DONATELLA ::: Quella sera che Falcone e Borsellino ridevano come due amici qualunque — LINKIESTA DEL 23 MAGGIO 2012

 

 

LINKIESTA DEL 23 MAGGIO 2012

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23 maggio 2012

Quella sera che Falcone e Borsellino ridevano come due amici qualunque

Quella sera che Falcone e Borsellino ridevano come due amici qualunque

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Il 27 marzo del 1992 Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si danno appuntamento al palazzo Trinacria di Palermo, nel rione storico della Kalsa. L’occasione è la presentazione della candidatura alla Camera dei deputati del collega Giuseppe Ayala. La città è in fermento, il 5 e 6 aprile si terranno le elezioni politiche dell’era Mani Pulite. I due magistrati sono l’uno accanto all’altro. Si dicono qualcosa, parlano a bassa voce. Poi uno dei due fa una battuta. E il sorriso compare sui loro volti. Dall’altra parte del tavolo c’è un giovane fotoreporter del Giornale di Sicilia, Tony Gentile, che preme il pulsante della sua macchina fotografica proprio in quel preciso momento. Il giorno successivo la fotografia non viene pubblicata. «Magari la usiamo un altro giorno», gli dicono. Ma dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, quell’immagine diventa il simbolo della rinascita di una terra che reagisce contro la logica mafiosa. «Quello scatto purtroppo ha acquisito il significato che oggi gli diamo», racconta Tony Gentile, «per quello che è successo dopo. Altrimenti sarebbe rimasta una foto come tante altre».

Tony Gentile, com’è nata quella fotografia?
Lavoravo come fotoreporter dal 1989. Nel 1992 collaboravo già con l’agenzia Reutersdalla Sicilia e con la cronaca locale del Giornale di Sicilia. Una sera, il 27 marzo di quell’anno, mi sono trovato a coprire un convegno legato alla candidatura del magistrato Giuseppe Ayala. Falcone e Borsellino erano seduti a quel tavolo. Non so cosa si siano detti, ma a un certo punto tra di loro si è creato questo momento di battuta e hanno sorriso. Io credo che stessero scherzando su una delle persone sedute al tavolo con loro. Ma è una mia idea. Così è venuta fuori quella foto.

Quella sera c’erano anche altri fotografi, ma solo la sua foto mostra la complicità e l’amicizia tra i due magistrati a pochi giorni dalla loro morte.
È stata una confluenza di fattori diversi. Forse la prontezza di riflessi, la posizione, l’aver compreso subito il gesto. E così ho fatto quattro o cinque scatti consecutivi. Certamente il fattore determinante che ha reso famoso lo scatto è che la foto sia stata pubblicata e che sia stata usata più delle altre fatte quella sera. L’intera sequenza degli scatti, comunque, sarà in mostra a Palermo dal 24 maggio al 3 giugno in occasione del ventennale della strage di Capaci e via d’Amelio.

La foto, però, non venne pubblicata immediatamente. Venne “ripescata” qualche mese dopo.
Sì, la sera del convegno portai alla redazione del Giornale di Sicilia i miei scatti. Ci furono dei commenti di apprezzamento per quella foto. Mi dissero: “Bravo, è carina, magari la usiamo un altro giorno”. Ma il giorno dopo non venne pubblicata. Tra maggio e luglio, poi, dopo la strage di Capaci, un amico mi disse: “Ma tu non avevi fatto quella bella foto di Falcone e Borsellino?”. Così la inviai all’agenzia di Roma con la quale collaboravo. E il 20 luglio, il giorno successivo alla strage di via d’Amelio, i maggiori quotidiani nazionali, dal Corriere della sera a La Stampa, la ripresero e la pubblicarono in prima pagina.

Così quell’immagine divenne simbolo della rinascita della Sicilia.
Quello scatto, purtroppo, ha acquisito il significato che oggi gli diamo per quello che è successo dopo, a causa delle stragi. Se non fossero stati uccisi Falcone e Borsellino, sarebbe stata una foto come un’altra. C’è stato un editore in città che decise di metterla sui manifesti contro la mafia che venivano affissi a Palermo in quei giorni. Qualcuno pensava che io fossi l’unico fotografo presente quella sera al palazzo Trinacria. In realtà c’erano altri colleghi che scattarono foto simili. Ma quella complicità, quei sorrisi ce li ha solo quella foto.

Uno scatto in bianco e nero: è stata una scelta stilistica?
È uno scatto in bianco e nero non per una ricerca estetica. Nel 1992 i giornali erano tutti in bianco e nero. Noi fotografi andavamo in giro con una macchina in bianco e nero per i quotidiani e un’altra a colori per i settimanali. Lo scatto è in bianco e nero perché era destinato a un quotidiano. Magari se fossi stato inviato da un settimanale, ora quella foto sarebbe a colori.

Come reagì a quelle stragi? Il significato assunto da quello scatto si trasformò anche in un particolare impegno antimafia?
Io credo nel giornalismo obiettivo. Le idee intime del giornalista sono un’altra cosa. E quelle può averle chiunque, dall’imbianchino al vigile urbano. Certo la legalità fa parte dei miei valori e cerco ogni giorno di trasmetterla anche ai miei figli, che a casa vedono quella foto di Falcone e Borsellino appesa dappertutto. Mi è capitato anche di scrivere alcuni libri sul tema mafioso e sono legato a Rita Borsellino, sorella di Paolo, da una amicizia molto forte. Lei era proprietaria della farmacia dietro casa mia, a Palermo.

Quindi conosceva di persona Paolo Borsellino e Giovanni Falcone?
Di persona no. Li conosci da disturbatore, come tutti i fotoreporter e i giornalisti. E loro imparano a conoscerti e ti tollerano. Mi ricordo però del discorso di Paolo Borsellino alla biblioteca comunale di Palermo dopo la morte di Falcone nella strage di Capaci. Io ero ai piedi del tavolo dietro il quale il magistrato era seduto. Ho scattato tante foto, ma a un certo punto le sue parole mi hanno talmente emozionato che mi sono seduto a terra all’angolo della scrivania a osservarlo da vicino. Avrei voluto scrivergli un mio pensiero su un bigliettino per fargli arrivare la mia vicinanza. Ma non lo feci, non so perché. Dopo il 19 luglio andai a raccontare questa cosa a Rita Borsellino e le portai in regalo quella foto che ritraeva il fratello sorridente insieme a Giovanni Falcone.

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