturisce dai rapporti di persone che non si conosco, costrette a passare chissà quanto tempo della loro vita sotto terra, a proteggersi da qualcosa che non può essere provato. L’unica cosa importante sembra essere stare al sicuro con Howard, personaggio paterno e premuroso, ma anche violento e sicuramente strano. Il suo passato nella Marina e le sue teorie sulle cospirazioni poi di certo non lo aiutano. Eppure Emmet sembra confermare tutto e dargli fiducia. Michelle invece si scontra con Howard perché forte, furba e risoluta e vede in Emmet, praticamente suo coetaneo, l’ancora di salvezza di questa situazione terrificante.

Cinematograficamente parlando “10 Cloverfield Lane” è un capolavoro dove i generi si compenetrano, si mescolano, creando un racconto assolutamente originale nell’intreccio, che senza timore può essere considerato un bel punto di rottura col passato; così come era stato “Quella Casa Nel Bosco”, cult fondamentale per capire il cinema dell’orrore moderno, che aveva visto alla regia niente meno che Drew Goddard che qui figura come produttore esecutivo. Anche “Cloverfield” di Matt Reeves aveva rappresentato un taglio con l’usuale introducendo però addirittura una tecnica nuova di ripresa, con la telecamera a mano, roba da vita in diretta; questo invece è un ritorno alla purezza dell’esposizione dei fatti ma con un’originalità e un uso straordinario del colpo di scena continuo. Questo ciclo di nuovi cineasti, guidati dalla supervisione di Abrams, che ormai è diventato a tutti gli effetti il nuovo Spielberg, costituisce a mio avviso l’entusiasmante avanguardia di un cinema inedito,che si preoccupa giustamente di riscrivere le regole dell’evasione facendo un collage sapientemente orchestrato, con gran gusto e senza tralasciare le abilità tecniche, che qui si palesano di frequente.

E’ un cinema completo dove un amante del cinema, non del genere, rimane sicuramente intrigato e rapito. Il cast,costituito da soli tre attori ricorda la semplicità dell’impianto di cult assoluti come Duel, dove con niente Spielberg aveva costruito una storia ugualmente misteriosa, sadica e di tensione. John Goodman si distingue chiaramente nei panni di Howard, interpretazione magistrale,cangiante e molto complessa. Bene comunque anche Mary Elizabeth Winstead; se io dovessi girare dei nuovi film di Alien, sceglierei lei per re-interpretare il ruolo di Ripley. Normale,perché è un tipo normale Emmet interpreato da John Gallagher Jr., che comunque si impegna per dare qualcosa di nuovo al personaggio.

Il cast finisce qui, salvo Bradley Cooper che è soltanto una voce, quella di Ben.

Insomma, che cosa dire ancora di “10 Cloverfield Lane”? Che deve essere visto, perché ha il grande merito, e non è cosa da poco, di riuscire a mantenere la tensione alta per tutta la sua durata, anche quando sembra che non debba succedere più niente. Dan Trachtenberg, ottimo lavoro, il tuo cinema ha la C maiuscola, pollice super su!

Marco Zanini

Film: Lo chiamavano Jeeg Robot

 

 

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Anno: 2016
Titolo originale: Lo Chiamavano Jeeg Robot

Paese di produzione: Italia

Durata: 118 min.

Genere: azione,fantascienza,drammatico

Regia: Gabriele Mainetti

Produttore: Gabriele Mainetti

Cast: Claudio Santamaria,Ilenia Pastorelli,Luca Marinelli,Stefano Ambrogi,Maurizio Tesei,Francesco Formichetti,Daniele Trombetti,Antonia Truppo,Gianluca Di Gennaro,Salvatore Esposito

Sullo sfondo catastrofico di Roma,colpita da attentati ad opera di movimenti estremisti,Enzo Ceccotti,un ladro da quattro soldi,viene inseguito dalla Polizia per il furto di un orologio. Nella fuga,Enzo finisce sulle rive del Tevere,dove per nascondersi,decide di immergersi. Involontariamente viene a contatto con una sostanza nera contenuta in dei bidoni sott’acqua. Scampato all’inseguimento dei poliziotti,al suo ritorno a casa,Enzo inizia a manifestare stati febbrili che durano per tutta la notte. La mattina però,risvegliatosi,tutto sembra normale. In giornata raggiunge la banda di criminali per cui lavora,capitanata da Fabio Cannizzaro,detto lo Zingaro,per vendere l’orologio rubato il giorno prima. Sergio,un altro membro della banda,propone a Enzo di seguirlo per recuperare della cocaina da due corrieri. Durante l’operazione,qualcosa va storto e in seguito ad una violenta colluttazione Enzo rimane ferito gravemente,ma sembra non presentare alcun risentimento fisico.

Il regista Gabriele Mainetti si affaccia nelle sale con un film decisamente inedito e atipico per il panorama cinematografico italiano. Certo,qualcosa di simile era stato proposto due anni fa da Gabriele Salvatores con il suo “Il Ragazzo Invisibile”,che aveva in qualche modo inaugurato l’interesse per il tema supereroico nel nostro Paese.
Reminescenza del recente passato di corti di Mainetti è anche quella del fumetto,che lo aveva visto impegnato con un simpatico riadattamento di “Lupin” intitolato “Basette”.
Approdato per la prima volta al lungometraggio,il regista romano,offre un omaggio molto personale e quasi per niente inerente al celebre manga e anime “Jeeg Robot D’Acciaio”.

Questo aiuta ad inquadrare il profilo di un professionista della macchina da presa che sicuramente,all’interno delle produzioni italiane,esercita un fascino non trascurabile.

Alla provenienza evasiva del soggetto Jeeg Robot,o di quello che ne rimane,Mainetti incastra una trama che è italiana fino al midollo,ricca di tutti i suoi risvolti tipicamente tragici e realisti. In questo modo l’inverosimiglianza di una forza sovraumana,che permette al supereroe di essere tale,diventa plausibile e ciò sorprende. Inoltre,gli effetti visivi,estremamente semplici,ma non per questo di fattura mediocre,anzi,tutt’altro,consentono a “Lo Chiamavano Jeeg Robot” di essere un film perfetto per il cinema italiano,di sicuro meno per quello statunitense,basato sull’esagerazione e la spettacolarizzazione.
Enzo non è nessuno,è un ladruncolo che vive di piccoli furtarelli per sbancare il lunario,vive in una topaia con la sola compagnia dei suoi DVD porno e di una scorta infinita di budini alla crema che consuma in maniera irrefrenabile. La vita del protagonista offre sicuramente spunti di riflessione sociale,infonde un certo livello di ironia che aiuta a stemperare il tono cupo dell’impasto e costituisce un vago legame con un altro personaggio della storia del cinema quasi dimenticato,quel Lèon di Luc Besson,che consumava latte in quantità industriale,viveva miseramente e si identificava in una personalità ambigua. Certo,Enzo non è un criminale efferato,ma i suoi modi scontrosi e burberi lo ricordano.
Per non parlare del rapporto con la sessualità,che lo vede alle prese con la figlia del collega Sergio. Alessia è una ragazza adulta,ma mentalmente rimasta all’infanzia ed è convinta che Enzo sia Jeeg Robot e di cui per forza di cose si innamora. Lui è un solitario,un reietto della società che vive solamente di pornografia video. E’ chiaro che da una coppia del genere non può che scaturire un rapporto problematico.

I problemi aumentano a causa dei poteri di Enzo,che finiscono per metterlo contro la criminalità stessa che lo ha generato,quasi richiamandolo al dovere morale di porre fine a tutto. Così si snoda il percorso dell’eroe antieroe,dotato di poteri accidentalmente acquisiti.

Nell’opera prima di Mainetti si segnalano l’indiscutibile bravura di Luca Marinelli che interpreta il pazzo e violento Zingaro,di cui si apprezza l’interpretazione anche se stereotipata e già vista in un impianto filmico che prevede un nemico malvivente.
Molto bene a mio avviso anche Ilenia Pastorelli nei panni di Alessia,sempre molto convincente nella parte. La nota abbastanza dolente del cast(al di la’ del fatto che non ho apprezzato molto il personaggio) è Claudio Santamaria,in una prestazione che non lascia il segno e che in qualità di protagonista non sono riuscito ad apprezzare a dovere.

Percepisco la mancanza di un interprete degno per il protagonista come un problema fondamentale del film insieme ad alcune scelte del regista,nel percorso della trama,elementi che non permettono a “Lo Chiamavano Jeeg Robot” di spiccare il volo.
Il film di Mainetti non ha sbancato i botteghini,in Italia comunque non penso si potrà mai parlare di successo economico per un film simile,ma è comunque stato premiato largamente ai David Di Donatello con ben sette statuette.
Dando un giudizio personale sulla pellicola dico che “Lo Chiamavano Jeeg Robot” non è un film perfetto;credo che nonostante la genuinità e la particolarità del progetto ci sia ancora tanto da imparare per rendere al meglio un genere che non ci appartiene. Una parte di me pensa che il cinema dei supereroi non sarà mai realizzato alla perfezione in Italia,ma un’altra parte di me vuole credere che verrò smentito.

Marco Zanini

 

 

Racconto: Anche gli insetti leggono

Grossi alberi punteggiavano la radura, che dolcemente scendeva verso lo specchio d’acqua. Un microcosmo dove il ronzio si mescolava al brulichio incessante ed allo zampettare alacre degli insetti. Nuvole nere e gonfie di acqua, si accavallavano e, come un sipario, si chiudevano velocemente oscurando il cielo. Grosse gocce precipitavano al suolo schiantandosi. La coccinella muoveva leggermente le ali rosse punteggiate di nero, mentre si riparava sotto una foglia di ciliegio, e incassava la testa sotto il torace scuro. Una velocissima e fiammante libellula rossa arrestò il suo volo e si librò in aria muovendo le quattro ali indipendenti, quindi girando la testa a destra e a sinistra, vide la coccinella e la raggiunse sul ramo sotto la grossa foglia. << Appena in tempo, sta arrivando un temporale con i fiocchi.>>

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Libellula rossa

<<Qui siamo al riparo>> disse la coccinella mentre guardava incuriosita una zanzara in volo.

<< Noi abbiamo un forte esoscheletro e bassa massa corporea>>spiegò un’altra zanzara vicino <<riusciamo a non farci travolgere dalla goccia d’acqua molto più grande di noi. Usiamo la tecnica di accompagnare la goccia nella sua caduta, e poi sfruttiamo i peli idrorepellenti, che ci ricoprono, per uscire dalla goccia e volare via.>>

 

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Zanzara

 

Era un via vai concitato tra insetti che si incrociavano veloci, mentre la natura seguiva il suo corso inevitabile di eventi. Sui vari rami gli insetti guardavano tranquille e annoiate la radura in fermento.

<<Le formiche non mollano mai, sempre in movimento ed instancabili>> osservò con invidia la farfalla. <<Come le api d’altronde, una bottinatrice arriva a visitare anche 10000 fiori al giorno.>> rincarò lo stecco. (1)

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Ape

<<Sempre a lavorare, per tutta la vita, giorno dopo giorno fino alla morte. Reclamo il mio diritto a rifiutare questa logica. La vita è lavoro, ma non solo>> sentenziò la libellula con voce ferma e decisa.

<< In attesa che smetta di piovere un buon libro mi farà compagnia >> disse la coccinella cercando di spezzare la sottile tensione che si era venuta a creare, e guardando la libellula perplessa le indicò con uno sguardo la cavità dell’albero <<Se vuoi puoi servirti, lì troverai sicuramente qualcosa che potrebbe interessarti>> Dopo un attimo di smarrimento la libellula prese un libro e incominciò a sfogliarlo, subito imitato dallo stecco vicino a lui. Per quanto potesse sembrare strano un leggero sorriso apparve sulla bocca della coccinella prontamente dissimulato. (8)

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Insetto stecco

Il tempo scorreva lentamente, scandito dal ritmo della natura. La pioggia rallentò d’intensità fino a cessare del tutto. Il cielo ancora coperto aumentò l’oscurità della sera mentre alcune lucciole si illuminarono e il frinire delle cicale accompagnava le attività della radura. Mentre uno scarabeo stercorario spingeva una enorme pallina con le zampe posteriori, la coccinella notò che si muoveva con difficoltà come se non riuscisse a trovare la direzione giusta.

 

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Scarabeo stercorario

Muovendo le ali posteriori membranose si avvicinò allo scarabeo. << Hai qualche problema?>>

<<Quando c’è poca luce faccio fatica a trovare la strada di casa>> rispose lo scarabeo.

<<Fermati un attimo e cerca di orientarti>> consigliò la coccinella. Nel frattempo le nuvole incominciarono ad aprirsi rivelando il cielo stellato. Lo scarabeo alzò lo sguardo, e per un attimo gli occhi composti rifletterono la luce lunare, quindi fece una strana danza sulla pallina e velocemente si rimise in cammino seguendo una linea retta. La coccinella guardò stupita lo scarabeo che si allontanava, e quando i loro sguardi s’incrociarono, mosse le antenne come per salutarlo. <<Non capisco come abbia fatto a ritrovare la direzione di casa così all’improvviso.>>

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Scarabeo stercorario

<<Si orienta utilizzando la luce emessa dalla via lattea , e quando ci sono le serate nuvolose perde la direzione>> spiegò la libellula << è un lavoratore instancabile, fortissimo, e utile perché pulisce la radura dagli escrementi degli altri, ed emette una secrezione che in pratica pulisce le sue zampe e che li rende animali pulitissimi.>>

<<Ho saputo che non molto lontano da qui ci sono decine di libri abbandonati>> continuò la libellula <<Credi che si possano prendere e portare qui nella radura?>> chiese speranzosa la coccinella

<<Sono parecchi giorni che li hanno abbandonati, basta andarli a prendere e portarli qui>> chiosò la libellula

<<Questo però è un bel problema e non di facile soluzione. Ci devo pensare, andrò a dormire e spero che la notte mi porti consiglio>> concluse la coccinella e muovendo le ali volò sull’albero.

Il tepore della mattina dopo accompagnava le attività degli insetti. La pianta di rafano era il posto preferito dalla coccinella, dove passava gran parte della giornata, poi di solito volava di pianta in pianta alla ricerca dei parassiti dei quali era molto ghiotta.

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Coccinella

La libellula, dopo la caccia agli insetti dello stagno, svolazzava pigramente sulla radura. Una zanzara femmina con il suo carico di sangue accudiva i suoi piccoli, e la bella farfalla con le ali azzurre si riposava dopo un lunghissimo viaggio di centinaia di chilometri sospinta dal vento.

 

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Farfalla azzurra

Nel frattempo le formiche operaie continuavano incessantemente a trasportare il cibo, mentre le formiche soldato difendevano i nidi. Le api volavano ininterrottamente di fiore in fiore. Sul ramo in alto, all’improvviso, un rumore di fronde che cadevano segnalavano una presenza. Un’aquila immobile, con lo sguardo attento, scrutava lo stagno, quindi dispiegando le ali riprese a volare alta nel cielo.

<<Hanno trovato su uno degli ultimi alberi in fondo alla foresta resti di un insetto>> disse la farfalla << e sembra che gli indizi conducano alla femmina>>

<<E chi sarebbe la colpevole?>> chiese la coccinella.

<<La mantide religiosa>> rispose ammiccando la farfalla.

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Mantide religiosa

<<Ci avrei scommesso>> rincarò la coccinella, scatenando un’ilarità contagiosa.

Nel frattempo, ai piedi dell’albero, passava lo scarabeo con l’ennesima pallina. La coccinella scese planando ed affiancandolo mormorò qualcosa sottovoce, quindi lo scarabeo riprese il suo cammino. <<Certo che quei libri che mi accennavi ieri starebbero bene in questa radura, ci sarebbe da leggere per tutti>> disse la coccinella.

<<Basta andarli a prendere>> rispose la libellula.

<<Io potrei anche leggere la notte>> disse la lucciola.

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Lucciola

<<Anche a me piacerebbe leggere alla fine della giornata>> aggiunse una farfalla con la spirotromba ancora inzaccherata di nettare. Nella radura ormai in ombra due cimici zampettavano tranquille, quando ad un tratto due masse scure ed imponenti si trovarono sul loro percorso.

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Cimice

<<Buona serata>> disse con voce raschiante il grosso insetto scuro.

<<Buona serata a voi>> rispose con un filo di voce la cimice. Quando i due energumeni furono passati la cimice disse sottovoce al suo compare.<<A me le blatte non piacciono>>

<<Non devi fare di tutta un’erba un fascio>> rispose l’altra << non tutte sono attaccabrighe>>

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Blatta

 

<<Tu fai come credi, a me non piacciono e basta, e spero di non avere mai delle grane con loro, sono anche grossi>> concluse la cimice aumentando la velocità ed allontanandosi in fretta . Ad un tratto nella radura si sentì come un rumore di tuono propagarsi con velocità. Sull’albero la coccinella con lo sguardo attento scrutava in lontananza presagendo cosa stesse accadendo. <<Scommetto che sai cosa è tutto questo frastuono>> affermò sicuro la libellula.

<<Credo di sapere>> rispose strizzando l’occhio la coccinella. All’improvviso un silenzio totale scese nella radura e dietro il polverone, che incominciava a diradarsi, apparvero delle ombre. Pochi attimi e cinque enormi figure aspettavano immobili. La coccinella scese in volo dall’albero e si affiancò agli scarabei. <<Vi stavo aspettando>> disse contenta.

<< Ho portato tre miei fratelli più mio cugino “Rinoceronte” che ti assicuro ci darà una mano, anzi due zampe non indifferenti.>>

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Scarabeo rinoceronte

<<Ottimo, allora il lavoro consiste nel portare tutti i libri che ci sono in fondo al bosco qui nella radura, so che non sarà una passeggiata, ma noi tutti vi saremo riconoscenti per sempre>>

<< Tranquilli incominciamo subito e andremo avanti tutta la notte, se occorre, finché non abbiamo finito. Vero ragazzi?>>

<< Finché non abbiamo finito>> fecero da eco i ragazzi.

<<Si parte allora>> E di buona lena i nostri eroi incominciarono ad andare avanti ed indietro, lavorando tutta la notte.

Era ancora buio, ma l’alba si avvicinava, quando l’ultimo libro venne scaricato nella radura. La coccinella catalogava minuziosamente, mentre gli altri aiutavano a riporre i libri nelle cavità degli alberi. Alla fine tutti gli insetti fecero grandi feste agli scarabei sudati ed esausti ma sorridenti, che si allontanarono in fila indiana cantando soddisfatti, mentre la coccinella guardava le stelle che ancora non erano andate a dormire, ed una di esse per un attimo parve spegnersi per poi accendersi di nuovo, come se volesse sorridere o salutare. O entrambe le cose.

 

Alberto Zanini (I gufi narranti)

Racconto breve: Cani moderni

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La mia vita è cambiata in meglio. Ora posso fare sempre quello che mi pare. In questo momento ha preso il guinzaglio usciamo, venite con me, un po’ di pazienza e inizia lo spettacolo Siamo per strada, tutto normale: sono un cane a passeggio con il padrone, ora mi fermerò ad annusare un po’ più a lungo e ci divertiremo.

Ecco, mi son fermato, annuso. Lui ha provato a tirarmi ma mi oppongo. Armeggia con la giacca. Ha preso in mano lo smartphone giusto? Sbircio un attimo, sì l’ha preso! Bene che lo spettacolo abbia inizio.

Mi metto in equilibrio su una zampa sola, la gente mi guarda stralunata ma lui nulla, sta guardando il telefono, ora tutto il peso sul naso! Ehi guarda com’è bravo il tuo cagnolino gli dico, niente non mi vede. Sta digitado, a stento tiene il guinzaglio.

Aspettate ma cos’è questo profumino? Lo trascino al prossimo albero, lui si lascia portare, mi fermo lo guardo, nulla, è sempre attento a rispondere ai messaggi. Non mi sbagliavo, c’è un bel pezzo di pizza qui, sta tranquillo, scrivi scrivi che io faccio merenda…

Una volta sarebbe stato impossibile, era molto attento a quello che facevo, bastava infilassi il naso in un posto appena dubbio che mi sgridava e mi strattonava il guinzaglio. Ora si lascia trainare dove voglio, essendo lui impegnato a guardare il cellulare sono io che lo porto fuori. Per fortuna mia i bisogni li fa in casa, perché sarò anche un cane equilibrista ed intelligente, ma quelli non son capace di raccoglierli!

Sandra Pauletto (I gufi narranti)

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