Nel 1960, quando in Brasile si festeggiava il centenario del Modernismo, veniva pubblicato Quarto de despejo. Diario de uma favelada (Ripostiglio. Diario di un’abitante delle favelas) di Carolina Maria de Jesus (1914-1977). Il libro racconta una vita di miseria, la lotta costante per la sopravvivenza e la ricerca ardente di un’identità nel mondo. Per la prima volta veniva data una testimonianza in prima persona di che cos’era la vita di una donna brasiliana di origine africana che viveva in una favela.
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Carolina Maria de Jesus. Una biografia ai margini della Letteratura
Ciotta Neves Rita
Alpes Italia
Roma, 2099; br., pp. 124.
(Itinerari del Sapere. 6).
collana: Itinerari del Sapere
ISBN: 88-6531-538-5 – EAN: 9788865315385
Questa biografia della scrittrice Carolina Maria de Jesus (1914-1977) vuole ripercorrere la vita e la produzione letteraria di una singolare protagonista della letteratura brasiliana e raccontare alcuni momenti fondamentali della storia del grande paese sudamericano: dal periodo coloniale fino alla sua affermazione come paese moderno e la prima industrializzazione negli anni ’50, quando inizia la grande urbanizzazione e nascono le prime favelas. Carolina, nera, nubile e madre di tre figli, vive nella favela Canindé, alla periferia di São Paulo, quando nel 1960 viene scoperta da un reporter brasiliano, che le permette di pubblicare il suo primo libro, “Quarto de Despejo”, un diario della durissima vita dei favelados. Il libro le darà un inatteso e straordinario successo letterario, anche se effimero. L’avvento della dittatura militare in Brasile e l’abbandono dei media, la respingeranno, infatti, nell’oblio e nella miseria. Carolina non smetterà mai di scrivere: diari, un romanzo, poesie, testi teatrali. Considerata tra i primi e più significativi esempi di Letteratura Nera brasiliana, Carolina è una delle protagoniste della Letteratura Marginale.
8 LUGLIO 2019
https://unaparolaalgiorno.it/significato/B/bugigattolo
Bugigattolo
bu-gi-gàt-to-lo
SIGNIFICATO ::: Piccolo stanzino, ripostiglio; abitazione angusta e squallida
etimo discusso.
Si parla di stanzini, di ripostigli dei più stretti, e per generosa estensione anche di abitazioni particolarmente asfittiche e squallide. Il che è reso mirabilmente nel suono da un susseguirsi annodato e rapido di occlusioni, chiuso da un (probabilmente solo apparente) suffisso ‘-attolo’ che all’orecchio stringe e diminuisce ulteriormente. Ma c’è, nemmeno nascosto, un richiamo curioso e rilevante.
Se nell’usare il termine ‘bugigattolo’ il fatto che dentro ci sia un ‘gatto’ ci suona, e ci suona curiosamente appropriato, potrebbe non essere un caso. Voci autorevoli sostengono che l’origine del ‘bugigattolo’ sia il ‘buco del gatto’ (dalla variante ‘bugio’ di ‘buco’). Vale probabilmente come ‘gattaiola’, e la piccolezza della porta per gatti si ripercuote idealmente sulla piccolezza della stanza, ma comunque tutti sappiamo che per passare il loro tempo in comodità, alle ampiezze atriali più fastose i gatti preferiscono spesso i più imponderati pertugi — al cuscino panoramico sul piedistallo, la scatola da buttare che abbiamo cacciato nello sgabuzzino.
Se non è il gatto il metro del ‘bugigattolo’, altre voci di vaglia sostengono che abbia un’origine settentrionale, a partire da parole scaturite sempre dalla radice di ‘buco’, come busighèr (‘bucicare, bucare’), e menzionando volentieri in questo arcipelago il veneto busegatolo, il bolognese busgât. Che sia per gatti o no, il bugigattolo è un buco. Peraltro lo stesso termine ‘buco’ ha anche i significati di ‘bugigattolo’, ma l’essenzialità e la generalità della sua immagine rendono questo senso in maniera molto dura e sprezzante. Se ti dico che l’amica appena trasferita, mamma mia, vive in un buco, l’immagine è cruda; se dico che c’è un buco di sbratto dove ficcare giusto le scope, sono molto secco. Invece il bugigattolo, anche quando è davvero minuto, anche quando è davvero penoso, non perde mai una tenue sfumatura di dolcezza, quasi di serenità felina. Sto in un bugigattolo ma non ho bisogno d’altro, sulla cucina si apre anche un bugigattolo con due scaffali per le conserve, e il negozio di quel vinaio è un bugigattolo, ma hai sentito che nettare?
TRECCANI.IT
sbratto s. m. [der. di sbrattare¹]. – [lo sbrattare e, anche, il suo risultato] ≈ (non com.) sbroglio. ● Espressioni: non com., stanza di sbratto [locale in cui si mettono mobili e oggetti che momentaneamente non si usano] ≈ ripostiglio, stanza di sbroglio. ‖ cantina, soffitta.
sbrattare1 v. tr. [lo stesso etimo di imbrattare, con altro prefisso]. – Rendere libero da tutto ciò che ingombra o insudicia: s. la tavola, una stanza; e assol.: ora andate tutti in salotto, perché qui devo sbrattare. Non com. in senso fig., liberare da persone, o anche da animali, non desiderati o pericolosi: s. la zona dai banditi; nessuno lo arrivava in bravura a s. il paese dagli animali dannosi (Bacchelli); anche, lasciar libero un luogo: intima loro [il Governatore di Milano ai bravi] di nuovo che, nel termine di giorni sei,abbiano a s. il paese (Manzoni); Lesti, stringetevi, Sbrattate il posto (Giusti)
imbrattare v. tr. [der. di bratta «sudiciume», voce di etimo ignoto che si trova in qualche dialetto (cfr. genov. brata «fango»)]. – Sporcare, insudiciare con sostanze fluide o appiccicose o coloranti: i. un vestito d’inchiostro, di vernice, di colla; i. i fogli, i. i muri con scritte; rifl.: sono scivolato e mi sono imbrattato di fango dalla testa ai piedi; tutto della bruttura, della quale il luogo era pieno, s’imbrattò (Boccaccio). Anche, lordare con immondizie: i. un tratto di strada, il pavimento, la casa. In espressioni fig.: imbrattarsi le mani di sangue, commettere un delitto; colpe che imbrattano l’anima; a mescolarsi con certa gente ci s’imbratta, si perde di onore e dignità.
Quando ero piccola la “sbratta” a casa mia era quello che rimaneva della polvere di caffè nella caffettiera “napoletana”, dopo che la bevanda era uscita. Subito dopo la guerra, quando caffè ce n’era ancora poco in commercio ed era caro, certi facevano asciugare la “sbratta” e la riutilizzavano.