Il film ” 7 minuti”, regista Michele Placido, racconta una vicenda di lavoro ambientata in Italia ma realmente accaduta in Francia nel 2012. Undici donne, tra operaie e impiegate, di nazionalità diverse, elette nel Consiglio di Fabbrica, devono decidere se accettare o meno una condizione posta dai nuovi padroni della fabbrica stessa. La condizione sembra innocua, a fronte del mantenere il posto alla totalità degli occupati: si tratta di accettare la riduzione del tempo di pausa, da 15 minuti a 7. L’operaia più anziana, che è a capo del Consiglio di Fabbrica, consiglia alle altre di stare bene attente prima di prendere una decisione: sette minuti sembrano poca cosa, ma moltiplicati per il numero degli addetti diventano un numero impressionante di posti di lavoro non pagati. I nuovi padroni probabilmente stanno saggiando il terreno per vedere la reazione dei lavoratori e poi andare giù più duri: la fabbrica sta andando bene, si lavora a pieno ritmo, ci sono ordinazioni. I 7 minuti in meno fanno intravvedere qualcosa di peggio. A questo punto si apre tra le lavoratrici un dibattito che scopre la storia di ciascuna, ma fa anche affiorare il nuovo spettro che si aggira nel mondo del lavoro e non solo: la paura. Paura di perdere il lavoro, paura di non avere nessun potere, di avere la propria vita e quella dei propri cari sconvolta da decisioni prese chissà dove. La vera ricchezza di ognuno è il tempo: 7 minuti della propria vita di ogni giorno sono assolutamente preziosi, soprattutto in cambio di niente. La paura è il grande male da sconfiggere o almeno da razionalizzare: attraverso la paura, che molte volte non ha neppure permesso di giocarsi la partita, è passato l’annientamento dei lavoratori. Mi sembra questa la verità che emerge dal film.
Guardando queste foto mi sembra di sentire il profumo di zagara della primavera palermitana.
Il film ” 7 minuti”, regista Michele Placido, racconta una vicenda di lavoro ambientata in Italia ma realmente accaduta in Francia nel 2012. Undici donne, tra operaie e impiegate, di nazionalità diverse, elette nel Consiglio di Fabbrica, devono decidere se accettare o meno una condizione posta dai nuovi padroni della fabbrica stessa. La condizione sembra innocua, a fronte del mantenere il posto alla totalità degli occupati: si tratta di accettare la riduzione del tempo di pausa, da 15 minuti a 7. L’operaia più anziana, che è a capo del Consiglio di Fabbrica, consiglia alle altre di stare bene attente prima di prendere una decisione: sette minuti sembrano poca cosa, ma moltiplicati per il numero degli addetti diventano un numero impressionante di posti di lavoro non pagati. I nuovi padroni probabilmente stanno saggiando il terreno per vedere la reazione dei lavoratori e poi andare giù più duri: la fabbrica sta andando bene, si lavora a pieno ritmo, ci sono ordinazioni. I 7 minuti in meno fanno intravvedere qualcosa di peggio. A questo punto si apre tra le lavoratrici un dibattito che scopre la storia di ciascuna, ma fa anche affiorare il nuovo spettro che si aggira nel mondo del lavoro e non solo: la paura. Paura di perdere il lavoro, paura di non avere nessun potere, di avere la propria vita e quella dei propri cari sconvolta da decisioni prese chissà dove. La vera ricchezza di ognuno è il tempo: 7 minuti della propria vita di ogni giorno sono assolutamente preziosi, soprattutto in cambio di niente. La paura è il grande male da sconfiggere o almeno da razionalizzare: attraverso la paura, che molte volte non ha neppure permesso di giocarsi la partita, è passato l’annientamento dei lavoratori. Mi sembra questa la verità che emerge dal film.