FRANCESCO ERBANI, REPUBBLICA DEL 19 LUGLIO 2018:::pag. 31 ::: ” LA STORIA RITROVATA :: IL ” FIGLIO ” DI SALVEMINI INNAMORATO DI HITLER “

 

REPUBBLICA DEL 19 LUGLIO 2018 —pag. 31

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t e r z a p a g i n a

Il personaggio

La storia ritrovata

Il “figlio” di Salvemini innamorato di Hitler

FRANCESCO ERBANI (notizie al fondo, per chi vuole…)

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GAETANO SALVEMINI ( Molfetta, 1873- Sorrento, 1957)

 

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Donzelli Editore, 2018

 

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Jean Luchaire ( è come si chiama ” il figlio ” di Salvemini )

 

I traditori vanno puniti.

Certamente. Si capisce»: c’è molto dell’intransigenza di Gaetano Salvemini in queste battute riferite da Niccolò Tucci all’indomani della morte del grande storico, meridionalista e politico, avvenuta a Sorrento nel settembre del 1957. Il seguito della frase squarcia il velo di una vicenda tormentata e dolorosissima che sconvolse Salvemini al pari di un’altra, la morte sotto le macerie del terremoto di Messina del 1908 di sua moglie Maria, dei suoi cinque figli e della sorella Camilla. A differenza di quella, però, questa incrociava il suo privato e le sue radicate convinzioni etiche e politiche.

La frase riportata da Tucci proseguiva così: «Per me era come un figlio. Ma l’ha voluto lui ed è giusto che abbia pagato».

A chi si riferiva Salvemini? Su questo dramma, di cui c’era conoscenza, ma non approfondita, ha raccolto molto materiale, in buona parte inedito, la storica Filomena Fantarella, che ha appena pubblicato Un figlio per nemico. Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi (Donzelli). Nel libro è ricostruita una storia, quella dello studioso distrutto dalla tragica fine dell’intera sua famiglia — lui si salvò perché, affacciato alla finestra, restò aggrappato al muro portante dell’edificio mentre il resto della muratura inghiottiva figli, moglie e sorella — che cerca conforto in altri affetti, un’altra moglie che ha già due figli adolescenti. Una storia che avrà un nuovo, ma diverso esito tragico.

E viene ricomposto il tormento interiore di una delle figure simbolo dell’Italia che resiste al fascismo, che conosce il carcere, la morte violenta dei suoi amici e compagni di lotta, l’esilio, un tormento provocato dalla scoperta che una delle persone a lui più care sta dall’altra parte e non soltanto col pensiero, bensì con un’attività costante e svolta in primo piano.

Nel 1916 Gaetano Salvemini sposa Fernande Dauriac, che l’anno prima ha divorziato dal marito e che ha due figli, Jean e Marguerite. Salvemini conosce Fernande da tempo. Lei con suo marito si era precipitata a Messina dopo il sisma e lo aveva sostenuto nel dolore.

Con Fernande, amica di Sibilla Aleramo, femminista e socialista, collaboratrice de La Voce, condivide un mondo di valori e di ideali. La nuova famiglia fu per Salvemini un porto dove riparare le angosce di quella terribile notte del 1908. «La vita», aveva scritto in precedenza a Giustino Fortunato, «non può avere per me più altro scopo, se non quello di dimenticare me stesso in opere che mi leghino agli altri»: di qui un rinnovato impegno nelle battaglie politiche, nel riscatto delle popolazioni meridionali, contro la corruzione.

Fra Salvemini e il piccolo Jean nacque un’intesa affettuosa. Con il patrigno, Jean dialogava come non aveva mai fatto con il padre, Julien Luchaire, che pure era professore di italiano a Grenoble. Crescendo, Jean maturava interessi politici e culturali che Salvemini incoraggiava e la sintonia fra loro era stretta. Il giovane veniva chiamato Giovannino.

Nel 1925 la famiglia si trasferì da Firenze a Parigi. Finché gli era stato possibile, Salvemini aveva resistito alle intimidazioni fasciste. Poi, quando queste avevano alzato il tiro, per l’intellettuale, diventato un faro per la generazione dei Gobetti, degli Ernesto Rossi e dei fratelli Rosselli, si aprì la stagione del “fuoriuscito”, prima in Francia, poi negli Stati Uniti. Jean, nel frattempo, era diventato un giornalista a Parigi. Assai giovane si era sposato ed era diventato padre di quattro figli. E si era avvicinato agli ambienti politici, manifestando una spiccata tensione pacifista, il che voleva dire vicinanza alla Germania e ostilità verso l’Inghilterra.

Le nubi cominciavano a coprire i cieli europei. Il fascismo si era fatto crudele e l’antifascismo si organizzava. Salvemini iniziò a far la spola con gli Stati Uniti, dove si trasferì stabilmente nel 1934.

Fernande rimase a Parigi. Di fatto la famiglia si smembrò, mentre Jean proseguiva nella carriera retto da un’ambizione sfrenata, che lo portò a contrarre debiti. La sua simpatia per la Germania non fu scalfita dall’avvento al potere di Hitler. Salvemini venne avvisato del fatto che i finanziamenti alle attività di Jean provenivano da chi lui aveva avversato per una vita: «Non posso fare che una sola cosa», scrisse a Carlo Rosselli e Alberto Tarchiani nel marzo del 1934, «evitare d’incontrarmi personalmente con lui, da ora in poi, tanto da poter dire che ho rotto ogni rapporto personale il giorno in cui Mussolini pubblicherà che il figliastro di Salvemini ha preso denaro da lui». Il libro di Fantarella segue passo passo il precipitare di Jean, la sua infatuazione per Hitler, fino a toccare l’abisso del collaborazionismo, una volta che la Francia sarà occupata dai nazisti, nel giugno del 1940. Jean diventa uno spietato propagandista del governo Petain attraverso i giornali e la radio, arrivando a esortare allo sterminio dei resistenti francesi. Finita la guerra, Jean viene catturato dagli americani a Merano, dove aveva cercato rifugio, nel maggio del 1945. Processato, viene condannato a morte e giustiziato per alto tradimento il 22 febbraio del 1946.

Come vive Salvemini questa tragedia? Che cosa ne è del matrimonio con Fernande, la quale fino all’ultimo crede che il figlio possa essere graziato e che tenta in ogni modo di giustificarlo? Le lettere pubblicate da Fantarella mostrano la prostrazione di Salvemini, il quale però non intende transigere: Jean, il suo Jean, Giovannino, era colpevole e chi si era macchiato di quei crimini doveva pagare.

Fernande morirà nel 1954, sola, a Parigi, invocando l’affetto e la consolazione da parte di Gaetano.

Che non arriveranno. Il loro sodalizio si era rotto. Tre anni dopo morirà anche Salvemini.

 

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Francesco Erbani (Napoli, 1957)

Francesco Erbani è un giornalista e scrittore italiano. È caposervizio delle pagine culturali di la Repubblica. Nel 2003 ha vinto il premio di Giornalismo civile e nel 2006 il premio Antonio Cederna. È stato il curatore del Città territorio festival di Ferrara. È autore di L’Italia maltrattata (Laterza 2003), del libro-intervista con Tullio De Mauro La cultura degli italiani (Laterza 2004), Il disastro. L’Aquila dopo il terremoto: le scelte e le colpe (Laterza 2010), Roma. Il tramonto della città pubblica (Laterza 2013);  Uno strano italiano. Antonio Iannello e lo scempio dell’ambiente (Laterza, 2001)

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1 risposta a FRANCESCO ERBANI, REPUBBLICA DEL 19 LUGLIO 2018:::pag. 31 ::: ” LA STORIA RITROVATA :: IL ” FIGLIO ” DI SALVEMINI INNAMORATO DI HITLER “

  1. Donatella scrive:

    Che storia terribile e che disgrazie da tragedia greca!

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