ALBERTO MAGNANI, IL SOLE 24 DEL 23-03-2018 ::: ATENE, NELLA CAPITALE FERITA DOVE LA RIPRESA RESTA UN MIRAGGIO

 

IL SOLE 24 ORE DEL 23-03-2018

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GRECIA ANCORA FRAGILE

Atene, nella capitale ferita dove la ripresa resta un miraggio

(Agf creative)
(Agf creative)

ATENE – «Scusi, sa, qui hanno pregiudizi». Un signore sulla quarantina ritira il suo pacchetto di sigarette, allarga le braccia e si scusa in un buon inglese. La cassiera dell’ennesimo negozio di souvenir sotto all’Acropoli, la culla dell’Atene classica, ha servito prima lui di una coppia di turisti in coda da qualche minuto, borbottando qualcosa sui «greci che vengono prima» rispetto alle folle di italiani, francesi, americani e asiatici che passeggiano tutti i giorni nel centro città. L’insofferenza di fondo per una delle materie prime più importanti per l’economia nazionale, i turisti, svela meglio di tanti sondaggi il disagio che logora ancora la Grecia e la sua capitale. L’area metropolitana di Atene ospita da sola quasi quattro degli oltre 11 milioni di abitanti dell’intero paese e rimane la meta più gettonata dei flussi di visitatori internazionali, anche solo come scalo di passaggio verso Oriente o per imbarcarsi verso isole prese d’assalto da famiglie e studenti.

Rabbia e populismo
La sua condizione è una metafora efficace del resto del paese, rimasto sospeso dopo il baratro del default, l’illusione di Tsipras e la tensione costante con l’Europa, quell’entità indefinita che ha «strangolato» i risparmiatori con l’austerity e oltre 200 miliardi di euro di prestiti da rimborsare. Una rabbia che fa crescere il populismo, ma di segno opposto a quello della sinistra annacquata di Syriza, oggi derubricato a partito di governo e interlocutore della Troika. Le tensioni non si sublimano più nel sogno di una nuova Europa ma nel livore verso gli immigrati e ovviamente i «burocrati di Bruxelles», cavalcato da un partito neonazista che dichiara fin dal nome pretese di rinascita: Alba Dorata, allusione un po’ grossolana sia ai fasti della Grecia classica che a quelli, si fa per dire, della dittatura di Ioannis Metaxas. Anche ad Atene, come nel resto d’Europa, Alba Dorata alimenta il suo consenso sull’impoverimento del paese, addossando a bersagli generici le cause di una crisi che non ha nulla a che fare con «la contaminazione del sangue greco» o la «dittatura dell’euro». Ma la tentazione di considerarli pittoreschi sfuma quando si ricorda che il partito è stato votato dal 7% degli elettori nel 2015, diventando la terza forza del paese.

Un paese che vive (quasi) solo di turismo 
Dopo otto anni di recessione violentissima, con Pil in caduta fino al 10,3% nel primo trimestre 2011, la Grecia ha ripreso a respirare con una crescita dello 0,8% nel 2014. Da allora è rimasto il segno più (espansione dell’1,4%nell’anno in corso), ma lo scenario resta da codice rosso: tasso di disoccupazione al 21%, consumi privati calati del 23% dal 2008 al 2017, stipendi in picchiata del 19% in valori reali tra il 2010 e il 2017. Il Pil del paese, pari a poco più di 150 miliardi di euro nel 2016, si regge per l’80% sui servizi (leggi: turismo), mentre l’industria incide per appena il 16%. Atene simboleggia bene anche la dipendenza nazionale dai visitatori stranieri, con la sua filiera rodata di ristoranti più o meno caratteristici e negozi di souvenir. Accanto ai siti archeologici, protetti dalle curatele internazionali, c’è un assembramento di vetrine che ricorda l’assalto ai turisti di Venezia. Infilandosi tra i vicoli della Plaka, l’affollato quartiere turistico sotto l’Acropoli, è difficile fare un passo senza essere corteggiati da proprietari delle taverne che offrono «menù greci» a base di souvlaki o feta battagliando sui prezzi .

Ovviamente più elevati di quelli proposti dalle vere trattorie locali, tanto per citare un’altra affinità con l’Italia. Del resto, come ti spiegano gli stessi ateniesi, la “vera” città è quella che si scopre oltre al triangolo fisso fra Acropoli, piazza Syntagma e l’agorà greca e romana. Anche se l’immaginario collettivo si ferma all’immagine del Partenone illuminato, Atene ha un’estensione di quasi 3mila chilometri quadrati, contro i 180 di Milano. Una città «Stato nello Stato» dove convivono i sobborghi e i quartieri residenziali dei diplomatici alle spalle del Parlamento, lungo una via attraversata sotterraneamente da oltre 80 chilometri e tre linee di metro. La fermata finale della Metró Athínas, eredità di una rete ferroviaria progettata nell’800, è l’aeroporto. L’approdo di turisti che tornano a casa e di greci che decollano per cercarne una altrove.

Grecia, addio. I talenti in fuga 
L’assenza di una infrastruttura economica solida si fa sentire sulle prospettive di crescita dell’economia nazionale, scatenando una migrazione che fa impallidire le nostre statistiche sui trasferimenti all’estero. Se l’Italia soffre per la sua «fuga di talenti», soprattutto sotto ai 40 anni, la Grecia sta subendo un’emorragia molto più drastica in rapporto alle sue dimensioni. Negli ultimi cinque anni, un paese da meno di 11 milioni di abitanti ha visto 500mila concittadini trasferirsi all’estero. I più propensi a decollare verso altre mete sono gli under 30, allontanati dall’assenza di prospettive di crescita. Il tasso di disoccupazione giovanile attuale, al 43,7%, è comunque un passo avanti rispetto al 60% raggiunto nel 2013. Me le statistiche nazionali sono solo la superficie su un mercato che ripresenta, in forma aggravata, le stesse patologie di quello italiano: stipendi bassi (il reddito medio supera a fatica i 1000 euro), contratti precari, valorizzazione nulla delle proprie competenze. «Qui dobbiamo sommare più lavori, altrimenti non ce la facciamo. E i contratti a tempo indeterminato non esistono» raccontano alcuni ragazzi, usciti dall’Università nazionale di Atene con il massimo dei voti e la sensazione che troveranno impiego altrove.

Magari in Germania e Regno Unito, dove già nel 2015 si indirizzava la metà degli expat più giovani. E qualificati, visto che la ricerca di migliori chance di carriera si accompagna a titoli appetibili sul mercato internazionale. Secondo dati citati nello studio dell’analista greco Dimitris M. Perdikoulis, intitolato «A Greek brain drain?», oltre la metà dei giovani greci che si è trasferito all’estero dopo la laurea magistrale guadagna tra i 25mila e i 60mila euro l’anno. Tra i coetanei rimasti in Grecia, a parità di titolo, il 50% non arriva ai 25mila euro annui. Nel 2015, nel pieno delle tensioni culminate con il referendum consultivo sul piano proposto dai creditori internazionali, i media facevano gara a intervistare i transfughi della «G generation»: la definizione data dal quotidiano britannico Guardian ai giovani in fuga dal paese e dalla sua instabilità.

I giovani che guardano all’Europa 
Da allora il clamore mediatico è svanito, diversi giovani continuano ad andarsene ma altri resistono ad Atene, scontrandosi con le tante incognite di un futuro all’interno del proprio paese. C’è qualche scetticismo sul trattamento ricevuto dall’Europa, ma la Ue resta la collocazione naturale della Grecia. Tra i laureandi reduci da Erasmus e esperienze internazionali, i rancori dei neonazisti di Alba dorata sono guardati con freddezza, come un sintomo della crisi. Un sondaggio del 2014 spiegava che oltre il 40% degli elettori del partito rientrava nella fascia fra i 25 e i 39 anni, ma i piani autarchici e di «espulsione immediata» degli stranieri sembrano distanti dall’Atene che è abituata a viaggiare, parla inglese meglio della media italiana e sforna professionisti contesi da Berlino a New York. «Ci fanno ridere – spiegano alcuni studenti – Quelli di Alba Dorati sono razzisti, ma se guardi bene, noi greci sembriamo sia europei che arabi». Anche a notte fonda, il via vai nello snodo di Syntagma continua, tra la guida un po’ fantasiosa dei greci e i giovani che entrano ed escono dalla stazione della metro. Otto anni fa le rivolte contro l’austerity erano iniziate da qui, culminando un anno dopo a Salonicco e lasciando sulla strada tre vittime. Oggi Atene soffre ancora, ma i riflettori sulla crisi greca si sono fatti più fiochi, senza i capannelli di fotografi sulle rose adagiate in piazza. L’unica luce, di notte, è quella del Partenone.

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