MARCO MENSURATI, FABIO TONACCI, REPUBBLICA 13 SETTEMBRE 2018, pag. 19::: ADELE, LA BIMBA CHE HA VISTO DALLA FINESTRA IL CROLLO DEL PONTE SI ESPRIME CON IL DISEGNO MA NON PARLA PIU’

 

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13/9/2018

CRONACA

La storia

Adele, la bimba del ponte che ha perso le parole

MARCO MENSURATI FABIO TONACCI,

 

Dopo aver assistito al crollo si esprime solo con i disegni

GENOVA

Adele non ha più le parole per dirlo. Le ha perse quel giorno.

Quando il mondo è cascato e tutti sono andati giù per terra.

Ha visto, Adele. Ha visto tutto.

Era lì, affacciata alla finestra.

A quell’età, quando piove, guardi i lampi a bocca aperta.

Che ne sai di stralli e cemento precompresso, quando vai alla scuola elementare? È solo un ponte. Il ponte alto sopra la tua testa. Che una mattina di pioggia d’agosto, crolla. Viene giù.

Come nei cartoni animati.

Fa un gran fracasso. Poi il silenzio. E Adele ora non sa più parlare. Disegna.

A sentire gli psicologi che stanno assistendo vittime, sfollati e soccorritori del ponte Morandi, ogni paziente racconta il momento a modo suo. Chi si concentra sul frastuono, chi sulle macchine che volavano, chi sul diluvio da apocalisse che riempiva il cielo. Ogni racconto è diverso. Tutti, però, sono rimasti colpiti da una cosa. Il silenzio dell’attimo dopo. Come se la valle del Polcevera avesse trattenuto il respiro. Quel vuoto ha tolto la parola ad Adele, la bambina che alle 11.36 del 14 agosto è diventata muta.

A raccontare la sua storia, facendo ben attenzione a non comunicare nessun elemento che possa rendere riconoscibile la piccola (il nome Adele è di fantasia), è Sara Bandini, rocciosa preside dell’istituto comprensivo Sampierdarena, una delle due scuole competenti per i quartieri della zona rossa.

«Su Genova si stava abbattendo un temporale spettacolare. E come molti altri bambini della zona, Adele era affacciata alla finestra per vedere i lampi». La mamma stava ai fornelli, preparava il pranzo e, insomma, la scena era quella solita. Poi d’un tratto il boato, la terra si muoveva: i sismografi hanno rilevato che la caduta dei pezzi di viadotto ha provocato un terremoto del primo grado.

I minuti successivi sono confusi, frenetici, terrificanti. Forse — ai suoi occhi — ancor più spaventosi di quel ponte che si spezza come fosse fatto di Lego e delle automobili che saltano e si accartocciano. Il tempo di prendere quattro cose, Adele e la mamma sono di sotto, in strada, dove nel frattempo si sono riversati tutti gli altri abitanti della via. Formiche in preda al panico, nessuno sa cosa fare e dove andare.

«In quegli istanti carichi di ansia, nessuno si è accorto che la piccola era diventata improvvisamente silenziosa.

Troppo. Solo con il passare delle ore i suoi genitori hanno capito che c’era qualcosa che non andava. Così sono venuti da noi», spiegano gli psicologi di Emdr Italia, un’associazione di medici specializzati nell’applicazione di un metodo strutturato per il trattamento dei traumi. Lasituazione, per loro, è stata chiara sin dall’inizio. «Lo choc visivo ed emotivo ha prodotto un blocco nella bimba». Un blocco che, nei giorni successivi, invece di ridursi è peggiorato. Perché Adele e i suoi non sono potuti rientrare in casa.

Spiegano le dottoresse Isabel Fernandez e Stefania Sacchezin, responsabili dell’associazione: «Se per un adulto è complesso abbandonare le proprie cose e abituarsi a nuovi ambienti, figuriamoci per un bambino, per giunta già traumatizzato».

Così è cominciato il lavoro dei terapeuti, che per prima cosa hanno dovuto stabilire un canale di comunicazione con lei.

«Canale che non poteva non essere quello più facile per i bambini: il disegno». Con matite e pennarelli, Adele piano piano prova a esprimere ciò che ha dentro. Ai genitori è stato chiesto di accudirla con la massima dolcezza possibile, ma anche di lasciarle i suoi spazi, visto che il superamento di certi traumi è una questione intima ed individuale. Non ci sono cure uguali per tutti. Alcuni bambini ne escono grazie ai giocattoli.

Altri pazienti ritrovano se stessi parlando allo specchio, quando rimangono soli nella stanza.

A volte serve solo tempo e un po’ di pace.

«I medici sono abbastanza certi che il blocco sia momentaneo — spiega ancora la signora Bandini — e che con ogni probabilità il ritorno a scuola e un minimo di routine, migliorerà la situazione. Anche ritrovare i propri giocattoli, lasciati nella casa, può servire». Per ora quell’attimo di silenzio dopo il crollo è ancora lì, nella sua testa. Non se ne va.

Adele sa. Ma non riesce a dirlo.

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