MARINA GORI, grazie a ! GABRIELLA SABA, Il film Colonia, diretto dal regista Florian Gallenberger e interpretato da Emma Watson e Daniel Brühl ( 2015 ) –REPUBBLICA, 16 MAGGIO 2016

 

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Florian Gallenberger(Monaco di Baviera1972) è un regista e sceneggiatore tedesco.

 

 

 

 

 

 

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La colonia infernale cilena: sfondate quella porta

Paul Schäfer, ex infermiere nazista e pedofilo, aprì, a 400 chilometri da Santiago, luogo di sevizie travestito da ospedale, poi usato anche da Pinochet. Un film racconta. Siamo tornati sul luogo dei delitti

di Gabriella Saba

 

trailer in italiano –1,26

 

 

 

 

REPUBBLICA.IT / VENERDI’ / 16 MAGGIO 2016

https://www.repubblica.it/venerdi/articoli/2016/05/16/news/la_colonia_infernale_cilena_sfondate_quella_porta-139902683/?fbclid=IwAR20ySVn-TbHVbu0Fmrv2zfeFCcXNKnrM6OhA4JGdiTXSLcmOKfKCbqhUEM

 

 

CARRAL (Cile). Soltanto quando era sposata ormai da vari mesi, a Erika Tymm venne il sospetto che il matrimonio non fosse solo vivere nella stessa casa e dormire l’uno accanto all’altro, marito e moglie, aspettando l’arrivo dei bambini. Aveva 44 anni e nessuna idea di cosa fosse il sesso. Ma anche se lo avesse saputo i figli non sarebbero venuti: non tanto per l’età ma per l’effetto degli elettroshock a cui era stato sottoposto il marito da piccolo, e per le botte a sangue per castigarlo dei pensieri impuri. «È stato anche abusato» spiega con un soffio di voce la 56enne Erika, occhi azzurri e accento tedesco. «Ma non è il solo, quasi tutti i bambini qui venivano abusati».

Scorci di vita nel lager nel Sud del Cile, in cui per quasi quarant’anni l’ex infermiere della Wehrmacht, membro della Gioventù hitleriana e pastore di una setta religiosa, Paul Schäfer, già indagato in Germania per pedofilia, stabilì nel 1961 un regno degli orrori insieme a una piccola corte di gerarchi e a qualche centinaio di fedeli ignari. La storia ha ispirato il film Colonia, diretto dal regista Florian Gallenberger e interpretato da Emma Watson e Daniel Brühl, nelle sale italiane il 26 maggio. Che, narrando l’amore tra una hostess e un fotografo tedesco e attivista pro Allende sequestrato dalla Dina, svela per la prima volta al pubblico gli orrori di Colonia Dignidad, centro di detenzione e tortura durante la dittatura di Pinochet oltre che inferno di uno spietato pedofilo.

La villa in Lussemburgo in cui è ambientato il film è una ricostruzione abbastanza verosimile di quella originale, situata alla fine di una strada di 40 chilometri per metà sterrata che porta da Parral, a 400 chilometri da Santiago, fino allo spiazzo in cui l’insegna Hotel Baviera accoglie i turisti. Villa Baviera è il nome della nuova azienda in cui, da qualche anno, hanno trasformato Colonia e che comprende anche l’albergo: case con tetti spioventi e paesaggi a saliscendi che sconfinano nel fiume e nelle Ande, sentieri che si perdono in quindicimila ettari di pini e prati. Paesaggio malinconico ma bello, non fosse che le tracce del passato sono ovunque. Molti degli abitanti sono gli stessi che arrivarono dalla Germania al seguito di Schäfer e si trovarono in un incubo di cui non tutti si accorsero.

Erano contadini poveri che costruirono case e un ospedale per bambini e trasformarono quelle terre in campi fertili, aprirono un ristorante e si accreditarono nella zona come un centro modello di cui però nessuno, fuori, conosceva le regole: maschi e femmine vivevano separati, mogli e mariti non potevano frequentarsi, né frequentare i figli su cui vegliava invece Schäfer, il tedesco con un occhio di vetro che li obbligava a lavorare nei campi 15 ore al giorno per poi chiamarli nella sua camera: dove faceva il bagno insieme a loro, li sedava e li obbligava a masturbarlo per poi penetrarli. Chi si ribellava veniva castigato, per esempio con la corrente sui testicoli.

«Aveva un modo suadente di farci credere che quello che facevamo con lui era giusto, che era la Bibbia a permetterlo» racconta Efraín Veuhoff, che oggi ha 49 anni e vive a Santiago. È figlio di cileni che lo portarono a due mesi nell’ospedale di Colonia per un’influenza e lì rimase sequestrato fino all’età adulta. Già, perché al pedofilo dopo qualche tempo i tedeschi non bastarono più e cominciò a reclutare i ragazzini dei dintorni: bambini di famiglie povere che convinceva ad affidarglieli per farli studiare e che consideravano un onore che i propri figli vivessero nella Colonia.

E fu così che il destino dei piccoli cileni si incrociò con quello dei tedeschi originari. «Schäfer ci convinceva che soltanto lì dentro ci fosse il bene e il mondo fuori fosse peccato. Non ci insegnava lo spagnolo né avevamo la tv, era vietato uscire e uno dei pochi momenti sociali erano le prediche in cui spiegava la Bibbia, o meglio la sua interpretazione perché a noi proibiva di leggerla».

Nella sala delle prediche oggi c’è la Zippelhaus, il ristorante dell’albergo: grandi finestre e pareti tappezzate con le foto dei bambini di quarant’anni fa. Intorno all’edificio corre un sentiero di piastrelle e botti di vino, un’atmosfera casereccia in cui ogni anno si festeggia l’Oktoberfest. Anziane con cuffiette e occhi chiarissimi sgusciano via quando mi vedono. C’è un filo ambiguo che lega passato e presente e in cui bugie e collusioni si intrecciano con vergogna e traumi e trasformano le vittime in carnefici. Come nel caso del marito di Erika, il 55enne Gunter Schaffrick, che sta scontando una pena a undici anni per aver reclutato bambini cileni su incarico di Schäfer.

Tra quella condanna e le prime voci sulle infamie di Colonia corrono ben 36 anni. Nel 1967, infatti, il giovane Wolfgang Müller riuscì a scappare dal lager e una volta in Germania raccontò quello che succedeva là dentro, ma la cosa sembrò inverosimile. Ci fu qualche altra fuga prima del colpo di Stato ma la benevolenza del regime liquidò i sospetti: non solo Pinochet era amico di Schäfer ma la Dina si serviva di Colonia Dignidad per detenzioni e sparizioni.

«Quel pedofilo era fissato con la tecnologia e il suo gruppo si era specializzato nell’intelligence e nella vigilanza. Aveva metodi di tortura sofisticati che “prestava” alla polizia segreta» racconta Hernán Fernández, avvocato di molti abusati e nemico numero uno di Colonia Dignidad dal 1996, quando la prima mamma si rivolse a lui per denunciare che il figlio, ospite di Schäfer, le aveva fatto avere un biglietto con scritto: «Portami via da qui. Mi violenta» (Fernández è poi riuscito a tirar fuori sia quel bambino che altri sei).

Durante la cena a base di sushi nel suo appartamento a Santiago,l’imperturbabile avvocato mi racconta molte cose ma glissa sul fatto che in più occasioni gli hanno buttato all’aria la casa e hanno perfino progettato di ammazzarlo con il gas sarin nella sua auto. Non parla nemmeno di un’altra storia nota: e cioè che si deve in parte alla sua determinazione se il 10 marzo del 2005 il vecchio pedofilo è stato catturato in una casa in Argentina, dove si nascondeva da otto anni con la figlia adottiva e qualche guardia.

Fino al 1997, Schäfer aveva continuato a praticare i suoi delitti a Colonia, grazie alle collusioni con i pezzi grossi del regime che continuavano a contare anche in democrazia. Il primo presidente democratico Patricio Aylwin cercò di chiudere il lager ma i tribunali si rifiutarono di avviare le inchieste. «Fu proprio tra il ’91 e il ’96 che Schäfer visse il suo periodo d’oro» spiega Fernández. «Sentendosi imbattibile, fece arrivare decine di ragazzini del posto che faceva adottare dai tedeschi e impiegava come schiavi».

Eppure, tra i più accaniti difensori di Colonia ci furono per molto tempo gli abitanti della zona, grati per l’ospedale e ignari del resto. Ancora oggi, molti coloni considerano quella clinica, ormai chiusa, un’opera benefica e ne esibiscono le foto, anche se l’allora direttore Hartmut Hopp è stato condannato per complicità in abusi sessuali e nella fabbricazione di armi. Hans Schreiber, 44 anni, è uno dei direttori della nuova Holding Villa Baviera, in cui oggi vivono 139 coloni e figli di coloni e lavorano decine di cileni. A lui chiedo perché gli abitanti del luogo hanno accettato per anni tutto questo. «Scappavano dalla povertà e si fidavano di Schäfer, pensavano che la costruzione di un mondo nuovo richiedesse sacrifici. Noi bambini, in particolare, non capivamo che quel modo di vivere era sbagliato perché non ne conoscevamo un altro».

Soltanto nel ’96 il governo cileno ha tolto la personalità giuridica a Colonia, un anno dopo Schäfer è fuggito, travolto dalle denunce. Da allora sempre più giovani studiano fuori e qualcuno è tornato a lavorare nella nuova azienda che si occupa anche di avicoltura e confeziona strudel. Sei persone dello staff di Schäfer, su 24 condannati, hanno pagato con il carcere, ma nessuna vittima è stata risarcita. Resta il mistero su dove sia finito il denaro: quello dei donatori tedeschi che finanziarono la setta e i soldi accumulati con lo sfruttamento dei coloni. Benché Schreiber prenda le distanze dal passato, lo hanno bollato per aver proposto ai coloni di cedere la loro memoria in cambio di terre.

Non si sa ancora quando Colonia verrà proiettato in Cile, ma in un appartamento di Santiago c’è appena stata un’anteprima per alcuni protagonisti della guerra a Schäfer (morto nel 2010 in carcere, dove scontava 33 anni per abuso sessuale, omicidio e deposito di armi, nascoste nel lager). C’erano anche Efraín Veuhoff, e l’avvocato Fernández.

 

 

 

IL TESTO CHE SEGUE E’ TRATTO DA ” SENTIERI SELVAGGI “

Colonia, di Florian Gallenberger

 

l governo Merkel, per bocca del ministero degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, ha reso accessibili i documenti sulla storia del villaggio situato a 350 chilometri a sud di Santiago del Cile, verso la Cordigliera. Dossier «segretissimo». I documenti sarebbero dovuti restare inaccessibili ancora per dieci anni. Carte «top-secret» in cui si racconta di come i gerarchi nazisti abbiano potuto lasciare la Germania nel 1945 così come narrato nel romanzo «Dossier Odessa». E delle complicità trovate, in questa fuga, di qua e di là dell’Atlantico. Senza dimenticare le torture inflitte, in questa specie di eden ai piedi delle Ande, agli oppositori della dittatura militare in Cile, e le terribili collusioni che anche l’ambasciata tedesca mostrò in quegli anni (vedi l’ultima sequenza). In 40 anni, da quella colonia, solo 5 persone sono riuscite a scappare, testimoniando quanto accadeva all’interno di essa. Ma le cose non sono mai cambiate, pur destando sgomento e orrore ai nostri occhi. Solo nel 2004 Paul Shafer, il “santone demoniaco” della comunità (interpretato da Michael Nyqvist), pedofilo e completamente folle, è stato arrestato e condannato a 33 anni di carcere. Emma Watson interpreta Lena, donna che per amore, si affilia alla setta per ritrovare Daniel, ma quella sua scelta la condurrà in un tunnel di orrori e devastazioni psicologiche, prima di riuscire a ricongiungersi. Opera interessante, capace di tenere con il fiato sospeso dall’inizio alla fine, riuscendo anche a creare l’atmosfera thriller in alcune scene. Certamente il tema è talmente forte da lasciare in secondo piano l’aspetto puramente estetico, che comunque si mostra di tutto rispetto. Non è totalmente chiaro quanto ci sia di romanzato nell’intreccio, in particolare nella scena della fuga, ma nonostante l’eccesso di linearità del racconto, ciò non risparmia crudezza delle immagini e soprattutto la potenza della denuncia.

Titolo originale: Colonia dignidad
Regia: Florian Gallenberger
Interpreti: Emma Watson, Daniel Bruhl, Michael Nyqvist, Vicky Krieps, Martin Wuttke, Richenda Carey, Jeanne Werner,
Distribuzione: Good Films
Durata: 110’
Origine: Germania, 2015

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