Prima
Tra le tante cose e incarichi che svolge, Dal 1995 insegna « Régimes Politiques Comparées » nel Master in « Etudes Politiques » presso l’Università Paris II, Panthéon-Assas.
IL GOVERNO PERSONALE CHE CORRE VELOCE
ILVO DIAMANTI
IL GOVERNO presieduto da Renzi contrasta violentemente con il precedente, presieduto da Letta. Per diverse ragioni. La prima, esplicita, riguarda il modo in cui è nato. Uno “strappo” personale. Subìto da Enrico Letta, ma anche da Napolitano, che aveva ispirato e tutelato il premier uscente. In qualche misura, questo è un governo del Presidente, in cui il ruolo presidenziale, però, non è più interpretato dal presidente della Repubblica, ma dal presidente del Consiglio.
Matteo Renzi, appunto. Perché questo è il “suo” governo. Non quello di Napolitano. Ma neppure di altri leader: del Pd e dei partiti alleati. La lista dei ministri, per questo, conta, ma non troppo. In parte riproduce lo schema del governo precedente. Per qualità complessiva, a mio avviso, non è migliore. Ma poco importa. In fondo, i due precedenti governi, sostenuti da maggioranze simili, non hanno prodotto i risultati promessi. L’esperienza del governo dei tecnici, presieduto da Monti, anzi, ha contribuito al risultato elettorale di un anno fa. Quando, appunto, nessuno ha vinto. Se non il M5s: il partito degli antipartito. Che ha proseguito lungo il medesimo percorso anche in Parlamento. Come ha dimostrato, plasticamente, il confronto instreaming fra Grillo e Renzi.
La seconda differenza, rispetto all’esperienza precedente, riguarda la composizione e, soprattutto, la natura della maggioranza. Il governo delle larghe intese era fondato sull’emergenza e sull’equilibrio. Dunque, sulla “stabilità”. Non era il governo “di” Letta, ma un puzzle complesso, affidato all’opera di composizione del premier (… inter pares), sotto l’occhio vigile di Napolitano.
Oggi il quadro è molto diverso. Anzitutto, la maggioranza parlamentare è cambiata. Il Pdl non c’è più. Berlusconi è all’opposizione, ma dialoga con Renzi, sulle riforme istituzionali. Il Centro è in briciole. Il Pd è attraversato da tensioni, ma è, di gran lunga, il partito più forte e unito. Dopo le primarie, in particolare, ha visto crescere i consensi e ha un leader forte. Fin troppo, magari. Così, il governo che nasce non ha un programma definito, ma una serie di obiettivi da perseguire in fretta. Per primi: la legge elettorale e le leggi istituzionali. Poi, la crescita economica, l’occupazione dei giovani, la riduzione delle tasse, la sburocratizzazione della pubblica amministrazione. In effetti, il vero programma del governo Renzi è di auto-legittimarsi. In Parlamento e di fronte agli elettori. E, per questo, si propone di “fare” le riforme. Al di là dei contenuti: portarle ad approvazione. In modo veloce. Una riforma al mese. Perché questo è il marchio di Renzi: la velocità. E perché è il segno dei tempi. Veloci. Dove gli esami non finiscono mai. Ma cominciano in fretta. Il primo, importante: fra tre mesi giusti. Le elezioni europee. Dove il premier e segretario del Pd misurerà il proprio peso politico “personale”. Un’occasione di verifica determinante. Per tutti: partiti e antipartiti; maggioranza, opposizione e M5s, che si oppone alla maggioranza e all’opposizione. Poi si vedrà. Di certo, questo non è un governo a tempo. Perché non ha una missione precisa, se non governare e, in questo modo, rafforzarsi.
L’altro elemento che caratterizza il programma di Renzi è “comunicato”, con efficacia, dalla composizione del governo. Dalla biografia e dalla storia dei suoi ministri. Con qualche eccezione (Per tutti: Pier Carlo Padoan, indicato da Napolitano e dalla Ue), si tratta di giovani, di età e, spesso, di esperienza. Scalfari, nell’editoriale di ieri, l’ha definito, per questo, un governo “pop”. A me, piuttosto, pare il “suo” governo. Un governo “personale”. Dove l’unica figura e l’unica immagine che conti è la sua. E lo stesso vale dal punto di vista politico. Perché nel progetto di Renzi non c’è distanza eccessiva tra la maggioranza parlamentare e il partito. Fra il governo e il Pd. D’altronde, Renzi è il leader del Pd, per volontà degli elettori e dei simpatizzanti. Il Pd: l’unico vero partito rimasto in Parlamento e nel Paese. Gli altri navigano intorno a lui, in Parlamento. E, fra gli elettori, non hanno grande fondamento. Mentre, a destra, c’è un’opposizione debole. Quanto a Fi: è difficile per Berlusconi essere credibile, agli arresti domiciliari. E c’è il sospetto (e qualcosa di più…) che Renzi dialoghi con lui, anzitutto, per sottrargli elettori. Mentre la sfida antisistemadel M5s potrebbe indebolirsi se non producesse risultati evidenti.
D’altronde, alla “durata” del governo di Renzi contribuisce la resistenza di gran parte dei parlamentari di fronte all’ipotesi di tornare al voto. Visto che oltre la metà di essi è di prima nomina e, con il Porcellum “emendato” dalla Corte Costituzionale, pochi di loro avrebbero la garanzia di essere rieletti.
Tutto ciò, in fondo, rischia di agevolare il compito di Renzi. Rafforzato dalla debolezza degli altri. E non è da escludere che, strada facendo, potrebbe trasformare questa maggioranza politica nel “suo” soggetto politico. Post-ideologico, postcomunista, post (e un poco neo) democristiano e post-berlusconiano. Infine. Post-moderno (come suggerisce Fabio Bordignon in un saggio su SESP). Il Post-Pd. Il partito Renziano. Raccolto intorno a un leader “nuovo” che raccoglie consensi personali crescenti, al di là e nonostante le sue azioni politiche. Come l’operazione ai danni di Letta. Non è piaciuta alla maggioranza degli elettori, ma la fiducia in Renzi, negli ultimi giorni, è salita lo stesso, raggiungendo il 60% (dati Ipsos). Il fatto è che gli elettori non si fidano più dei partiti e neppure delle istituzioni. Per cui tendono a personalizzare tutto. Anche e soprattutto le loro speranze. E oggi, dopo Monti, Bersani e Letta, finito il tempo dei tecnici e dei partiti, si affidano a un Capo che non si fida molto dei tecnici e neppure dei politici e dei partiti. Anche se (e proprio perché) pare faccia opposizione anche se sta al governo. Quasi che non c’entrasse con quel mondo.
Il futuro di Renzi e del “suo” governo, dunque, appare molto incerto. Perché così è il futuro: incerto. E ogni scenario possibile dura l’arco di qualche giorno al massimo. Tuttavia, Renzi corre veloce, in tempi molto veloci. Non impiegheremo molto a capire se avrà un futuro. E che futuro avrà. Lui, il governo, il Parlamento. Il Paese.
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Sì, in conclusione: stiamo a vedere. Però io vedo dei segnali pesantemente negativi, soprattutto per quanto riguarda la democrazia di questo Paese.