LA STORIA E IL FUTURO DELLA FIAT DI MARCHIONNE::: HO DUBBI CHE IL SINDACATO METALMECCANICO CONCORDI CON IL GIUDIZIO (SOTTOL. ) DI PAOLO GRISERI, IL GIORNALISTA CHE SCRIVE…

 

LA REPUBBLICA, ECONOMIA AFFARI E FINANZA, LUNEDI’ 11 SETTEMBRE 2017

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Fca, Marchionne comincia l’ultima rincorsa partner per il lusso e spinoff di Marelli e Comau

La strategia di Torino si ispira alle operazioni Cnh e Ferrari: scorporo di determinate attività e valorizzazione delle produzioni premium in Italia. La capitalizzazione totale è passata finora da 19 a 52 miliardi. il gruppo perdeva sette anni fa 2 milioni al giorno, oggi ne guadagna 5
 

di PAOLO GRISERI

TORINO  – La mattina del 1 giugno 2004 un signore ancora in giacca e cravatta si era presentato nella storica sala del consiglio di amministrazione del Lingotto. Aveva appena ereditato uno dei ruoli meno ambiti nella società, quello dell’amministratore delegato. Con i cronisti era stato lapidario: “Volete sapere qual è la situazione? Perdiamo due milioni al giorno”. Quella mattina il dilemma era: cedere la società, magari a pezzi, o trovare le risorse per investire e continuare a realizzare prodotti in autonomia? Il 2 novembre prossimo lo stesso signore non più in giacca e cravatta, da tempo anzi trasformatosi in uno dei migliori testimonial dei maglioni scuri, presiederà a Londra il consiglio di amministrazione della stessa società. Gli affari vanno molto bene: nel 2016 il gruppo ha guadagnato 5 milioni al giorno e presto tornerà a distribuire dividendi. Oggi il dilemma é: fondere la società con una più grande, tutta o singole parti, o trovare le risorse per continuare a investire e realizzare le automobili in autonomia?

Con la fine, il prossimo anno, dell’era Marchionne, una Fiat profondamente modificata e tornata ad essere appetibile sul mercato, sembra di nuovo tornare al dilemma di partenza. Ma ora è nelle condizioni di realizzare al meglio quella che dalla fine del Novecento è l’aspirazione degli azionisti: cedere le attività meno remunerative dell’auto mantenendo quelle più prestigiose: la Ferrari, scorporata ormai da due anni e, probabilmente, in futuro, il polo del lusso Alfa- Maserati. In un primo tempo anzi gli Agnelli avevano pensato a cedere del tutto le attività dell’auto: questo era stato il senso dell’accordo con Gm stretto ancora dall’Avvocato nel 2000. Ma i debiti del gruppo di Torino erano saliti rapidamente e il deal Fiat-Gm aveva iniziato a vacillare. Proprio con lo scioglimento di quell’accordo è iniziata l’era Marchionne. E ancora fino al 2015 l’ipotesi della cessione sembrava reggere, sia pure nella versione mitigata della fusione con un costruttore molto più grande: quell’anno infatti terminarono (forse) definitivamente i tentativi del Lingotto di convincere la Gm a un deal che avrebbe fatto confluire interamente Fca nel colosso di Detroit. Garantendo comunque a Exor il ruolo di azionista principale in una società estremamente polverizzata.

Le ipotesi. Tramontata questa ipotesi Marchionne ha deciso di premere l’acceleratore nelle operazioni di spacchettamento del titolo. “L’azione Fca va depurata”, ha dichiarato spesso l’ad. L’idea è quella che il titolo sia come una valigia che contiene vestiti anche pregiati ma invisibili. Chi guarda la valigia chiusa la valuta molto meno della somma dei prezzi di acquisto dei vestiti che contiene. Per estrarre valore è dunque necessario aprire la valigia ed esporre la mercanzia. Così ha fatto Marchionne in questi anni e i risultati finanziari si vedono.

Il 30 dicembre 2010, ultimo giorno di contrattazione del titolo Fca originario, la società capitalizzava circa 19 miliardi. Dal gennaio 2011 Cnh (autobus, camion, trattori, macchine movimento terra) è stata scorporata. Una scelta che venne giustificata all’epoca con la necessità di distinguere, depurando le attività automotive da quelle dei veicoli commerciali. Nella convinzione che se un’azione rappresenta attività industriali omogenee viene meglio apprezzata dalle Borse. Risponde a questa logica di “depurare” il titolo anche un altro spinoff passato un po’ inosservato, quello delle attività editoriali di Itedi ( La Stampa ) che, contestualmente all’ingresso nel Gruppo Gedi ( Repubblica ), sono state cedute da Fca a Exor, la finanziaria degli Agnelli. Ed è andando nella stessa direzione che Marchionne si prepara, forse già entro l’anno, a cedere le attività di componentistica di Marelli e Comau.

Gli spinoff. Lo spinoff di Marelli sembra il più imminente. Una prima quota della società potrebbe essere messa sul mercato per fare un prezzo di partenza. Successivamente verrebbe quotata tutta Marelli distribuendola agli azionisti di Fca in proporzione alle quote detenute. In questo modo Exor manterebbe il controllo della società con circa il 29%. L’operazione servirebbe anche ad alleggerire i conti di Fca scaricando dall’attuale indebitamento industriale netto una cifra che si ipotizza vicina al miliardo. In questo caso, se i target del 2017 venissero mantenuti, il Lingotto chiuderebbe l’anno con un indebitamento di poco superiore al miliardo, rendendo molto probabile il raggiungimento di un saldo attivo a fine 2018, obiettivo finanziario finale del piano industriale 2014-18. Risponde soprattutto al criterio di creare valore aprendo la valigia, lo spinoff di Ferrari che in meno di due anni ha portato il titolo a raddoppiare la capitalizzazione e ad avvicinarsi ai 100 euro di quotazione. Le azioni valevano 43 euro il 4 gennaio 2016 quando avevano fatto il debutto a Piazz Affari seguendo di qualche mese la quotazione principale a Wall Street (dove avevano debuttato a 52 dollari e ora sono a 110).

I record della Rossa. Liberata dal contentore Fca la Rossa ha macinato record in Borsa. “Prima – ha spiegato Marchionne – non era possibile per gli investitori apprezzare tutto lo straordinario valore del titolo “. A lungo la Borsa aveva chiesto l’Ipo di Ferrari. Marchionne ha scelto di farla nel momento in cui gli investimenti su Alfa Romeo, 5 miliardi di euro, erano stati fatti e il titolo Fca aveva ormai una prospettiva di progressivo rafforzamento per l’effetto della vendita dei nuovi modelli. In caso contrario un titolo Fca ancora carico di debiti e senza neppure il gioiello Ferrari avrebbe rischiato di affondare. Oggi invece Fca non solo non ha perso ma ha guadagnato rispetto al momento in cui si è divisa da Ferrari. Per ora il bilancio degli spinoff di Marchionne è largamente positivo. Dal 31 dicembre 2010 a oggi la somma delle capitalizzazioni è arrivata a 52 miliardi, 33 in più dei 19 originari. Tutto in meno di sette anni. Se tutte le attività che nel frattempo sono state separate facessero ancora parte di un unico gruppo, oggi Fca avrebbe la stessa capitalizzazione di General Motors.

La Borsa in questo inizio di settembre torna a scommettere su un’altro spinoff, quello delle produzioni premium europee di Alfa e Maserati. Ipotesi che Marchionne non esclude ma che preferisce rimandare nel tempo: “Oggi non mi sembrano in grado di reggere da sole”, spiega l’ad. Aprendo la strada a due possibili scenari: l’attesa che Alfa e Maserati si rafforzino sul mercato fino a conquistare l’autonomia o, in alternativa, la ricerca di un partner con cui realizzare un polo europeo del lusso.

Il ruolo di Bmw Come spesso accade negli ultimi anni i riflettori vengono puntati sui costruttori tedeschi. E il recente accordo tra Fca e Bmw per la ricerca nei settori dell’auto autonoma indica il gruppo bavarese come uno dei possibili partner di quell’alleanza. Che potrebbe realizzarsi contemporaneamente a quel deal con Gm che tornerebbe di attualità in chiave protezionistica nell’era Trump: piuttosto che veder emigrare il marchio Jeep in Cina il presidente potrebbe essere disposto a sponsorizzare una fusione tra Gm e i marchi americani di Fca, Jeep e Ram (i più appetibili) in testa. Uno scenario in cui, ai valori di Borsa di oggi, anche senza Alfa e Maserati gli Agnelli sarebbero i secondi azionisti di Gm dietro al fondo dei sindacati.

Tutti scenari che i rumors di metà agosto su un’offerta cinese per Fca hanno finito per rendere almeno plausibili. Se anche appare oggi difficile immaginare il partito comunista cinese come principale azionista di una delle tre case di Detroit, sembra invece molto più credibile che, azzerato il debito e tornata all’utile, Fca possa finire al centro di diverse offerte più palusibili. Difficilmente però si troverà un partner disposto a rilevare tutto il gruppo. Anche per questo Marchionne continua a spingere sugli spinoff: per liberare valore ma anche per rendere la società più appetibile in eventuali alleanze. Realizzando così nel 2017, alle condizioni più favorevoli agli Agnelli e salvando la struttura industriale, quello “spezzatino” a fini speculativi che nell’aprile del 2005 si temeva avrebbero realizzato le banche se avessero conquistato la quota di controllo del gruppo.

Al termine della parabola della gestione Marchionne, gli insediamenti italiani del gruppo sono stati nella sostanza tutelati. E non era affatto scontato visto il succedersi della crisi aziendale di Fiat dell’inizio degli anni Duemila e di quella strutturale iniziata nel 2008. Proprio il polo del lusso di Alfa e Maserati e, in genere, le produzioni premium sembrano oggi garantire un futuro agli stabilimenti di Torino, Cassino e Melfi (dove si realizzano le utilitarie premium Renegade e 500X). Il principale punto interrogativo riguarda piuttosto Pomigliano che non può certo sopravvivere a lungo con la produzione della Panda. E’ più di una voce quelle che vuole l’assegnazione di un modello premium allo stabilimento campano (forse un’Alfa, forse la nuova Jeep Compass).

I mesi che ci separano dalla presentazione del nuovo piano industriale di Fca, nella prima metà del 2018, saranno dunque decisivi per capire quanta parte delle attuali attività rimarranno in Fca e quali prospettive di alleanza ci saranno per il Lingotto. Certo Sergio Marchionne sta facendo ciò che aveva promesso nell’aprile del 2015 all’assemblea degli azioni di Amsterdam, quando ormai era chiaro che le trattative con Gm stavano andando verso il fallimento: “Con tutta probabilità non sarò io a fare il deal con un grande costruttore. Il mio compito oggi è quello di portare a termine il piano industriale azzerando i debiti e di mettere a posto la cucina lasciando tutto in ordine per chi verrà dopo di me”. Gli spinoff e le operazioni di razionalizzazione del titolo di questi anni altro non sono che un modo per mettere tutte le pentole al loro posto.

(11 settembre 2017)

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