ADD EDIZIONI, IO SONO UNA –GRAPHIC NOVEL DI UN’INGLESE CHE SI CHIAMA ::: UNA —” questo libro è un urlo per tutte le donne del mondo “- MIGLIOR MEMOIR 2016, OPRAH.COM +++ VIRGINIA TONFONI LA RECENSISCE SU IL MANIFESTO, ALIAS 14-04-2018

 

ADD EDIZIONI

Io sono Una – Una

 

Io sono Una – Una

 IN ARRIVO  in aprile
UNA add editore
 Autore: Una

Traduzione: Marta Barone
Pagine: 208
 ISBN: 9788867831913
Prezzo libro: 19.50 €
Data di uscita: aprile 2018

Il mio nome è Una. Significa una sola, una vita, una di molte.

 

Nel 1977  Una ha dodici anni. I ragazzi della sua età ascoltano punk o ska, invece Una sta imparando a suonare con la chitarra Mull of Kintyre dei Wings. È quella la musica che piace a lei.
In quegli anni il caso dello Squartatore dello Yorkshire (un serial killer che colpisce donne che per il loro comportamento sono giudicate responsabili del danno subito), continua a occupare le prime pagine dei giornali creando un clima che acuisce la misoginia diffusa nella società.
Una, da ragazza sicura di sé, si trasforma e decide di imparare ad «abbassare lo sguardo» per allontanare l’attenzione dei ragazzi.
Dopo che a scuola viene additata come una «poco di buono» perché assume la pillola, Una subisce violenze e di questo comincia a incolpare se stessa.
Sola, piena di vergogna e impotente, crolla. La madre la porta da un medico, che riconosce un disturbo da stress post-traumatico ma non la ascolta, e la invita a reagire. Tutti sembrano dirle che in lei c’è qualcosa di sbagliato.Partendo da un’esperienza personale, raccontata sullo sfondo di un evento storico, il libro esplora la responsabilità sociale di crescere in una cultura dove l’arroganza maschile rimane sostanzialmente incontrastata ed è alle vittime della violenza che si chiede di pagarne il prezzo.
Combinando vari stili, ritagli di giornale, illustrazioni basate su foto, disegni surreali e sorprese di colore che trasmettono il senso di confusione e rabbia, con rigorose statistiche, Io sono Una è un racconto personale che diventa una potente denuncia della violenza sessuale contro le donne.

«Questo libro è un urlo per conto di tutte le donne del mondo.»
Miglior memoir 2016, Oprah.com

 

 

alias, il manifesto del 14-04-2018

https://ilmanifesto.it/quelle-cattive-ragazze/#

 

IO SONO UNA

Anche la storia firmata dall’inglese Una (che invece sarà presente al Salone del Libro di Torino domenica 13 maggio), sebbene più esplicitamente autobiografica, inizia negli anni dell’adolescenza della protagonista. Siamo nel 1975 nella regione inglese del West Yorkshire e Una ha 12 anni; tra le rivolte razziali, la ridefinizione dei confini della contea, gli scioperi e i dirottamenti aerei, sulla stampa fioccano orribili fatti di cronaca: una serie di aggressioni e poi di omicidi di donne, spesso prostitute. Nonostante si mobiliti una squadra di 200 poliziotti, l’indagine si risolve solo sei anni dopo, quando Peter Sutcliffe, il ricercato squartatore di Leeds, viene accusato dell’uccisione di 13 donne. L’artista inglese intesse la propria vicenda personale sullo sfondo di quest’indagine. Becoming, unbecoming, questo il titolo originale dell’opera, narra di una crescita minacciata e danneggiata dalla violenza di genere, da un oltraggio impossibile da raccontare proprio in quella società dove poliziotti, investigatori e giudici non sono in grado di individuare un assassino, accecati probabilmente dal fatto che le vittime siano per lo più prostitute. Il silenzio della giovanissima Una, che circondata da una società conservatrice e bigotta non si azzarda a confessare cosa le è capitato-almeno un paio di volte si è imbattuta in uomini più maturi che hanno abusato di lei- riecheggia nell’impossibilità di dare una svolta alle indagini, nell’implicita denuncia a un sistema che è incapace di leggere la violenza, e si aggrappa spesso all’espediente del consenso, evitando di condannare direttamente i responsabili. Così da un lato la raffigurazione in linea chiara di Una, volontariamente anonima, si arricchisce di piccole ali d’insetto, sempre distese lungo il corpo, a suggerire la privazione della capacità di volare, o di trovare una propria identità: lo dimostrano le pagine intere di paper dolls-vestiti di bambola da ritagliare-che sottolineano la ricerca costante di una personalità che non sia quella affibbiata dalle cattiverie degli altri. Di certo un’impresa ardua quando la sessualità si è affacciata troppo presto e in modo violento sulla sua vita, facendo esplodere nelle tavole grandi macchie di acquarello nero, pesante come la vergogna, ingombrante come la reputazione di cui Una ha scoperto l’esistenza solo dopo averla perduta, nella dialettica- troppo generalizzata tra le vittime di violenza-di sentirsi causa ed effetto del proprio problema. Il racconto in prima persona, nel quale filtrano i pensieri della scrittrice adulta, che ha dopo molti anni superato il trauma, accompagna le figure libere da griglie in tavole dove la stessa disposizione del testo delimita gli spazi narrativi. L’autrice inserisce ritagli di giornali dell’epoca, e personaggi corali giudicanti, nella loro cecità: la sua famiglia, come la società, non capisce, minimizza, incolpa implicitamente la vittima, con un atteggiamento che l’autrice descrive in modo lucido e acuto nella bella postfazione del suo difficile libro: “l’idea che ci sia qualcosa di radicato in profondità nella cultura che produce eruzioni di violenza di genere e la fa prosperare, invece di considerarla casuale e immotivata, sta diventando predominante e questo è il motivo per cui ho scritto questo libro”. Un contesto di misoginia, “un oceano di oggettificazione” nel quale l’autrice, quando non si traveste da insetto si limita ad aggrapparsi ad una nuvoletta senza testo, che trascina come un fardello silenzioso.

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  1. Donatella scrive:

    Per nostra fortuna viviamo in un tempo e in una parte del mondo dove l’abuso sessuale è perseguito per legge, almeno se viene denunciato. Esistono però ancora, oltre agli abusi e alle violenze sommerse, tanti altri tipi di soprusi di cui sono vittime le donne. L’origine sta, secondo me, in una cultura maschilista diffusa e radicata profondamente non solo negli uomini ma nelle donne stesse, che vi si adattano più o meno consapevolmente. Non è un caso che molte donne “in carriera” devano adottare, per riuscire ad emergere, il modello maschile, l’unico ancora in auge nella nostra società. E’ vero che dagli anni Sessanta in poi sono stati fatti passi giganteschi sulla via della parità, ma tanti ostacoli rimangono, perché sono rimasti nella nostra testa e nelle strutture sociali. Quello che mi sembra più grave è la scelta drammatica, eppure accettata il più delle volte, tra la cura della famiglia e il lavoro. Non so in altri Paesi europei, ma in Italia molte volte ancora le donne devono lasciare il lavoro per la cura dei figli o dei genitori anziani. Mancano le strutture pubbliche e quelle private, per il loro costo, sono poco accessibili. Il cosiddetto stato sociale è stato in qualche decennio smantellato e siamo ancora nella fase in cui ci rimangiamo il frutto di tante lotte, senza che ci sia, almeno per ora, una forza politica che dia battaglia per l’eguaglianza effettiva di tutti, come sta scritto nella Costituzione.

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