THOMAS PIKETTY E ALTRI::::PER UN TRATTATO DI DEMOCRATIZZAZIONE DELL’EUROZONA ( ” T-DEM ” )

 

 

In dieci anni di crisi economica e finanziaria ha preso forma un nuovo centro di potere europeo: la ” governance dell’ eurozona “. Anche se il nome non traduce appieno il senso di quanto è accaduto- considerata la difficoltà di identificare l‘ istituzione democraticamente responsabile che oggi governa le politiche economiche europee. Si tratta infatti di un bersaglio mobile e indistinto. Nato sotto il segno dell’informalità e dell’opacità, l’ Eurogruppo dei ministri delle Finanze dell’ eurozona funziona oggi prescindendo dai trattati, e non deve rendere il minimo conto al Parlamento europeo né tantomeno ai parlamenti nazionali. Peggio. Le istituzioni – dalla BCE alla Commissione europea, passando per l’ Eurogruppo e i summit dell’eurozona che costituiscono l’ossatura del governo europeo- funzionano seguendo traiettorie che cambiano ad ogni politica proposta, a seconda che si parli dei ” memorandum ” della troika, delle “raccomandazioni di bilancio” del Semestre europeo, delle “valutazioni” delle banche dell’Unione bancaria ecc.

Con ciò, per quanto difformi siano, queste differenti politiche finiscono sempre per essere ” governate”, in forza di un ” nocciolo duro” costituito dall’intreccio sempre più stretto tra le burocrazie economiche e finanziarie nazionali ed europee- direzione del Tesoro francese e tedesca, direttorio della BCF, alti funzionari economici della Commissione europea ecc. Allo stato attuale delle cose, è proprio qui che si “governa” l’eurozona e che si sviluppa il lavoro propriamente politico di coordinamento, mediazione e arbitraggio tra i vari interessi economici presenti. Rinunciando, nel 2012, a riformare quel TSCG ( Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance) che rappresenta una delle pietre angolari del governo dell’ eurozona, François Hollande ha di fatto contribuito al consolidamento del nuovo blocco di potere. Da quel momento, il polo esecutivo europeo si è visto attribuire, una dopo l’altra, nuove competenze. Nell’arco di un decennio, il suo campo di intervento è diventato vastissimo, e interessa ormai le politiche di ” consolidamento del bilancio” ( leggi: austerità), il cordinamento spinto all’eccesso delle politiche economiche degli Stati ( ” six-pack ” + “two- pack” ), l’adozione dei programmi di sostegno degli Stati in difficoltà finanziaria ( memorandum + troika ) e la supervisione di tutte le banche private ecc.

Potente e inafferrabile al tempo stesso, la governance dell’ eurozona si è sviluppata di fatto in una sorta di zona franca rispetto alle politiche di controllo, vale a dire in una sorta di buco nero democratico. Chi controlla, in sostanza, la stesura dei memorandum che impongono riforme strutturali di notevole spessore in cambio dell’aiuto finanziario fornito dal Meccanismo europeo di stabilità ( MES, detto anche Fondo salva-Stati) ? Chi segue l’attività esecutiva delle istituzioni che compongono la troika? Chi valuta le decisioni prese in seno al Consiglio europeo dei capi di Stato dell’ eurozona? Chi sa che cosa si negozia all’interno dei due comitati centrali dell’ Eurogruppo, il Comitato di politica economica e il Comitato economico e finanziario ? Non lo sanno né i parlamenti nazionali, i quali, nel migliore dei casi, controllano soltanto il proprio governo, né il Parlamento europeo, il quale è stato, non per nulla, collocato ai margini del governo dell’ eurozona. Opaco e funzionante, come se fosse protetto da una campana di vetro, il governo dell’eurozona ha, in buona sostanza, ampiamente meritato le critiche che si stanno concentrando su di esso, a cominciare da quella di Jurgen Habermas, il quale non esita a parlare, in proposito, di “autocrazia postdemocratica” !

Ora, questo ripudio della democrazia non è solo una questione di principio o di riequilibrio tra i poteri. L’attuale struttura di potere esercita effetti ben concreti sul tenore delle politiche economiche portate avanti nell’ eurozona. Conduce ad una forma di sordità nei confronti di chi lancia l’allarme o comunque esprime il proprio dissenso -lo vediamo anche adesso di fronte al coro praticamente unanime degli economisti che credono al carattere ineluttabile della rinegoziazione del debito greco. Favorisce una sostanziale insensibilità agli inquietanti segnali politici emessi a questo punto dai voti nazionali, segnali vieppiù indicativi di un’ascesa del populismo di estrema destra. In definitiva, porta a sopravvalutare gli obiettivi legati alla stabilità finanziaria e alla ” fiducia dei mercati” e a sottovalutare i temi che possono maggiormente e più direttamente interessare la comunità dei cittadini – temi che affiorano appena, quando affiorano, come le politiche dell’occupazione, della crescita, della convergenza fiscale, della coesione sociale, della solidarietà, ecc.

Occorre dunque, urgentemente, rafforzare la difesa democratica e cambiare natura alla politica rappresentativa che è il nocciolo delle politiche economiche europee. E’ ormai tempo di uscire dall’opacità e dall’irresponsabilità politica nelle quali evolve il nuovo potere europeo, introducendovi un’istituzione democraticamente eletta. Solo un’Assemblea parlamentare, infatti, può disporre della legittimità necessaria per richiamare l’attuale governo dell’eurozona alle proprie responsabilità politiche. Alcuni  diranno che, per farlo, è sufficiente il Parlamento europeo, ma le cose non sono (più ) così semplici. Perché il governo dell’eurozona non è un’Europa come le altre: non si tratta più di organizzare un grande mercato, si tratta ormai di coordinare le politiche economiche, di armonizzare i vari sistemi fiscali e di far convergere le politiche di bilancio degli Stati; in breve, si tratta di puntare al cuore dei patti sociali degli Stati membri. Per cui è difficile non chiamare a raccolta in modo diretto i parlamenti nazionali- a meno di accettare di spogliarli della sostanza delle loro prerogative costituzionali e di far girare a vuoto le istituzioni di ciascuna democrazia nazionale. In presa diretta con la vita politica degli Stati membri, essi solo dispongono della legittimità necessaria per sostituire, con una vera democrazia rappresentativa, il potente intreccio burocratico intergovernativo che si è costituito da dieci anni a questa parte.

L’Assemblea deve anche avere i mezzi per contrastare l’attività dell’attuale struttura governativa, in merito alla quale non si sa se assolva semplicemente alle competenze istituzionali accumulate nel corso dell’ultimo decennio o se anche, e soprattutto, abbia elaborato, sempre nel corso del decennio, la capacità di definire, tramite la valutazione, lo spazio delle possibili politiche. Per evitare l’istituzione di un parlamento di secondaria importanza, obbligato a sottoscrivere il fatto compiuto o disposto a fungere da camera di registrazione di diagnosi e decisioni prese altrove, occorre mettere l’Assemblea nelle condizioni di partecipare appieno alle politiche di orientamento dell’ eurozona. Il che presuppone la determinazione di una sua incidenza effettiva sull’agenda politica, di un suo contributo alla stesura dell’ordine del giorno relativo ai ” summit dell’ eurozona” e al programma semestrale di lavoro dell’ Eurogruppo. Di più. Presuppone anche la possibilità di disporre di quella capacità d’iniziativa legislativa che fa oggi difetto a un Parlamento europeo che non è in grado di scegliere i propri terreni di battaglia. Ancora di più. Presuppone la possibilità di accesso a ciascuno dei nuclei decisionali del governo dell’ eurozona, si tratti del Semestre europeo ( ” raccomandazioni paese per paese”, ” esame annuo della crescita”, ecc.), della condizionalità finanaziaria dei memorandum, della scelta dei massimi dirigenti dell’ eurozona, ecc. Il  che, in sostanza, passa sia attraverso la costruzione di una capacità di valutazione autonoma e pluralista sia attraverso una competenza di indagine nei confronti di tutte le istituzioni che compongono il governo stesso.

Non stiamo parlando, qui, di una panacea istituzionale. Nessuna riforma delle istituzioni, per quanto meditata sia, ha mai cambiato da sola il corso delle cose. Tutti sanno che non basterà creare un nuovo organismo per modificare il dato politico. Nella fattispecie, si tratterebbe di metter in discussione l’intero complesso del ” progetto europeo”. Tuttavia, proprio perché un percorso del genere rischia di rivelarsi di lunghissima durata, oggi come oggi la creazione di un’Assemblea dell’ eurozona sarebbe il simbolo di una lotta politica e culturale più estesa, volta a democratizzare il ” progetto europeo” e a riorientare il senso delle politiche condotte in suo nome. Come mostriamo nel T-Dem, è oggi possibile agire rapidamente, senza passare attraverso una assai improbabile revisione generale dei  trattati europei a 27, ed è possibile aprire brecce democratiche all’ interno stesso del blocco esecutivo europeo. E’ compito del contropotere rappresentato dai partiti e dai movimenti sociali rintracciare i percorsi della politica europea, così come è compito nostro opporsi all’alternativa funesta tra un ripiegamento nazionale privo di respiro e lo status quo delle politiche economiche di Bruxelles.

 

Stéphanie Hennette, Thomas Piketty, Guillaume Sacriste, Antoine Vauchez, ” Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa”, editore La Nave di Teseo 2017, ( Editions du Seuil 2017)

 

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