DARIO FABBRI, SERGIO PETRONI :: Perché l’America abbandona l’Afghanistan all’oblio –LIMES ONLINE DEL 16 AGOSTO 2021

 

 

LIMES ONLINE DEL 16 AGOSTO 2021

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Perché l’America abbandona l’Afghanistan all’oblio

TOPSHOT - Afghans (L) crowd at the airport as US soldiers stand guard in Kabul on August 16, 2021. (Photo by Shakib Rahmani / AFP) (Photo by SHAKIB RAHMANI/AFP via Getty Images)

L’aeroporto di Kabul. Foto di SHAKIB RAHMANI/AFP via Getty Images.

 

 16/08/2021

Un paese diventato inutile, alimento per chi contesta l’impero americano, funzionale solo a provare ad attirare in una trappola le potenze vicine. Che difficilmente ci cascheranno.

di Dario Fabbri, Federico Petroni

L’Afghanistan in mano ai taliban non è novità degli ultimi giorni. La fuga da Kabul è goffa e umiliante. Ma inevitabile conseguenza della decisione degli Stati Uniti di un anno e mezzo fa di abbandonare il paese e consegnarlo scientificamente agli studenti pashtun. Evento di impatto emotivo e simbolico, privo però di reali conseguenze strategiche. Dopo il quale conta soltanto osservare se e quanto attirerà russi, cinesi, pakistani, iraniani, turchi e indiani nel caos.

 

L’Afghanistan non è caduto in dieci giorni, ma in 18 mesi. Da quando nel febbraio 2020 a Doha gli americani si sono accordati con i taliban per ritirarsi praticamente senza condizioni. Cui sono seguiti gli informali patti stretti con pakistani, turchi, cinesi, russi: tutti concordi nell’affidare il paese a chi lo governò fino al 2001.

 

Da allora, gli studenti hanno stipulato accordi con milizie, reparti dell’esercito regolare, capi tribali e autorità locali in ogni parte del paese. Prima a livello di distretto, quindi provinciale. Hanno preparato meticolosamente la quasi incruenta assunzione del potere di queste ore. Si sono curati di non suscitare indignazione fra gli stranieri, senza lasciarsi andare alle barbare celebrazioni della precedente conquista, avvenuta nel 1996. Hanno promesso soldi, cariche o incolumità, contando sul senso di abbandono diffuso tra le sgangherate Forze armate. Hanno dimostrato di tenere alla legittimazione internazionale e di essere in grado di generare consenso. Azione sofisticata che, unita all’investitura ricevuta dall’estero, ha indotto il cosiddetto esercito afghano a dileguarsi.

 

Dal loro punto di vista, i taliban hanno tutto sommato rispettato gli impegni presi con gli Stati Uniti. I quali a loro volta, come spiegato dal segretario di Stato Antony Blinken, hanno deciso di “non togliersi i guanti” di fronte all’offensiva del nemico, permettendogli di prendere il controllo del paese. Ciò che Washington non si aspettava è stata la velocità di esecuzione, che l’ha esposta a considerevole imbarazzo. I taliban avevano “promesso” all’intelligence d’Oltreoceano di agire con maggiore lentezza. Evidentemente troppo ghiotto s’è rivelato l’impulso di mettere in imbarazzo il nemico, pure se nel frattempo assurto a interlocutore.

 

Il danno di reputazione è tangibile, ma il buon nome non basta a fare o a disfare una potenza. L’abbandono dell’Afghanistan scandalizza gli alleati dell’America, ma non incide sulle loro scelte strategiche. Giapponesi o taiwanesi sono sicuramente sensibili alla facilità con cui gli Stati Uniti hanno lasciato Kabul al proprio destino, ma non per questo si consegneranno alla Cina, anzi duplicheranno gli sforzi per ottenere garanzie difensive.

 

Discorso simile per gli europei: imbestialiti dalla compartecipazione alla figuraccia, non hanno la possibilità materiale di creare un sistema d’alleanze indipendente da Washington, anche se potrebbero opporre maggiori resistenze a farsi coinvolgere in altre operazioni pensate dalla superpotenza, in particolare quelle per arginare Pechino.

 

 

Carta di Laura CanaliCarta di Laura Canali

 

 

L’America ritiene di potersi permettere di evacuare l’Afghanistan, per molteplici ragioni::

 

Innanzitutto, quest’ultimo non è un paese strategico e ha perso anche la relativa importanza tattica di cui ha goduto per un certo tempo.

La competizione tra Stati Uniti e Cina si decide in mare, non sulle alture dell’Hindu Kush. Tantomeno ha rilievo ciò che capita in un paese privo di infrastrutture, dominato da clan e tribù. Al netto delle drammatiche violenze che i taliban potranno perpetrare sulla popolazione locale, l’Afghanistan conta quasi nulla.

 

Inoltre, Biden ha confermato il ritiro ufficializzato sotto Trump perché nel frattempo è intervenuto l’attacco al Congresso del giorno d’Epifania.

L’Afghanistan ha alimentato negli anni il malcontento che agita una parte della popolazione statunitense contro le istituzioni. Gli assalitori del Campidoglio rimproverano al governo federale fra le altre cose le inutili guerre in Medio Oriente al terrorismo, infinite perché infinibili, dunque destinate a terminare in tragedia. Un’intera generazione di guerrieri americani si è formata, ferita, uccisa in conflitti astrategici, non esistenziali. Le sconfitte si ripercuotono sempre nella pancia di un impero.

 

La tempesta interna preoccupa più del previsto i governanti e li ha consigliati a staccare la spina senza indugio. Tuttavia l’umiliazione della fuga da Kabul deprimerà ulteriormente le truppe e pure le burocrazie federali, sgomente di fronte a tanto fallimento, blandendo la già sbiadita fede nella loro missione civilizzatrice, alimento di ogni impero.

 

Infine, Washington desidera da tempo trascinare nel pantano afghano tutte le potenze dell’area. Vero obiettivo della dipartita, sebbene complesso da centrare.

 

L’America vorrebbe in particolare indurre la Repubblica Popolare a impegnarsi. In alternativa, spera che il caos afghano traligni in Pakistan, lungo il corridoio delle nuove vie della seta che dal Xinjiang conduce al porto di Gwadar (Guadar). Evento che costringerebbe Islamabad a gestire direttamente il vicino e Pechino a rivalutare il progetto. Ma appare alquanto improbabile che i taliban non riescano a controllare il territorio, specie considerato il sostegno internazionale di cui beneficiano.

 

Gli Stati Uniti pretendono che a occuparsi del paese sia parzialmente la Turchia, tra i principali mediatori tra americani e taliban nei colloqui in Qatar, con l’obiettivo di sfiancare le velleità neo-ottomane.

Ankara è fortemente interessata all’Asia Centrale, parzialmente anche all’Afghanistan, paese iranico dotato di minoranze turcofone, trampolino verso gli uiguri di Cina. Ma Erdoğan ha paura della sua ombra, evita puntualmente passi avventati, difficile si abbandoni al narcisismo nel cimitero degli imperi.

 

Gli americani apprezzerebbero anche un notevole sforzo della Russia, tra quelle potenze che nei secoli si sono suicidate in Afghanistan. Magari per ribadire il proprio rilevante ruolo in Asia Centrale. Ma – pure fosse incredibilmente immemore degli eventi passati – Mosca non possiede i mezzi per lanciarsi tanto in profondità, inconsistenza che la pone al riparo da azioni sconsiderate.

 

Evidenze che presumibilmente abbandoneranno l’Afghanistan al proprio oblio strategico, forse consegnandolo alle cronache soltanto come drammatica origine di nuovi flussi migratori che riguarderanno soprattutto il Vecchio Continente. Senza affondare i principali antagonisti degli Stati Uniti.

 

Eppure abbastanza per convincere Washington d’aver compiuto la scelta giusta. Stufa di attardarsi in un contesto pressoché irrilevante e dispendioso – e poco conta se a erogare materialmente i miliardi spesi sia stata la Cina attraverso il debito pubblico d’Oltreoceano, secondo la massima napoleonica del “mai disturbare un nemico che sbaglia”.

 

Gli Stati Uniti intendono concentrarsi soltanto sulle questioni strategiche, assai meno su quelle scenografiche. Il rischio di guastare la propria narrazione è concreto, specie in Europa, unico continente che bada realmente a democrazia e diritti umani. Ma l’alternativa sarebbe sprecare ulteriore tempo e impegno. Non si poteva agire altrimenti.

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1 risposta a DARIO FABBRI, SERGIO PETRONI :: Perché l’America abbandona l’Afghanistan all’oblio –LIMES ONLINE DEL 16 AGOSTO 2021

  1. ueue scrive:

    Sicuramente gli USA non avevano nulla da guadagnare restando in Afganistan. Il ritiro delle truppe e delle persone che per vari motivi volevano lasciare il Paese poteva e doveva essere organizzato meglio. Così ha dato l’idea della fuga rispolverando i fantasmi del VietNam.

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