RQUOTIDIANO DEL 28-12-2018 ::: ” Il pentito chiese nuovi documenti per il fratello “: ” Sono privo di documenti di copertura. E così pure mio fratello Marcello e mia sorella Caterina” (GIROLAMO BRUZZESE )–ERA IL 2011 E FU MESSO A VERBALE.

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 28-12-2018

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Il pentito chiese nuovi documenti per il fratello

Il pentito chiese nuovi documenti per il fratello

L’esecuzione a Pesaro – Girolamo Bruzzese nel 2011 mise a verbale che era preoccupato per Marcello, ucciso a Natale, e per la sorella

Sono privo di documenti di copertura. E così pure mio fratello Marcello e mia sorella Caterina”. Già nel 2011 il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese aveva segnalato i problemi legati alla sua sicurezza e a quella dei suoi familiari che avevano deciso di seguirlo accettando il programma di protezione previsto per i parenti dei pentiti.

Il giorno di Natale gli è stato ucciso il fratello Marcello. Non sappiamo se la falla nel sistema di protezione sia collegata a questa sua “denuncia”, ma un fatto è certo: Mommo Bruzzese più di sette anni fa aveva lanciato l’allarme ai magistrati. Il Fatto ha contattato i protagonisti della vicenda per verificare l’esito di quel colloquio investigativo sostenuto dall’ex ‘ndranghetista il 12 aprile 2011 in via Giulia, a Roma, negli uffici della Dna, Direzione nazionale antimafia. Abbiamo chiesto al sottosegretario Luigi Gaetti se quei documenti furono mai consegnati alla famiglia di Bruzzese: “Non sono ancora in grado di rispondere a questa domanda. Domani (oggi, ndr) avrò tutto l’incartamento. Comunque i documenti di copertura sono una cosa, il cambio di generalità è un’altra ed è molto più complessa”.

Ritornando al colloquio investigativo, quel giorno davanti al pentito Bruzzese c’era Roberto Pennisi, uno dei magistrati più esperti delle cosche della Piana di Gioia Tauro. Il mese prima, il collaboratore aveva chiesto di essere sentito per fornire ai pm altre informazioni sugli affari del boss Teodoro Crea detto “u murcu”, e di suo figlio Domenico all’epoca latitante. Una volta raccontato tutto ciò che poteva essere utile alle indagini sulla cosca di Rizziconi, Mommo Bruzzese chiese di non chiudere il verbale perché aveva ancora qualcosa da dire. Il pentito aveva paura per l’incolumità dei suoi familiari. Alla Dna segnalò i problemi che stava riscontrando con il Servizio centrale. Ed è a questo punto del colloquio che Mommo si sfoga denunciando di essere costretto, anche nella località segreta, a utilizzare il suo “vero” nome: “Ho sottoscritto per accettazione la proposta di liquidazione rivoltami dalle competenti autorità che curano la mia protezione – sono state le sue parole – tuttavia debbo dire che nell’attuale periodo in cui ancora non si è definita tale procedura, io e la mia intera famiglia viviamo in condizioni di difficoltà perché sono privo di documenti di copertura. E così pure mio fratello Marcello e mia sorella Caterina e le rispettive famiglie”.

Quel verbale fu trasmesso dall’allora capo della Dna Piero Grasso alla Procura di Reggio. Sulle cosche della Piana di Gioia Tauro all’epoca indagava Michele Prestipino, oggi procuratore aggiunto di Roma. “Non ho memoria specifica di quell’episodio, – dice il magistrato – sia perché sono passati 7 anni sia perché capita molto spesso di ricevere segnalazioni di questo tipo”. Di una cosa è certo però Prestipino: “Per prassi segnaliamo sempre al Servizio centrale e sono certo che lo abbiamo fatto anche in quell’occasione”.

La Commissione sui programmi di protezione per collaboratori e testimoni di giustizia all’epoca era presieduta dal sottosegretario Alfredo Mantovano. E oggi il sottosegretario Gaetti potrà verificare come è stata gestita la pratica “Bruzzese”.

Quel colloquio investigativo, invece, lo ricorda bene il magistrato Pennisi secondo cui “sull’omicidio di Marcello Bruzzese non bisogna fare la caccia alle streghe. Ci sono condotte che possono sfuggire a qualunque attività di protezione”. Se è stato un omicidio di ‘ndrangheta lo stabiliranno le indagini. “Il tempo trascorso dalla collaborazione di Bruzzese all’omicidio del fratello, – conclude Pennisi – significa che c’è stata da parte della cosca una particolare protervia. Non è il tempo passato che può far venire meno il pericolo in cui versano i collaboratori e i loro familiari”.

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