LE PERLE DI NEMO DI OGGI ::: CARLO PETRINI, MONEY TRANSFER::: UNA TASSA PUNITIVA E XENOFOBA — Da «aiutiamoli a casa loro» a «facciamoci aiutare da loro a casa nostra»…!

 

 

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repubblica del 24 dicembre 2018 –pag. 33

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Money transfer

UNA TASSA PUNITIVA E XENOFOBA

Carlo Petrini

 

Da «aiutiamoli a casa loro» a «facciamoci aiutare da loro a casa nostra». Forse ci è sfuggito che dal primo gennaio entrerà in vigore una tassa dell’1,5% sui trasferimenti di denaro all’estero. Un balzello sulle rimesse dei migranti, cioè sui soldi che i lavoratori stranieri mandano periodicamente nei propri Paesi d’origine per aiutare le famiglie rimaste. Per gli italiani, abituati a percentuali stellari di carico fiscale, l’uno e mezzo può sembrare poco. Questa tassa va a colpire i migranti che in Italia hanno un regolare lavoro e che dunque pagano le tasse, esattamente alle aliquote che conosciamo bene. Non solo, ma colpisce coloro che pagano le nostre pensioni, perché versano oggi contributi che molto difficilmente incasseranno una volta anziani. Senza contare, poi, che anche le agenzie di money transfer esigono la loro percentuale sui trasferimenti, che oscilla tra il 7 e il 10% ma può arrivare fino al 15.

Quindi, per spedire 50 euro a casa, un migrante in Italia rischia di doverne pagare quasi 10. Un’ingiustizia conclamata, tant’è che l’Onu più volte è intervenuta imponendo commissioni minime alle agenzie di trasferimento.

Evidentemente il concetto di “aiuto a casa loro” va rivisto o finalmente smascherato. Perché le rimesse sono, per molti Paesi poveri, una delle fonti primarie di reddito per chi è rimasto e rappresentano un’àncora di salvezza per intere comunità. Inoltre, dal punto di vista finanziario, considerando che le rimesse tassabili sono all’incirca 4,2 miliardi di euro, lo Stato porterebbe in cassa 60 milioni. Una cifra marginale in un bilancio da 550 miliardi.

Tassare le rimesse è un provvedimento esclusivamente punitivo, espressione delle più becere tendenze xenofobe di questo governo. Un governo che, sulla stessa onda, non ha firmato (rimangiandosi la parola dello stesso premier Conte) il Global Compact for Migration dell’Onu, l’accordo globale sull’accoglienza dei migranti approvato con il voto favorevole di 152 Paesi.

Ma che Paese stiamo diventando? Non si sa se fa più paura l’arroganza delle iniziative del governo o la nostra capacità, come cittadini, di sopportarla. Flebili sono le voci fuori da questo coro inquietante di sovranismo da bar, e la forza della risposta civile ancora troppo marginale. Colpa anche di una sinistra che non esiste più, polverizzata in questioni congressuali e organizzative di piccolo cabotaggio e silente su temi dirimenti come questi. Fa strano allora doversi aggrappare a papa Francesco come unico leader che sul palcoscenico mondiale ha il coraggio e la caratura morale per esprimere posizioni chiare su una deriva nella quale non dovremmo accettare di venire invischiati.

Eppure non possiamo rassegnarci, perché ovunque è evidente che esiste una massa critica di cittadini che non ci stanno a essere rappresentati da un governo forte coi deboli per non affrontare le vere questioni complesse di un’Italia impantanata.

Serve, in questa fase, la forza di dire che non siamo disposti a vedere il Paese lanciato senza freni sulla strada della chiusura e della xenofobia, occorre ritrovare il piacere di dire a gran voce che un’altra Italia non solo esiste, ma è numerosa e vivace. Possiamo arginare quest’onda, rallentarla, sgonfiarla.

Dobbiamo almeno provarci, altrimenti non potremo tenere la testa alta quando i nostri figli o nipoti ci chiederanno dove eravamo quando un’umanità dolente veniva respinta, rinchiusa e sfruttata

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