ROBERTO RODODENDRO, UN RACCONTO LUNGO DAL TITOLO PROVVISORIO ” STORIA DI LORO “— PRIMO CAPITOLO: TU

bardelli, un timido sorriso, 2015, acquerello su cartoncino, cm.51x36,5 ( foglio) DSC08849

bardelli, un timido sorriso, 2015, acquarello su carta

 

 

Storia di loro

 

 

TU

Tu sei seduta ad un caffè, leggi una rivista e mangi un tramezzino prima di tornare in ufficio.
Lavori come segretaria in un’agenzia di pubblicità.
Non sei una creativa anche se ti piacerebbe. Metti il naso nelle cose che non ti competono sperando che prima o poi si accorgano di te, che hai idee, che vali quanto loro, quei personaggi che si danno tante arie anche se ti trattano da pari, una parità equivoca perché sei donna, in realtà ti trattano con condiscendenza.
E’ una rivista di moda quella che leggi, che tu leggi come fosse lavoro. Guardi le pubblicità. Le scomponi, le analizzi e quindi le ricostruisci. A volte annoti osservazioni a margine come fossero ancora in bozza, con possibilità di modifiche. Sei vanesia? No, sei caparbia, per te è uno studio. E’ istinto. Tu vuoi farcela.
Hai intelligenza, fantasia. Hai cervello ma non ne sei troppo convinta.Ti lasci andare nei sogni di quello che ti piacerebbe ma sogni, e sospetti che saranno solamente sogni.
Non importa, tu devi provare perché nel lavoro sei una fucina, non molli.

Sei lì che leggi e mangi il tramezzino con aria svogliata, appunto.
Finisci il tramezzino mangiato svogliatamente, finisci di bere la spremuta d’arancio, chiudi la rivista e t’incammini al lavoro.
Al lavoro è la solita routine. Alle cinque e mezza stacchi.
Il capo ufficio ti fa i soliti complimenti e tu gli sorrisi senza intenzione, è un sorriso automatico, non ci caschi più. Ti piaceva, ci sei uscita insieme una sera. Faceva parte del tuo sogno. Un’avventura più grande di te con un uomo più grande di te, sposato con figli. Una grande avventura trasgressiva. Importante e forse necessaria, perché cercavi una storia di seduzione, nella tua vita, anche se non avevi chiaro se saresti stata tu a sedurre lui, o lui te. Pensavi di avere fretta, perché lui è il creativo per eccellenza, quello delle idee quello che tira avanti la baracca: se manca lui non c’è niente.
Il suo interesse ti ha lusingato. Ti sei sentita desiderata, è un sentimento che ti seduce sempre, ti fa sentire che esisti.
Cosi ci sei uscita insieme una sera.
Hai sentito dall’altra stanza, che accampava scuse con la moglie. Troppo lavoro, devo incontrare un cliente importante, non aspettarmi a cena, non aspettarmi alzata, anzi, forse non tornerò neppure a casa. E’ un cliente di fuori Milano, sai di quelli un po’ rompiscatole che ti vogliono tutti per loro, però è un cliente importante. Chi? Si, proprio lui. Si, speriamo.
Tu hai sentito tutto dall’altra stanza, hai sentito la progressione delle sue speranze.
E’ cominciato con la cena, una semplice cena. Poi deve aver pensato che poteva esserci qualcosa di più della cena, un night, una passeggiata notturna, magari un locale nella campagna, caratteristico ed intrigante e perché no, la sua fantasia si è ampliata, non ha avuto freni e si è preso tutta la notte.
Parlando con la moglie gli è venuta la certezza.
Tu hai sentito tutto.
Sai tutto anche tu. Forse voleva fartelo sapere. Prepararti. Intuire da subito le tue reazioni.
Non per niente è un creativo. Ci sa fare con le parole, ci sa fare con la gente.
Tu hai sentito tutto, hai recepito ma non dimostri reazioni. Sei ancora piuttosto ingenua (anche se tu non ti credi tale), ma non fino a questo punto.
Hai ventitré anni e sei ancora vergine.
La tua verginità ti pesa.
E’ una gabbia. Un ostacolo. Quasi una vergogna.
Lascerai fare al caso. Non vuoi pensare. Vuoi sentirti sicura di te. Pensi di sapere badare a te stessa. Saprai tenerlo a bada se lo vorrai, ma non lo sai ancora (se lo vorrai).
Sei lusingata.
Ha barato per te. Pensi.
Ha barato con tranquillità, con consumata consuetudine. E’ abituato a ingannare la moglie, quindi avvezzo ad avventure, e tu sei una di quelle. E’ uno che ha tante avventure amorose, tu non chiedi altro che un’avventura, è uno che può scegliere ed ha scelto te. Ma questi pensieri, se ti sfiorano, li scacci perché rovinerebbero il tuo sogno.
Sei in bilico se lasciarti ingannare o aprire gli occhi: scegli di non pensarci.
Lui ha barato per te.
Tu sei in attesa di quello che succederà. Non vai oltre.

Cosi ci sei uscita insieme quella sera. Avete cenato in un bel localino rustico in mezzo alla campagna lombarda. Luci soffuse, padrone intrigante ed attento. Avete bevuto due bottiglie di vino.
Se lui aveva intenzione di farti bere, tu avevi intenzione di bere.
Non vuoi pensare. Vuoi goderti la serata e l’uomo che è tutto per te. Ti solletica l’idea della moglie a casa, ingannata e fiduciosa. Ti fa sentire vincente.
Avete mangiato e bevuto bene. Lui è stato molto accorto nella scelta dei vini e del cibo.
Una cena perfetta. Ti senti ben disposta, anzi, a questo punto ti senti disposta ed arrendevole.
Uscendo dal ristorante, con fare disinvolto lui ti abbraccia stretta sulle spalle e ti da un bacio leggero ma deciso sulle labbra. Tu rispondi con appena un attimo di ritardo perché non te l’aspetti, ma sei disposta a compiacerlo.
Hai deciso in quel momento che esiste veramente il cliente importante piuttosto invadente che l’accaparra per tutta la notte, come ha raccontato alla moglie.
Per tutta la notte.
Ma non ci stai pensando. Sei in attesa degli eventi. Sei disponibile a che le cose accadano.

In macchina lui è impaziente. Ferma in mezzo alla campagna. C’è una gran bella luna, cantano i grilli, l’aria profuma di grano.
Va tutto bene.
Lui ti bacia con trasporto, tu questa volta sei pronta e rispondi con altrettanto trasporto.
Ti lasci andare. Lui ti accarezza il corpo, sei tutta un fremito, ti vergogni un po’ perché vorresti fare qualcosa anche tu, ma non sai come comportarti.
Sei li per lui e… per te.
Lo senti contro il tuo ventre che è eccitato. Sei vergine e piuttosto inesperta, ti senti sciocca e provi vergogna per la tua inesperienza. Ma anche tu sei eccitata. Ti dimeni con lui.
Poi lui si stacca e commette l’errore.
Si slaccia i pantaloni e tira fuori il suo sesso rosso e prepotente, ti prende la mano e te la fa posare lì sopra, mentre con l’altra cerca di toglierti le mutandine.
Ha commesso l’errore.
Non ha capito che tu non sei quella che sei riuscita a sembrare, che mentre saresti pronta a dargli tutta la tua verginità in un’elegante e romantica camera d’albergo, non sei disposta a darti in mezzo alla campagna, su una macchina, come una qualsiasi.
Ti senti offesa, ingannata, perché tu non ti senti una qualsiasi.

S’è lasciato prendere dell’eccitazione tua e sua ed ha commesso l’errore.
Ti geli di colpo.
Togli la mano dal suo sesso, che neanche l’aveva ancora sfiorato (lo guardi comunque per vedere com’è, perché sei curiosa), e gli togli con fermezza la mano dalle tue mutandine.
No. Dici.
E non dici altro. Non sai pronunciare altre parole perché sei gelata.
Perché non sai cosa dire.
E’ come un sogno infranto.
Adesso pensi anche alla moglie tradita che conosci.
Pensi ai figli, perché conosci anche loro.
Ripeti no e ti ricomponi.
Sei offesa e lui non capisce.
Non capisce e peggiora la situazione.
Insiste e fa la figura dello scemo, ai tuoi occhi.
Sei offesa e arrabbiata con te stessa, perché ti senti cretina e vanesia, perché schianta di colpo nella tua considerazione.

Cosi non ci caschi più, anche se lui che non ha capito niente ti fa il sorriso con intenzione. Tu rispondi automaticamente al suo sorriso ma non te ne accorgi nemmeno. Non esiste più.
Esci dall’ufficio e passeggi un po’ per il centro di Milano. E’ ancora presto, appena il tramonto.
Gironzoli oziando, guardando le vetrine e guardandoti nelle vetrine. Lasci trascorrere il tempo prima di andare a chiuderti alla tua pensione dove ti aspettano i soliti commensali ed il solito cibo.
Non sai se stasera Livio t’inviterà ad andare al cinema con lui.
Livio è un altro inquilino della pensione. Ti piace, è un bel ragazzo ma piuttosto comune. Tu non vuoi una persona comune.
Vuoi ancora sognare.
Non sai se ne avrai voglia.
Non sai nemmeno che c’è una storia che è nata ventitré anni prima e si sviluppa lenta, tanto lenta che è come se non fosse ancora cominciata.
Sei il personaggio più importante di una storia, ma non sai di esserlo.
Sei il personaggio più importante della tua storia ma non lo capisci ancora.

La pensione è un po’ triste, ad un secondo piano di una casa della prima periferia, di nobile passato ma superata dalla modernità, in una strada risuonante dallo sferragliare del tram, ma non è lontana dalle colonne di S. Lorenzo, non è lontana dai navigli.
E’ una strada che sostiene ancora un certo passeggio tranquillo nelle ore che precedono la sera. O al mattino, quando le giovani madri coi carrozzini passeggiano languide in una spesa non affrettata, fatta d’incontri e di chiacchiere, dove i ragazzi coi libri di scuola ti scontrano avventati e scappano via con un veloce cenno di scusa. Dove ancora il fruttivendolo espone la sua merce sullo stretto marciapiede: mele lucide da specchiarcisi dentro, intrise di polvere e dell’ acido dei tram.
Ti piace questa strada vecchia e nuova, nobile decadente, ti ci trovi a tuo agio.
Sali le scale larghe e scure del palazzo senza ascensore col viso atteggiato ad una vaga soddisfazione che non sai da dove ti venga.
Forse perché sulle scale hai incrociato un ragazzo nuovo, mai visto, alto magro con un ciuffo di capelli sugli occhi, che scendeva gli scalini a due per volta, con le gambe lunghe.
Nella penombra ti è parso persino bello con un’aria diversa e perché diversa, un po’ misteriosa.
Tu sei curiosa e, appena entrata, vai direttamente dalla proprietaria della pensione e t’informi. Si, effettivamente da oggi c’è un nuovo pensionante, è giovane, forse fin troppo giovane, ma non si capisce bene. Pare studi. Che cosa, non si sa.
O forse lavora, un lavoro che è quasi uno studio, quel che è certo è che ha sistemato in camera uno scatolone pieno di libri. Più libri che vestiti.
Occupa la seconda camera nel corridoio, appena dopo il saloncino di ritrovo.
Questa sera a cena lo conoscerai.

No. E’ un incontro rimandato. Lui a cena non viene. Telefona pochi minuti prima scusandosi, ma ha un impegno improvviso e tornerà tardi.
Non lo vedrai.
E la padrona, quasi fosse solidale con te, col tuo leggerissimo e forse inesistente disappunto, gli annota la cena come consumata perché non si può cominciare cosi, non è un albergo questo, e se si vogliono fare i fatti propri senza un minimo di considerazione per chi ti ospita ( e le spese?) si pagano le conseguenze.

Livio con la sua solita aria di farti un piacere, ma forse è timidezza, proprio all’ultimo momento, come se non avesse altro di meglio da fare e come se tu non avessi niente di meglio da fare ( ed è questo soprattutto che t’indispone) ti invita al cinema, o meglio ti dice che lui va al cinema, se vuoi andare con lui.
Come se ci fosse un posto libero grazie a lui, come se tu non potessi andare al cinema da sola.
Ma è vero, è l’unica cosa che ti resta per la serata e quindi fai finta di niente anche se questo Livio ( che alla fin fine ti piacerebbe anche, che una volta o due ti ha baciata con intenzione, baci che tu hai ricambiato con riserva) riesce sempre ad irritarti.
Tu vorresti andare a veder ” Non tutti ce l’hanno” di Tony Richardson. Titolo allusivo che tu sai non aver nulla a che vedere con il film. Un brutto vezzo della distribuzione italiana per invogliare il pubblico ( tu sai anche questo, non per niente lavori nella pubblicità), ma no, Livio preferisce un film western tutto azione e movimento e tu non hai voglia di importi.
Al cinema Livio fa come se tu non ci fossi o peggio, come se tu fossi un compagno dello stesso sesso. E’ troppo abituato a te. Tu hai l’impressione che ti tenga di riserva, forse per un futuro matrimonio (qualcosa del genere te lo deve aver già detto, fra il serio e il faceto).
Sarebbe anche il tipo.
Non ci prova nemmeno a prenderti la mano, a passarti un braccio intorno alle spalle. Nemmeno ti sfiora il gomito col suo gomito, sul bracciolo che avere in comune. O se lo fa, è solo per sgomitarti e prendersi più spazio.

Finisce il primo tempo e si accendono le luci. Girandoti per dare un’occhiata alla sala, ti pare di vedere, seduto quattro o cinque file più indietro, il nuovo pensionante.
A prima vista sembra proprio lui. Sta chiacchierando fitto fitto con una ragazza. Lui le tiene il braccio destro intorno alle spalle, con naturalezza. Sembrano due vecchie conoscenze. Lei ride alle sue parole, anche lui sorride.
Tu ti giri di scatto come per non farti riconoscere anche se ti accorgi che è un impulso stupido perché forse non è nemmeno lui e se anche fosse non ti ha guardata, non ha alzato gli occhi dalla ragazza.
E se anche ti avesse vista, non ti conosce.
Ci pensi, mentre ti volti di scatto e guardi Livio, seduto al tuo fianco che vuole dirti qualcosa ma in quel momento si spengono le luci.
Tu chiedi “cosa” ma lui fa un gesto come per farti capire di lasciar perdere, il film è più importante.
E tu ti chiedi per che cavolo di motivo vado al cinema con uno che è come se non c’è. Che vita stupida che sto facendo: lavoro pensione lavoro, con quel bell’imbusto e poi al cinema con questo cafone.

Quando il film finisce metti fretta al tuo compagno sperando chissà perché di incrociare lo sconosciuto. Ma no, lui e la ragazza bionda, giovane giovane ( almeno così sembrava) sono spariti. Scioccamente speri di incontrarlo all’ingresso della pensione (se è lui) ma rientrate da soli tu e Livio, con Livio che questa volta sarebbe anche pronto ad offrirti qualcosa in un locale.
Tu rifiuti senza neanche pensarci e ti ritiri subito in camera tua.
Ti senti nervosa ed insoddisfatta ( se ci pensi, ma non ci pensi, motivi per sentirti così ne hai molti), cerchi di riprendere la lettura del libro che la sera prima ti piaceva tanto, ma dopo due pagine lo richiudi e spegni la luce con gesto risoluto.
Dormi. Vuoi dormire. Ma il sonno tarda a venire e ti rigiri nel letto. Sarà passata un’ora, forse di più, quando il rumore del portoncino d’ingresso che si apre ( è una mano inesperta) ti scuote dal dormiveglia e senti dei passi annaspare nel buio ed inciampare da tutte le parti.
Ti sembra un baccano infernale, tale da svegliare tutti. Ti aspetti di sentire da un momento all’altro la voce adirata e offesa della proprietaria.
Invece senti aprire e chiudere la porta di una stanza e per un momento un sottile filo di luce filtra sotto la tua porta.
E’ silenzio ormai.
Dopo poco anche tu ti addormenti.

Sono trascorsi i giorni e non te ne sei accorta. Il lavoro ti ha assorbita completamente. Tu sei una che dedica tutto il suo tempo alla cosa che sta facendo, sia che la soddisfi o no.
Il tuo è un imperativo morale.
Ti sei quindi scoperta piena d’impegni, ma lo sapevi già. C’è una campagna pubblicitaria da chiudere, bisogna tenere buono il committente che non ha nessuna intenzione di restare buono, visto il ritardo accumulato e la poca soddisfazione in quello che gli avete preparato.
Tu sei riuscita ad appianare tutto. Hai dato anche il tuo contributo d’idee utile a sistemare certe incongruenze non piccole. Sei anche riuscita a tenere lontano dal tuo “capo” il committente incazzato , senza far apparire troppo palese che lo evitava.
Insomma, sei soddisfatta e ne hai il motivo.
Hai dimenticato le piccole insoddisfazioni della tua vita, il nervosismo di quella notte che per più di un’ora ti ha fatto rigirare nel letto prima di lasciarti dormire. Hai assorbito nella routine quotidiana il nuovo inquilino che ogni sera ti vedi di fronte a cena: è un giovane come tanti altri, senza nulla di misterioso, anche se ancora non hai capito bene cosa faccia ( studia o lavora? E se studia o lavora, che studi o che lavoro svolge?). Non l’hai capito ma non te ne importa più di tanto, fa parte dei piccoli svaghi della vita di pensione, cercare di capire qualcosa di più degli altri. Ma resta tale.
Non ha nemmeno un aspetto particolarmente interessante né particolarmente attraente.
E’ alto e magro, questo si, un naso prominente in un viso lungo, capelli sottili sempre spettinati e sempre sugli occhi. Adesso si sta anche facendo crescere una barba, ancora corta che gli da un aspetto trasandato e che appare forse rossicia.
E’ uno di poche parole e quando parla pare non abbia niente da dire. Era lui il ragazzo sulle scale, ma non valeva un tuo pensiero, certo non valeva il rifiuto opposto a Livio di bere una cosa insieme dopo quel filmaccio western, per una volta che si era proposto!

Sei quindi seduta al solito bar pronta per lo spuntino del pranzo in attesa di ritornare al lavoro, in attesa dello yogurt e della spremuta d’arancia. Stai leggendo una rivista di moda, sempre una rivista di moda, e non guardi la strada quando ti senti salutare allegramente.
E’ lui, con un libro sotto un braccio ed una ragazza sotto l’altro. Non ci fai caso ma ti pare la stessa ragazza del cinema, è carina ma sei soprappensiero, e così lo saluti ributtandoti sulla tua lettura, come se nemmeno l’avessi visto.

Hai appena cominciato lo yogurt ( hai uno sbaffo di latte rappreso sul labbro superiore) che te lo trovi di fronte con un sorriso un po’ scemo, impacciato, che ti chiede se può sedersi, mentre si siede.
Sei contrariata perché ti ha distratto, perché ti accorgi dello sbaffo di latte sul labbro. Sei curiosa perché adesso è senza la ragazza.
Sei curiosa perché non hai capito dove l’ha lasciata così in fretta (forse abita su quella stessa strada). Sei curiosa perché non hai capito perché l’ha lasciata così in fretta per raggiungerti.
Il fatto sembrerebbe evidente ma non ti senti lusingata.
E’ evidente che è uno senza arte ne parte. E’ evidente che è timido e impacciato.
E’ evidente che proprio per questo diventa invadente.
Tu lo saluti ma non ti ricordi il suo nome (l’hai chiesto il primo giorno alla pensione, ti ricordi un nome buffo ma te lo sei dimenticata), poi non parli e nemmeno lui parla. Se ne rimane lì imbambolato come se avesse osato una cosa più grande di lui. Ordina un bicchiere di vino rosso al cameriere subito accorso a trarlo d’impaccio. Tu pensi che non mangia nulla beve solamente. Pensi che forse ha già mangiato: è probabile vista la compagnia, ma appare altrettanto improbabile visto il tipo squattrinato che dimostra di essere.
Il tuo è un pensiero fuggevole, senza importanza. Automatico.
Lui non sa cosa fare e si presenta di nuovo come se pensasse che non ti puoi ricordare il suo nome ( il chè, fra l’altro è vero). Adesso te lo ricordi, è proprio ridicolo, ti fa un po’ ridere e glielo dici. Lui non appare sconvolto da questo. Anzi, forse lo spiattella sempre per intero proprio con lo scopo di rompere il ghiaccio. Difatti è pronto a proporti una soluzione, mentre ne ride anche lui:
– Allora chiamami Sam, dice come un’abitudine, come se gli piacesse tanto farsi chiamare “Sam”.
– “Sam, Sam”. così come si scrive. – Aggiunge con compiacimento.

Tu che ti trovi d’umore tagliente…..
Non è tua abitudine, di solito sei gentile con tutti, questione d’educazione, accondiscendente. Anche se ami mantenere le distanze. Quando vuoi.
Ma non sempre vuoi, ti piacerebbe, ma non è nel tuo carattere, quindi sei quasi sempre disponibile, aperta.

Quando ti va tu ti descrivi “democratica”, pensi che sia un aggettivo corretto per dimostrare quello che ti senti di essere. In realtà è talmente corretto che dimostra due aspetti di te che ancora non riesci a distinguere: il dirti “democratica” indica inequivocabilmente che non lo sei, per il solo fatto che ti senti di doverlo evidenziare, nello stesso tempo sbandieri questo aggettivo col doppio obbiettivo di farti riconoscere per tale e per il suo inverso.
E’ una forma di civetteria.
Ami colpire le persone con qualche frase ben collaudata ( e il riconoscerti “democratica” è una di queste) perché dentro di te, nascosto sotto il filo dell’acqua, hai il dubbio che la gente ti possa dimenticare facilmente. Troppo spesso non ti senti all’altezza della situazione o della persona che ti sta vicino. Forse ti sottovaluti, forse no.

Tu che ti trovi d’umore tagliente…..
E’ un piacere raro, per te, trovarti d’umore tagliente, tanto ti è inusuale.
Ne godi in modo spropositato.
– Allora, ciao Sam, gli dici sorridendo solo con le labbra, goditi anche il mio yogurt. –
Mentre scosti la poltroncina, raccogli le tue cose e te ne vai senza neanche guardare la sua reazione ma godendone intensamente perché te la immagini.
Poverino, lui non può sapere che ti ha colto in un momento di euforia, quando sei soddisfatta del tuo lavoro, quando ti senti importante del ruolo che svolgi, quando sei appena uscita dall’estetista che ti ha fatto la pulizia del viso, che ti ha truccata a pennello, quando ti senti bella.
Così bella e sicura di te da non aver bisogno di nessuno. O meglio, di non aver bisogno di lui, in attesa, come ti senti, dell’uomo giusto.
L’uomo giusto è un tipo elegante e disinvolto, ha le tempie brizzolate, naso regolare, forse gli occhi azzurri ma non è determinante, è sicuro di sè, è gentile e ti fa sentire altrettanto sicura e appagata. Ha una vita piena dove il lavoro che è sicuramente importante e di soddisfazione, appare sullo sfondo, come appare sullo sfondo l’agiatezza (no, non la ricchezza) che traspare comunque dal suo comportamento.
Un’agiatezza d’antica data.
Ma dov’è finita la tua “democraticità”?

” Allora, ciao Sam, goditi anche il mio jogourt.”
Quella frase, quel momento, ti è rimasto in mente ed adesso, tutte le sere che lo incontri a cena, lo guardi e te ne ricordi.
Noti che lui si è fatto più attento, che quando ti rivolge la parola, cura le parole e quel che dice. Ti pare che sia impacciato nei tuoi confronti ( ma lo è anche con gli altri commensali): parla poco, guarda tutti di sfuggita senza alzare troppo lo sguardo dal piatto, noti che ascolta molto.
Dopo quella frase hai un certo interesse per lui ma non ne sei cosciente, lo curi in quello che fa, in quello che dice: hai scoperto che quando guarda gli altri ha uno sguardo indifeso, aperto, forse troppo aperto.
E’ uno che ha fiducia negli altri.
Non è bello, hai notato anche questo. Ha un naso troppo grosso, un viso sottile ma nello stesso tempo angoloso, che non sai definire.
Sai per certo che non sa vestire: maglione a giro collo e giacca, giacca e maglione, sempre uguale e le poche volte che l’hai visto con la giacca senza maglione, pare che ci navighi dentro. E i pantaloni che arrivano a stento alla caviglia.
Tu che sei abituata ai tuoi colleghi, sempre inappuntabili. Certo, estroversi, fa parte del loro lavoro, ma con una trasandatezza elegante. Questo qui, questo Sam, che siede al tuo stesso tavolo a cena, è solo trasandato. Non si cura affatto.
Parla bene, con ricercatezza, naturalmente. Si capisce che ha studiato (forse studia ancora), forse è anche brillante. Ti pare che a tavola si trattenga. A volte gli scopri dei guizzi negli occhi, che lui nasconde.

Ti viene da chiederti se può piacere ad una ragazza. E mentre ti poni questa domanda, la tua memoria va immediatamente a quella ragazza che hai visto con lui. Scopri di avere una memoria analitica, anche per quei particolari che ti parevano di poco interesse.
La ricordi carina ed intraprendente. Ti viene a mente un particolare non insignificante, che quando sono passati davanti a te, seduta al bar, lei era al suo braccio e gli si aggrappava con una certa dose di soddisfazione. La ricordi anche al cinema, era sempre lei che gli parlava, che sorrideva, che lo toccava. Una famigliarità che ora ti dispiace, mentre ti chiedi che cosa ci possa trovare una ragazza in quel tipo.
Ma sono tutti pensieri vaghi, distribuiti lungo l’arco di un’intera settimana di incontri serali e quando arriva il venerdì e tu ti appresti a tornare a casa tua, nella tua famiglia, come tutti d’altronde, perché al venerdì la pensione si svuota e solo quelli lontani o soli, rimangono, hai un moto di tenerezza, un istinto di protezione che ti fa dire avventatamente, senza neanche pensarci, che quel sabato sera dai una festa, al tuo paese, nella tua casa e che ti farebbe piacere se partecipasse anche lui.
Lo cogli di sorpresa, pare non sia ben sicuro che ti rivolgi proprio a lui, ma ti risponde che non sà se sarà libero che potrà darti una risposta solo la mattina dopo.
Hai un moto di stizza nascosto e ti dimentichi di lui. Noti solamente che quella sera esce, come tutte le altre sere, mentre tu te ne resti in pensione a giocare a carte con Livio e qualche altro pensionante.
E’ un pensiero sfuggevole quello che hai, subito dimenticato, che lui, questo tizio che si fa chiamare “Sam” perché ha un nome troppo ridicolo, non ha bisogno della tua protezione o della tua tenerezza. Le tue attenzioni per lui sono sprecate, non è capace di capirle.
Non le sa apprezzare.

E’ mezzanotte passata e stai ancora leggendo un libro, stai pensando di spegnere la luce e dormire, ma sei incerta se sei pronta per il sonno.
Senti aprire col solito fracasso maldestro e mascherato la porta della pensione. Sai che è lui che rientra ( anche perché è l’unico ad essere uscito), lo senti venire avanti nel corridoio, poi non senti più i suoi passi né la sua porta aprirsi, come se si fosse fermato improvvisamente per un ripensamento.
Ti viene da ridere pensando che avrà dimenticato qualcosa da qualche parte, o qual è la sua stanza, ti pare un tipo fatto così.
Mentre sei così distratta senti bussare piano alla tua porta. Non ridi più e pensi che è lui e che è un gran villano invadente, mentre infili la vestaglia per andare ad aprire (il tuo primo pensiero è stato di spegnere la luce e far finta di niente).
Apri appena uno spiraglio ed atteggi un’aria assonnata e scocciata che lui, lo capisci subito, non nota neanche mentre ti dice, cercando di abbassare il tono di voce che comunque rimbomba nel corridoio silenzioso, che va bene, per domani va bene, ti dice lui come se proseguisse il discorso di quattr’ore prima e ti fa “ciao ciao” con la mano, girandosi verso la sua stanza che non ha bisogno di aprire con la chiave perché intanto non la chiude mai.
E ti lascia lì come una scema che non hai nemmeno il tempo di dirgli quant’è maleducato ed invadente che nemmeno vi conoscete e come si permette di bussare alla tua porta che è quasi l’una di notte.
E che poi è proprio cretino perché come cavolo fate a incontrarvi il giorno dopo se nemmeno sa in quale paese abiti e che indirizzo hai ecc. eccetera.
Così sei tu che attraversi di corsa il corridoio, stringendoti la vestaglia addosso e bussi alla sua stanza dandoti della stupida e chiedendoti perché lo fai invece di piantarlo in asso e buonanotte.

 

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2 risposte a ROBERTO RODODENDRO, UN RACCONTO LUNGO DAL TITOLO PROVVISORIO ” STORIA DI LORO “— PRIMO CAPITOLO: TU

  1. roberto rododendro scrive:

    come al solito il Baldelli mi piace. Ma mi piacerebbe qualche commento magari “viperino” da Donatella. Altrimenti m’ammoscio: scrivo al nulla!

  2. roberto scrive:

    alla ricerca del capitolo che non trovo m’è capitato questo cosiddetto racconto che racconto non è se non una parte di un tutto assai più lungo. Che bello! Ho fatto una scoperta Roba vecchia piuttosto ammuffita ma che mi ha divertito. Grazie a me, visto nessuno accenna neanche ad un calcio nello stinco! 🙂
    Potrei perfino proseguirlo ma magari l’ho già fatto e chissà dov’è.

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