ALEX ZANOTELLI, IL MANIFESTO 8 LUGLIO 2018::: APPELLO AI GIORNALISTI/E ::: ” ROMPIANO IL SILENZIO SULL’AFRICA “

 

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PADRE ALEX ZANOTELLI

 

Giugno

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IL MANIFESTO DELL’8 LUGLIO 2018

https://ilmanifesto.it/rompiamo-il-silenzio-sullafrica/

 

COMMENTI

Rompiamo il silenzio sull’Africa

Appello. Messaggio ai giornalisti italiani: parlate delle ragioni per cui gli africani scappano, della guerra civile in Sud Sudan e in Somalia, dei regimi in Eritrea e Sudan, dei jihadisti in Ciad e Mali, sulla denutrizione di trenta milioni di persone dall’Etiopia al Kenya

Distribuzione di cibo in Sud Sudan

Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo

Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto.

Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.

Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.

 

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È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane Stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno 300mila morti e milioni di persone in fuga.

È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua a essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.

È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.

È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’Onu. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).

Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’«invasione», furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.

Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.

Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’Onu si aspetta già entro il 2050 circa 50 milioni di profughi climatici solo dall’Africa. E ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’Eni a Finmeccanica.

E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).

Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della Rai e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?

Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.

*Missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace

 

 18 LUGLIO 2017

http://www.fnsi.it/appello-di-padre-alex-zanotelli-ai-giornalisti-rompiamo-il-silenzio-sullafrica

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1 risposta a ALEX ZANOTELLI, IL MANIFESTO 8 LUGLIO 2018::: APPELLO AI GIORNALISTI/E ::: ” ROMPIANO IL SILENZIO SULL’AFRICA “

  1. Donatella scrive:

    Su “Il Fatto” di domenica 8 luglio 2018 pag. 4, a cura di Andrea Valdambrini, viene riportato uno studio appena pubblicato da International Alert, ong con sede a Londra. Scritto da Luca Raineri, ricercatore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e coordinato da Marco Simonetti, responsabile per l’Africa occidentale dell’organizzazione non governativa, lo studio dal titolo “If victim become perpetrators” indica come la crescita dell’estremismo violento in alcune regioni del Sahel centrale (Mali, Burkina Faso e Niger) rappresenti la reazione all’incapacità dei governi di offrire sicurezza e servizi alle popolazioni locali. La ricerca si basa su numerose interviste a persone di etnia Fulani, gruppo di pastori seminomadi diffuso in tutto il Sahel occidentale. I giovani Fulani sempre più si uniscono ai gruppi armati jihadisti, che rappresentano da parte loro il maggior problema per la sicurezza di molte importanti aree di questo territorio. Lo studio ha rilevato che a volte è la parte più ricca o la meno religiosa della popolazione ad aderire ai gruppi jihadisti. Il fattore più rilevante che spinge i giovani all’estremismo è rappresentato dalla percezione di abusi talvolta banali, talvolta drammatici da parte dei governi. Questa risposta conferma i risultati di ricerca di altre aree in Africa, come quelle interessate da Boko Haram e al-Shabaab. Da ciò consegue che dare assegno in bianco a forze di sicurezza percepite dalle popolazioni locali come abusive rischia di aggravare il problema e non di risolverlo. Come sintetizza un rappresentante della società civile nigerina citato nel rapporto Alert, le ingiustizie ” generano maggior frustrazione del jihadismo stesso”. Si tratta di un atto di accusa contro un approccio esclusivamente securitario e al tempo stesso di un invito alla cautela rivolto alla comunità internazionale che finanzia i G5 Sahel. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente denunciato decine di casi recenti di esecuzioni sommarie da parte delle forze armate governative del Mali, impegnate nella repressione anti-islamista. ” L’estremismo violento tocca la vita di milioni di persone nel Sahel. ma essenzialmente la risposta militare ha finora fallito nel tentativo di ridurre la violenza e ha invece indebolito le comunità tradizionali nel loro tessuto sociale”, ribadisce il responsabile Marco Simonetti dell’area West Africa di Alert. ” L’opzione militare e repressiva non ha fatto che aumentare la violenza. Se vogliamo stabilizzare la regione è necessario che i governi offrano servizi e sicurezza alle popolazioni locali”.

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