SUGGERITO DA NEMO, che ringraziamo ! ::: MICHELE AINIS, Taglio parlamentari, l’utile referendum–REPUBBLICA DEL 9 OTTOBRE 2019

 

 

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NEMO E LE SUE MOLTEPLICI PERLE…

 

 

REPUBBLICA DEL 9 OTTOBRE 2019

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Commento  Parlamento

Taglio parlamentari, l’utile referendum

La consultazione popolare servirebbe a rendere autorevole anche la riforma, a legittimarla con il consenso della cittadinanza

Il taglio dei parlamentari è legge, anzi no. Diventerà legge fra tre mesi, se non verrà chiesto il referendum. Ma questa richiesta – benché prevista dalla Costituzione – si è trasformata in un tabù, nessun partito osa formularla. Così come nessuno, o quasi, s’è messo di traverso nel voto finale della Camera (553 favorevoli, 14 contrari). Tutti d’accordo, la maggioranza di ieri e quella d’oggi, senza opposizione dall’opposizione.

Sono d’accordo anch’io, per quel che vale il mio parere. Un Parlamento snello è anche più autorevole, oltre che più efficiente. Ma il referendum servirebbe a rendere autorevole pure la riforma, a legittimarla con il consenso della cittadinanza. Se la riduzione degli eletti è pop, suona viceversa impopolare ridurre al silenzio gli elettori. E allora perché i partiti tremano all’idea di raccogliere le firme? Bastano 65 senatori o 126 deputati, se 500 mila italiani sono troppi. E non è vero, non è affatto vero, che chi ne promuova la raccolta sia per definizione un paladino della casta, delle sue tante poltrone. Al contrario, questo referendum si pone al servizio della democrazia italiana, per una somma di ragioni. Almeno quattro, come i semi delle carte da gioco. Sempre che lorsignori ci facciano giocare.

Primo: la natura del referendum costituzionale. Confermativa, anziché oppositiva. Qui infatti non si tratta d’abrogare una legge (come accadde con il divorzio), che peraltro non c’è ancora, non è entrata in vigore; si tratta piuttosto di completarne l’iter di formazione, attraverso il responso d’una terza Camera, quella dei cittadini. Che oltretutto in questo caso sarebbero liberi d’esprimersi senza forzature, giacché il taglio dei parlamentari evoca un quesito specifico, puntuale. A differenza del referendum sulla riforma napoleonica di Renzi (47 articoli della Costituzione), che ci costrinse a un prendere o lasciare, in blocco, mettendo in una sola votazione cavoli e cavalli.

Secondo: il dibattito. Non ce n’è stato, oppure si è svolto sottovoce. Lunedì scorso, alla Camera, erano presenti 35 deputati, quando cominciò la discussione; e gli oratori si sgolavano davanti a un emiciclo di poltrone vuote, pur non essendo ancora state tagliate. Più o meno la stessa scena delle puntate precedenti, andate in onda già tre volte in Parlamento. Sicché all’opinione pubblica è giunta un’eco confusa, indistinta, delle ragioni favorevoli o contrarie a quest’ultima riforma. Il referendum – e il dibattito pubblico che giocoforza dovrebbe accompagnarlo – può finalmente colmare la lacuna.

Terzo: la legittimazione. Nel 2012, durante il governo Monti, le Camere corressero l’articolo 81 della Costituzione, aggiungendovi il pareggio di bilancio. Con quattro votazioni rapide, maggioranze bulgare, niente referendum. Risultato: quella riforma è rimasta senza genitori, il pareggio di bilancio è rimasto sulla carta. Perché la regola non scritta, ma ormai vissuta, è che il referendum risulta sempre necessario, specie quando si tocca l’architettura dei poteri (come accadde nel 2001, nel 2006, nel 2016). Non a caso la maxiriforma timbrata nel 2005 dal gabinetto Berlusconi ne permetteva l’uso senza restrizioni, cogliendo – almeno in questo – lo spirito dei tempi.

Quarto: le altre riforme. Servono a rendere coerenti i nuovi numeri del nostro Parlamento con l’assetto complessivo, stando all’intesa siglata dalla maggioranza di governo. E dunque: nuova legge elettorale, nuovo collegio per eleggere il capo dello Stato, diminuendo il peso dei delegati regionali. Il guaio sta nei tempi sfalsati di questo doppio intervento, giacché la seconda tranche fin qui è solo un desiderio. Ecco, celebrare il referendum significa spostare l’orologio costituzionale a giugno, allineando le lancette. Una garanzia per il Pd, che aveva chiesto contrappesi. Cui non dovrebbero opporsi nemmeno i 5 Stelle, alfieri della democrazia referendaria. Sempre che ci sia una logica nella politica italiana.

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