PROF. MARIO RICCIARDI (LUISS) — IL FATTO QUOTIDIANO DEL 16 -03-2019 — PUBBLICA UNO STRALCIO DELL’INTERVISTA DEL PROF. DELLA LUISS A ROMANO PRODI…SUL NUOVO NUMERO DELLA RIVISTA DE IL MULINO

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 16 MARZO 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/03/16/nulla-deve-cambiare-a-pechino-affinche-tutto-il-resto-cambi/5041479/

 

 

» ECONOMIA

sabato 16/03/2019

“Nulla deve cambiare a Pechino affinché tutto il resto cambi”

Romano Prodi – “Per Xi Jinping un minore controllo sulla società fermerebbe la crescita”

“Nulla deve cambiare a Pechino affinché tutto il resto cambi”

Esce in libreria e in edicola il nuovo numero della rivista Il Mulino. Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista che il direttore, il professore di Filosofia del diritto alla Luiss Mario Ricciardi, ha fatto a Romano Prodi, ex presidente del Consiglio e della Commissione europea.

 

Professor Romano Prodi, dai tempi di quando lei era presidente della Commissione europea a oggi abbiamo assistito a tanti cambiamenti geopolitici, alcuni di grande portata. Ma certamente è la Cina l’attore al quale lei, da tempo, guarda con particolare attenzione.

Ai tempi della mia Commissione (1999-2005) c’era una grande, comune prospettiva storica in cui quel Paese enorme seguiva delle linee di sviluppo che, pur partendo da molte posizioni indietro, erano le linee degli altri, del libero mercato, dell’industrializzazione, dell’adeguamento alle regole generali del Wto. Con Xi Jinping la musica è cambiata. La Cina ha spaccato l’Europa adeguando la sua politica all’andamento del mondo. Oggi, di fronte alla crescita della Cina, e alla crescita di complessità della società cinese, Xi agisce. Lo fa secondo una logica che a me piace riassumere così: Pechino è l’opposto di Palermo, se nel Gattopardo tutto doveva cambiare perché tutto rimanesse uguale, a Pechino tutto deve rimanere fermo affinché tutto nella società possa cambiare. Cioè: di fronte a sommovimenti così repentini il Partito comunista ha rafforzato il suo controllo non solo nel governo e nell’esercito, ma su tutta la società cinese. Un minor controllo sulla società, nella visione della nuova dirigenza cinese, avrebbe certamente provocato una sosta della crescita e quindi la rottura del compimento della trasformazione cinese.

Nel frattempo è poi cambiata la sfida tra Russia e Stati Uniti.

La sfida americano-russa non è più solo sul trade, ma è una sfida sull’innovazione, sulla scienza. Anche se da molte parti si criticano i risultati raggiunti dal mondo scientifico cinese resta il fatto che il numero delle pubblicazioni cinesi nelle maggiori riviste scientifiche tiene ormai testa a quello americano. La grande sfida è cominciata quando la Cina ha lanciato il progetto 2025 e oggi, in alcuni dei più grandi settori della tecnologia, i cinesi sono davanti (il caso Huawei è emblematico). Trump la vuole fermare prima che sia troppo tardi, date anche le implicazioni che questa situazione ha sullo sviluppo dei programmi di ricerca legati all’intelligenza artificiale. Consideriamo che il 40% dell’esportazione cinese è prodotto da imprese multinazionali non cinesi. A differenza di quella russa, la sfida cinese è globale, va dalle ricerche nello spazio alla biologia molecolare. Non dimentichiamo che Reagan ha potuto mettere in crisi l’Unione Sovietica perché l’Urss aveva una situazione economica particolarmente fragile. La Cina di oggi è tutt’altro che debole. Nel 2018 è cresciuta del 6,4%, il che corrisponde a quasi tutto il Pro- dotto nazionale russo: è un po’ come dire che la Cina cresce di una Russia all’anno.

Di fronte a un potere di tali dimensioni dovrebbe risultare chiaro a tutti che abbiamo bisogno di un’Europa forte.

Certo. Anche perché a questo punto la domanda da porsi è: è immaginabile che un Paese così forte, con una proiezione internazionale così importante rinunci alla tentazione di fare prima o poi anche una politica di potenza? Difficile rispondere, ma è una domanda importante. Colpisce quanto le élite cinesi abbiano ben presenti le vicende della seconda metà dell’Ottocento e degli inizi del Novecento. Non scordiamo che il ricordo delle umiliazioni o delle paure subite dura moltissimo. Quando aprimmo i negoziati a Helsinki per le trattative con la Turchia, il cancelliere austriaco si oppose ammonendoci di ricordarci l’assedio di Vienna, nientemeno. Quindi non è che dobbiamo poi stupirci di questo aspetto. La Cina aumenterà ancora le spese militari (ancora oggi ridottissime rispetto a quelle americane). Fino ad ora la sua strategia è la difesa regionale. Ma sino a quando? E come può un’Europa divisa e largamente sovranista fronteggiare sfide di questa portata? Il sovranismo è una conseguenza del cambiamento del mondo tanto a est quanto a ovest, anche se dobbiamo riconoscere che il Paese più sovranista d’Europa è proprio l’Italia. Perché la somma dei consensi di cui sono capaci Lega e 5 Stelle è più elevata di quella di Orban. È dunque anche colpa nostra se stiamo perdendo quel disegno europeo che veniva riconosciuto dagli altri, che aveva un’influenza forte su tanti Paesi vicini.

 

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