Un lupo diverso sin dalla nascita: ha un aspetto feroce. Sua madre, i suoi stessi fratelli e i membri del branco lo temono, escludendolo da quel territorio sicuro che è la comune benevolenza. Fenrìs è un esiliato e all’esilio prende gusto. I giudizi plasmano: diventa realmente cattivo – “Feroce! Feroce! Ecco arrivare il feroce lupo rosso!” – traendo piacere dalla sua malvagità, che è per lui scudo e armatura. Ma la bambina, sola nella foresta a cogliere gigli, ha occhi che guardano a fondo: non ha paura di lui…
fenrìs, una fiaba nordica di jean-ferançois chabas— disegni di david sala, editore gallucci
“Poi sei venuta tu,
e t’è bastata un’occhiata
per vedere
dietro quel ruggito,
dietro quella corporatura,
semplicemente un fanciullo.
L’hai preso,
hai tolto via il cuore
e, così,
ti ci sei messa a giocare,
come una bambina con la palla.
E tutte,
signore e fanciulle,
sono rimaste impalate
come davanti a un miracolo.
“Amare uno così?
Ma quello ti si avventa addosso!
Sarà una domatrice,
una che viene da un serraglio”!
Ma io, io esultavo.
Niente più
giogo!
Impazzito dalla gioia,
galoppavo,
saltavo come un indiano a nozze,
tanto allegro mi sentivo,
tanto leggero.”
(Vladimir Majakovskij)
Camminano affiancati, col passo di chi ha fatto tanta strada insieme; talvolta la ragazza si appoggia al collo del lupo, a volte è il lupo che preme contro le gambe sottili della donna. Vivono in armonia. Eppure la gente, che oggi prende tutto seriamente, dice che non è proprio possibile. I lupi, com’è noto, sono animali tanto feroci.
Fenrìs è il Fenrir della letteratura norrena, lupo enorme e feroce che, dopo essere stato incatenato ingiustamente e con l’inganno, nello scontro finale tra gli dei, il Ragnarök, si rivelerà potentissimo al punto da sconfiggere e divorare persino Odino padre di tutti gli dei, padre di tutto.
Solo Týr, coraggioso e impavido (proprio come la bambina della nostra fiaba contemporanea) osava nutrirlo, dandogli addirittura il cibo direttamente nella bocca senza che Fenrir lo azzannasse o gli facesse del male. Ecco, io preferisco ritrovare nelle radici nordiche la bellezza di questo testo piuttosto che indugiare sul “messaggio” di rivalsa, del superare il pregiudizio, che dissipa molto l’atmosfera leggendaria e puramente fiabesca dell’albo mettendolo, invece, nell’angolo del moraleggiante che in un contesto chiaramente magico come questo, a mio parere, stona.
Fenris e Odino (1909) by Dorothy Hardy
Fenrir and Odin (1895) by Lorenz Frølich
il dio Vioarr in piedi davanti alla mascella di Fenrir immerge la sua spada…
An illustration of Víðarr stabbing Fenrir while holding his jaws apart (1908) by W. G. Collingwood, inspired by the Gosforth Cross
Fenrir è legato
“The Binding of Fenrir” (1908) by George Wright
Odino e il lupo Fenrir
“Odin and Fenriswolf, Freyr and Surt” (1905) by Emil Doepler
Fenrir
Fenrir (1874) by A. Fleming
un manoscritto del ‘600 illustra Fenrir legato…
A 17th-century manuscript illustration of the bound Fenrir, the river Ván flowing from his jaws
Fenrir morde la mano di Tyr…
Fenrir bites off the hand of a sword-wielding Týr in an illustration on an 18th-century Icelandic manuscript
Odino e Fenrir di Arthur Rackhman (disegnatore inglese del periodo vittoriano)
Torniamo al Fenris di David Sala:::
Intervista all’autore: qualche domanda a David Sala
David Sala nasce a Lione nel 1973. I suoi disegni spaziano dal poliziesco, alla fantascienza, al fiabeggiante; noto principalmente per i suoi fumetti, si è dedicato anche alla realizzazione di albi illustrati per bambini – editi, in Italia, da Gallucci Editore. Talentuoso esponente di un decorativismo stentoreo che richiama l’art decò; illustratore dell’onirico e del magico. Impressionata dalla delicata bellezza di Fenrìs non potevo che cercarlo per approfondire, in sua compagnia, alcuni aspetti grafici dell’opera.
– Perché ha deciso di costruire la sua opera attorno a un’icona così importante della mitologia norrena quale Fenrìr?
In questo libro, infatti, Fenrìs è più della rappresentazione di un’icona mitica. È la forza, il potere, la violenza, in opposizione a uno sguardo privo di preconcetti: quello della bambina.
-Ha fatto ricorso a ispirazioni e suggestioni esterne nella realizzazione dei paesaggi?
Certamente il mio lavoro si nutre di impressioni artistiche, fotografiche e di molto, molto altro: l’importante è assimilare il tutto, arricchendo e personalizzando il mio vocabolario artistico.
– Notando una rassomiglianza con lo stile decorativo di Gustav Klimt, vorrei domandarle se i riempimenti geometrici abbiano, come fu per l’artista viennese, un significato profondo e particolare?
L’opera di stilizzazione e ornamentazione è, per me, espediente di trasformazione della realtà, rendendola prossima a intuizioni, emozionali e oniriche, molto più intime.
– Mentre gli animali sono bidimensionali, il volto della ragazza ha una tridimensionalità più spiccata: quali sono le ragioni di questa scelta artistica?
In questa storia la ragazzina, l’unico essere umano, è il solo legame col lettore e il suo mondo onirico. L’aspetto rappresentazione visuale doveva necessariamente, perciò, essere diverso.
Bibliografia di riferimento:
– AA.VV, La Bella e la Bestia – quindici metamorfosi di una fiaba, Roma, Donzelli Editore, 2002,
– Bettelheim Bruno, Il mondo incantato – Uso, importanza e significato psicoanalitici delle fiabe, Milano, Gianciacomo Feltrinelli Editore, 1977
-Von Franz Marie-Louise, Le fiabe interpretate, Torino, Boringhieri Editore, 1980 p. 115