+++ CRITICHE DA BANKITALIA E DALL’ UPB ( UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO) — DALL’ISTAT — DAL CONSIGLIO NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI, questi ultimi in merito al condono–IL MESSAGGERO E REPUBBLICA DI QUESTA SERA

 

IL MESSAGGERO DEL 9 OTTOBRE 2018

https://www.ilmessaggero.it/economia/news/bocciato_def_no_rispetto_regole_stime_pil_ue-4028030.html

 

Manovra, critiche da Bankitalia e Upb: «Stime sulla crescita ottimistiche»

Martedì 9 Ottobre 2018

Conte e Tria

Il governo tenta di arginare l’offensiva dei mercati. Nel giorno in cui lo spread tocca i 315 punti, rivedendo i massimi da aprile del 2013, e Bankitalia manifesta tutto il proprio scetticismo sulla manovra mentre l’Ufficio parlamentare del Bilancio arriva a bocciare il quadro programmatico dell’Esecutivo, la paura di non riuscire a tenere sotto controllo la finanza pubblica si fa più concreta. Ma nonostante ciò Matteo Salvini e Luigi Di Maio assicurano di voler tirare dritto: «andiamo avanti, la manovra non cambia perché altrimenti tradiremmo gli italiani», dicono a sera davanti a Palazzo Chigi prima di dare avvio a un nuovo vertice. Sotto assedio in Parlamento per oltre tre ore, intanto il ministro dell’Economia Giovanni Tria evoca però un «whatever it takes» all’italiana: la linea Maginot dello spread viene fissata a quota 400 e in quel caso «il governo farà – spiega – quello che deve fare, come ha fatto Draghi». Pronti dunque, dice il ministro degli Affari Europei Paolo Savona, a «cambiare la manovra» se necessario anche grazie, come chiosa Matteo Salvini, all’aiuto dei cittadini.

In Parlamento è la giornata delle audizioni alla nota di aggiornamento al Def e le critiche all’impostazione scelta dall’Esecutivo giallo-verde sono nette: riguardano la qualità delle misure scelte, e ancora tutte da scrivere in vista della presentazione della legge di bilancio, ma anche il quadro programmatico. Bankitalia boccia l’operazione che nel suo complesso definisce «modesta» e prende di mira una delle misure chiave promossa da Lega e 5S, la riforma della legge Fornero (peraltro poco convincente anche secondo il Fondo monetario internazionale): secondo Palazzo Koch bisogna salvaguardare la «sostenibilità e l’equità intergenerazionale del sistema pensionistico italiano» e dunque «è fondamentale non tornare indietro». In una sorta di ping pong in tempo reale, replicano secchi e all’unisono entrambi i vicepremier Salvini e Di Maio: «niente e nessuno ci potrà fermare», afferma il leader leghista che assicura di voler andare «avanti». Ancora più piccata la risposta del leader 5S: «Se Bankitalia vuole un governo che non tocca la Fornero, la prossima volta si presenti alle elezioni con questo programma. Nessun italiano ha mai votato per la Fornero. È stato un esproprio di diritti e democrazia che viene rimborsato. Indietro non si torna». Tocca poi anche alla Corte dei Conti farsi sentire. Questa volta è la pace fiscale (che altri definiscono condono) a venire messa in discussione nella convinzione che sconti e sanatorie incidano sull’equità fiscale, osservano i magistrati contabili e che però, secondo il premier Giuseppe Conte, avrebbero lanciato un «allarme ingiustificato».

Su tutto aleggia il debito, troppo alto: puntare sulla crescita non è in «contrasto», è il leit motiv delle audizioni, con il rispetto della disciplina di bilancio. Per la Corte dei Conti, «la traiettoria disegnata nella Nadef non appare rassicurante». Ma anche la crescita è sovrastimata, è la bacchettata dell’Upb che decide di non validare il quadro programmatico messo a punto dal governo ammonendo sui rischi di un giudizio negativo da parte di Bruxelles. Uno stop che non è vincolante ma che porterà portare il ministro Tria, in partenza per il Fmi a Bali, di nuovo davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato nella mattinata di domani. A lui poi la scelta: correggere le stime o confermarle, assumendosi la responsabilità di inviare in Europa un documento privo dell’approvazione dell’autorità italiana dei conti pubblici.

Ultimo aggiornamento: 21:28

 

 

REPUBBLICA 9 OTTOBRE 2018

https://www.repubblica.it/economia/2018/10/09/news/l_ufficio_parlamentare_di_bilancio_boccia_il_def_non_validabile_-208585402/

 

L’Upb e Bankitalia bocciano il Def: “Previsioni troppo ottimistiche”

L’audizione del presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio Giuseppe Pisauro e del vicedirettore della Banca d’Italia Federico Signorini sulla Nota di aggiornamento. Critici anche Istat e Corte dei Conti

di ROSARIA AMATO

 

 

– L’Ufficio parlamentare di Bilancio “ritiene che non sia possibile validare le previsioni macroeconomiche relative al 2019” contenute nella nota di aggiornamento al Def, appena presentata dal governo. Secondo l’Upb sono troppo ottimistiche le previsioni di crescita del Pil reale (1,5 per cento) e nominale (3,1 per cento): troppi i forti rischi al ribasso, dovuti in parte alle “deboli tendenze congiunturali di breve termine”, ma anche alle “turbolenze finanziarie”. Troppo ottimistiche anche le previsioni per gli anni successivi, aggiunge l’Upb, nonostante non sia tenuto a dare un giudizio anche sul biennio successivo.

L’ottimismo eccessivo del governo trascura anche i costi legati all’aumento dello spread:  l’Upb calcola una maggiore spesa per interessi di 17 miliardi al 2021, corrispondenti a 0,9 punti percentuali di Pil. Forti dubbi anche sull’incidenza sul Pil degli investimenti che, osserva il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, nell’audizione sulla Nota al Def davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, dovrebbe aumentare dall’1,9 per cento del 2018 al 2,3 per cento nel 2021, “obiettivo certamente condivisibile ma particolarmente ambizioso se raffrontato all’andamento recente”.

L’Ufficio parlamentare di bilancio esprime una particolare preoccupazione per il mancato rispetto delle regole europee, e in particolare del Patto di stabilità e crescita, che potrebbe essere considerato “particolarmente grave” dalla Commissione Ue.

Le bocciature dell’Upb tuttavia non sono una novità: infatti nel 2016 neanche il Def firmato dall’allora ministro dell’Economia Padoan ottenne la validazione. Tuttavia, in quel caso Padoan tornò in Parlamento e, pur mantenendo la previsione di crescita, alla fine aumentò le stime del deficit, ottenendo a quel punto la validazione.

Giudizio negativo anche da parte della Banca d’Italia, che ipotizza un forte allungamento dei tempi di abbattimento del debito. Già a maggio, dice nel corso dell’audizione in Parlamento il vicedirettore Federico Signorini,  “avevo fatto presente che ai tassi di interesse allora prevalenti sarebbe stato possibile ricondurre il peso del debito al di sotto del 100 per cento in circa dieci anni, purché si avviasse subito una convergenza dell’avanzo primario verso il 4 per cento del PIL, in assenza di shock di mercato. Se si ripetesse meccanicamente lo stesso esercizio utilizzando i tassi di oggi e ipotizzando una ripresa del consolidamento posticipata al 2022, come annunciato nella Nota, si vedrebbe che il tempo necessario per raggiungere lo stesso livello si allungherebbe, teoricamente, di altri sette od otto anni. La fiducia dei risparmiatori nella credibilità del processo di rientro rischierebbe di esserne intaccata”.

Soprattutto, anche Bankitalia giudica le previsioni di crescita del Nadef eccessivamente ottimistiche:  “L’aumento dei trasferimenti correnti, quali quelli connessi con la spesa sociale, così come gli sgravi fiscali, tendono ad avere effetti congiunturali modesti e graduali nel tempo; stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia contenuto”. E quindi, la crescita del Pil nel 2019 si manterrà persino sotto l’1%.

Al coro delle richieste di prestare attenzione si iscrive anche la Corte dei Conti. “Interventi a favore dei trattamenti previdenziali e delle politiche di assistenza che puntino al contrasto della povertà devono essere adottati senza mettere a rischio la sostenibilità finanziaria del sistema”, ha detto il presidente Angelo Buscema, in riferimento a reddito e pensioni di cittadinanza da inserire in Manovra. Proprio in considerazione del debito pubblico così elevato, Buscema ha ricordato che “un indebolimento delle riforme che hanno contribuito ad una maggiore sostenibilità del nostro sistema non può non destare preoccupazione”.

Di peso altre critiche della Corte: secondo i magistrati contabili, “il quadro macroeconomico programmatico appare ottimistico”, mentre sono “contenuti” i margini di sicurezza “rispetto a una risalita del debito/Pil”. In definitiva, “la traiettoria disegnata nel quadro programmatico della Nota non appare rassicurante”. Dito puntato anche sul tema del condono. “Il ripetersi di modalità di prelievo (sanatorie fiscali o mitigazioni del prelievo su limitate tipologie di soggetti) che, pur dettate dall’intento di riequilibrare e, ove possibile, alleggerire l’onere fiscale, può incidere sulla stessa percezione di equità fiscale o introdurre nuove distorsioni nelle scelte adottate nel mondo del lavoro”, ha rimarcato Buscema.

Anche l’Istat – sempre in audizione sulla Nadef – ha ribadito la sua cautela. “Le prospettive a breve termine dell’economia in base ai segnali forniti dall’indicatore anticipatore istat non risultano favorevoli e lasciano prevedere il prolungamento della fase di crescita contenuta”, ha detto il presidente Maurizio Franzini. “Questi elementi risultano compatibili con l’ipotesi, contenuta nella nota, di una crescita nel secondo semestre su ritmi analoghi al secondo trimestre”, dell’anno, ha aggiunto

Fuori dal Parlamento, un’altra critica a una delle misure della Manovra è arrivata indirettamente dai Commercialisti. Il loro Consiglio nazionale ha rilevato infatti che se la ‘pace fiscale’ voluta dal Governo “si applicasse solo in favore di chi non ha pagato, ma ha dichiarato il proprio debito di imposta all’Erario, gli importi iscritti a ruolo nelle cartelle non supererebbero il 15%”. Proprio nella relazione allegata alla Nota di Aggiornamento al Def sull’evasione fiscale si legge che, “nella media del periodo 2011-2016 il ‘gap’ complessivo relativo all’Irpef da lavoro autonomo, Ires, Iva, Irap, locazioni e canone Rai ammonta a circa 86,4 miliardi di euro: di questi, 13,2 miliardi sono ascrivibili alla componente dovuta ad omessi versamenti ed errori nel compilare le dichiarazioni, mentre il ‘gap’ da omessa dichiarazione ammonta a circa 73,2 miliardi”. Perciò, il “15,3% dell’evasione è di chi ‘dichiara, e poi non paga’ il restante 84,7% deriva da dichiarazione infedele o omessa”.

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