ANSA.IT ++ GIAMPIERO GRAMAGLIA, IL FATTO QUOTIDIANO, 15 SETTEMBRE 2019 ::: Droni Huthi contro raffineria Riad. Il regno non è più al sicuro.

 

Risultati immagini per attacco degli houthi ad una raffineria in arabia saudita?

FOTO DALL’HUFFINGTON POST

 

Risultati immagini per CARTA GEOGRAFICA ARABIA SAUDITA E YEMEN ?

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ansa.it — 14 settembre 2019 –ore 22,40

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2019/09/14/yemendroni-huthi-contro-raffineria-riad_5367ad74-edca-4ec2-9e12-041871bc08bd.html

 

 

Droni Huthi contro raffineria Riad, Trump condanna l’attacco

E’ la più grande del mondo, preso di mira anche un giacimento petrolio. Pompeo accusa l’Iran

 

 

Ribelli Huthi hanno attaccato con droni una raffineria in Arabia Saudita, la più grande del mondo, ed un importante giacimento di petrolio gestito dalla compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco. L’attacco ha provocato esplosioni ed incendi alla raffineria di Buqyaq: per il momento non si hanno notizie di morti o feriti nella struttura o nel giacimento di Khurais, ne’ è chiaro l’impatto che gli attentati avranno sulla produzione.

 

LA RAFFINERIA DI BUQYAQ
Donald Trump ha parlato con il principe saudita Mohammad Bin Salman “per offrire il suo sostegno all’autodifesa dell’Arabia Saudita”, dopo l’attacco con droni dei ribelli yemeniti a due strutture della compagnia petrolifera saudita Aramco. Lo rende noto la Casa Bianca. “Gli Stati Uniti condannano fortemente l’attacco di oggi a importanti infrastrutture energetiche. Azioni violente contro aree civili e infrastrutture vitali per l’economia globale aggravano solo il conflitto e la sfiducia”, informa una nota.

E il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha accusato l’Iran per gli attacchi a impianti petroliferi sauditi, affermando che Teheran “ha lanciato un attacco senza precedenti alle forniture energetiche mondiali”.

 

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 15 SETTEMBRE 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/09/15/il-regno-non-e-piu-al-sicuro-raid-huthi-con-i-droni/5453663/

 

 

IN EDICOLA/MONDO

Il regno non è più al sicuro, raid Huthi con i droni

Il regno non è più al sicuro, raid Huthi con i droni

La guerra nello Yemen – La milizia sciita colpisce le raffinerie di petrolio, l’inviato Onu Griffiths: “Estremamente preoccupato”

 

Gli insorti Huthi riescono di nuovo a colpire dallo Yemen il territorio saudita: ieri mattina, hanno attaccato, con una decina di droni, una raffineria in Arabia Saudita, la più grande al mondo, e pure un importante giacimento di petrolio gestito dalla compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco. L’azione, che non avrebbe fatto vittime, ha provocato esplosioni e incendi nell’impianto di Buqyaq, che tratta fino a sette milioni di barili al giorno, e nel giacimento di Khurais, che può estrarre un milione di barili al giorno. Non si sa se la lavorazione e l’estrazione del petrolio possano continuare o debbano rimanere sospese.

Testimoni riferiscono di colpi di armi da fuoco sparati nella raffineria di Buqyaq, ma non è chiaro, neppure con l’ausilio di video online, se la sparatoria fosse parte dell’attacco oppure una reazione delle forze a protezione degli impianti. Il ministero dell’Interno saudita ammette l’azione coi droni e conferma gli obiettivi colpiti, affermando che “è in corso un’inchiesta” per accertare la dinamica dell’accaduto. L’inviato dell’Onu Martin Griffiths s’è detto “estremamente preoccupato”.

Nel 2016, un tentativo di al Qaeda di colpire la raffineria con attacchi kamikaze era stato sventato dalle forze di sicurezza saudite.

Dal canto suo, il portavoce militare degli Huthi, Yahia Sarie, ha rivendicato, in un breve messaggio sul canale satellitare dei ribelli Al-Masirah, l’azione, che alza il livello di tensione nella Regione, dove il conflitto va avanti da oltre quattro anni, con l’intervento di un contingente internazionale sunnita mobilitato dai sauditi, senza che se ne intravveda uno sbocco politico e/o militare.

Per tutta l’estate, le notizie di scaramucce – sporadiche – e attacchi con missili o con droni si sono succedute quasi quotidianamente. C’è stato pure spazio per colloqui a Gedda, in Arabia saudita, tra lealisti e separatisti, finora senza esito. Da venerdì, almeno 13 civili, incluse donne e bambini, sono morti nelle provincie di Hodeida e Taiz, per attacchi degli Huthi: secondo fonti yemenite, 11 persone, tra cui sei di una stessa famiglia, sono state uccise a sud di Hodeida; e due bambini sono stati vittime di tiri di mortaio nella provincia di Taiz, nel sud-ovest dello Yemen.

Da circa 15 anni, dopo la riunificazione di un Paese fino al 1990 diviso in due tronconi, lo Yemen, grande quasi due volte l’Italia e con venti milioni di abitanti, ha conosciuto diverse fasi turbolente che hanno messo in ginocchio la popolazione. Il conflitto in atto, esploso nel 2015 quando gli Huthi prendono la Capitale Sanaa e ne cacciano il presidente legittimo Hadi, è sovente interpretato come una guerra confessionale fra ribelli sciiti e governo centrale sunnita o come una guerra per procura fra l’Iran e la coalizione dei Paesi sunniti, che recentemente s’è però frantumata, mettendo sauditi ed emiratini gli uni contro gli altri.

L’Occidente ne resta fuori, ma vende armi ai ‘lealisti’ e ai loro alleati. L’Iran non lesina il sostegno agli Huthi.

In un libro da poco uscito, The Huthis: Adaptable Players in Yemen’s Multiple Geographies, Eleonora Ardemagni spiega che gli attori del conflitto non hanno identità monolitiche: lo Yemen vede un intreccio di visioni, tradizioni, interessi, che produce una realtà stratificata e fluida. Proprio qui al Qaeda, il 12 ottobre 2000, attaccò un cacciatorpediniere Usa, il Cole, fuori del porto di Aden, facendo 17 vittime e una quarantina di feriti fra i marinai a bordo, nell’ultimo segnale premonitore, non raccolto, di quello che sarebbe stato l’11 Settembre 2001.

Il movimento fondato da Husayn al-Houthi, avvicinatosi all’Iran anche per l’intervento militare della coalizione a guida saudita nel 2015, ha sue peculiarità e i suoi attriti col governo centrale vanno al di là delle contrapposizioni confessionali o geopolitiche. Il conflitto, per la Ardemagni, è innanzitutto uno scontro fra una élite urbana, il regime, e una forza periferica, gli Huthi. La guerra ha poi una forte connotazione tribale. Infine, le frizioni hanno una dimensione sociale: gli Huthi privilegiano da sempre l’élite religiosa discendente da Maometto, i sada; l’ex presidente Saleh, l’uomo forte del Paese fino alla sua morte, nel 2017, si appoggiava alla classe dei giudici, i qadi.

 

 

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Giampiero Gramaglia

Giornalista, direttore di AffarInternazionali.it

 

 

Giampiero Gramaglia, giornalista dal 1972, è stato per molti anni corrispondente dell’ANSA da Bruxelles, Parigi, Washington e, dal 2006 fino al giugno scorso, ha diretto l’Agenzia, di cui guidò gli Esteri dal 1990 al ’97. Dopo essere stato agli esordi cronista degli Anni di Piombo in Italia, ha sempre seguito l’attualità internazionale e l’attività diplomatica, con speciale attenzione per le organizzazioni multilaterali. Ha collaborato e tuttora collabora con numerose testate giornalistiche italiane e internazionali ed è regolarmente ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche. Nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è sposato con Elysa, giornalista, ha due figli, Chiara e Luca.

 

ISTITUTO AFFARI INTERNAZIONALI

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