ore 16:23 CAMORRA —++++++ UNA BELLISSIMA “INCHIESTA” DEL QUOTIDIANO REPUBBLICA SULLA NUOVA CAMORRA.

 

LA NUOVA GOMORRA

Scampia ormai non è più il centro dello spaccio. Gli interventi e la presenza costante delle forze dell’ordine hanno costretto i clan a modificare il loro raggio di azione tra Caivano e Afragola, a nord di Napoli. La crisi ha dimezzato il numero delle estorsioni e quello degli appalti pubblici: ce ne sono di meno e i commercianti non sono in grado di pagare. Così le 120 famiglie che dominano il territorio sono tornate a puntare tutto sulla droga. Il volume degli affari è più che raddoppiato con un guadagno che supera i 10 milioni di euro al mese. Una miniera d’oro a cui nessuno vuole rinunciare. A colpi di omicidi spietati: cadaveri carbonizzati dentro le auto. Per lasciare una firma e stabilire chi comanda
di LUCA FERRARI

 

SOTTO, ARTICOLI (FAI CLIC SULLA RIGA VERDE)  CHE FANNO PARTE DELL’INCHIESTA, SE RIESCI AD INTERSSARTENE —

-O TI SEMBRA CHE  GIORNALISTI DICANO SEMPRE LE STESSE COSE…STUDIANO STUDIANO E POI I CARABINIERI NON ARRESTANO MAI NESSUNO PERCHE’   “NON -LIBERI” DAL POTERE POLITICO, SOPRATTUTTO LOCALE?
“L’assalto al potere delle nuove leve” – I ritardi dello Stato di CONCHITA SANNINO

La mappa della camorra in Campania La videoanimazione di PAOLO SAMARELLI

La videoanimazione

di Paolo Samarelli

 

Nella “farmacia” dei tossici
AFRAGOLA (Napoli) “La Camorra è uno Stato. Uno Stato dittatoriale senza burocrazia. Noi siamo i sovversivi che si ribellano a questa dittatura, ma siamo ostacolati dalla burocrazia e dalla mancanza di personale”. Sospira il vicequestore Sergio Di Mauro, dirigente del Commissariato di Afragola, Comune a nord di Napoli. Sospira perché sembra ripetere concetti che esprime a se stesso da anni e che condivide con i colleghi e le colleghe che lo accompagnano in questa guerra infinita. Siamo tornati in Campania per capire cosa sta accadendo nel mondo della criminalità organizzata. La camorra, quella tradizionale, quella che abbiamo conosciuto sui giornali e sui libri, è cambiata. Nella sua struttura tradizionale, nei suoi interessi specifici, nella distribuzione sul territorio. Colpa della crisi che ha finito per condizionare le stesse scelte strategiche dei clan. E colpa degli arresti che hanno comunque modificato gli equilibri interni all’organizzazione.

Non ci sono più soldi per strappare il pizzo ai commercianti, sono finiti i piccoli e i grandi appalti su cui lucrare e imporre le proprie ditte. La nuova camorra si tuffa di nuovo nel mare della droga. Perché resta il settore più vitale e produttivo del momento. La domanda non è mai cessata. Anzi, è aumentata negli ultimi mesi. E’ l’offerta ad essersi adeguata. Soprattutto sul tipo di stupefacente. Domina sempre la coca. Ma il crack e l’eroina sono tornati prepotentemente sul mercato. Perché, al dettaglio, costano meno. E perché rendono più dipendenti gli assuntori. Anche la droga si adegua al momento che viviamo. Finito il ciclo dell’edonismo sfrenato, delle “Mille luci di New york”, dello sballo come modo di vivere in un’esistenza apparentemente normale, la crisi rilancia il tossico tradizionale. L’eroina o il crack per attenuare la depressione, l’assenza di un lavoro, la fine di ideali e prospettive. In una desolazione su cui, in modo freddo e cinico, la Camorra attiva il suo business. I morti delle ultime settimane, cadaveri bruciati nelle auto abbandonate, sono il sintomo di questa lenta trasformazione. Ma è sul territorio che sono cambiate le modalità di azione. Lo abbiamo verificato sul campo.

 

 

A pochi passi da qui c’è Caivano, il teatro della nuova Gomorra. “La parola ‘Gomorra’ oramai è inflazionata e si usa spesso a sproposito”, ci corregge il commissario Di Mauro, “ma il concetto è quello. La Camorra a Scampia ha preso parecchi schiaffi, i controlli delle forze dell’ordine sono sempre maggiori. La nostra azione ha costretto i clan a modificare il loro raggio di azione. Ha rimescolato le carte, imposto nuovi equilibri, creato nuove figure. Anche per questo il grosso dello spaccio di droga adesso si è spostato a nord di Napoli”.

 

 

La nuova Scampia. Un giro d’affari da 100 milioni di euro l’anno. “A Caivano”, ci spiega il vicequestore, “il volume di stupefacenti negli ultimi tre anni è più che raddoppiato”. E questo, facendo due conti, significa che per 10mila euro investiti se ne incassano 100mila. Un guadagno che può anche superare i 10 milioni al mese. Lo spaccio si concentra nel Parco Verde della cittadina. Ha una posizione strategica: è collegato alla superstrada e all’Autosole. È facile entrare, acquistare e vendere, nascondersi e poi sparire. “I clienti ormai arrivano da tutto il sud”, continua Di Mauro. “Dalla Campania, dal basso Lazio, dal Molise, dalla Basilicata e persino dalla Calabria”.

 

 

Pusher, vedette e sentinelle. Così funziona il sistema. Il sistema dello spaccio a Caivano è la replica di quello di Scampia. In ogni piazza – se ne contano almeno quindici – agisce una ventina di persone divise in due turni: mattina e pomeriggio. “Proprio come le forze dell’ordine”, ironizza un ispettore di Polizia di Afragola. Nel weekend c’è un turno extra e si lavora fino alle 3 di notte. C’è più richiesta e quindi l’offerta deve crescere. L’organizzazione prevede uno spacciatore, due “pali” o sentinelle che fungono da diversivi nel caso arrivi la polizia, 3-4 vedette nei piani alti dei palazzi, una casa d’appoggio dove arriva la droga già divisa in dosi e una “base” per tagliare e imbustare. Il sistema ha la potenza di una macchina e la capacità di adattamento di un organismo biologico: “Arrestiamo uno spacciatore ma viene immediatamente sostituito. Facciamo un blitz e aumentano le vedette. I costi crescono perché servono più persone e i boss tagliano di più la sostanza”, spiega il vicequestore.

È come una farmacia notturna: il tossico bussa, si apre la feritoia per la posta, consegna i soldi e prende la sua bustina. Bianca se è eroina, blu se è crack. Il prezzo è di 10-13 euro. Tutto nel rispetto della privacy. Lo spacciatore e le due vedette che fungono da pali, spesso minorenni, sono pagati a dose venduta: 1 euro a testa, compreso l’avvocato. Il salario è raddoppiato se decidono di non usufruire dell’assistenza legale del clan. Le sentinelle nei piani alti dei palazzi percepiscono invece 200 euro a giornata.

“La base”, “il chimico” e “la casa d’appoggio”. Con 150 grammi di cocaina o eroina pura si fa 1 kg di sostanza. Infatti “la roba è una monnezza”, si lamentano i tossici. La droga prima di essere spacciata deve passare attraverso 5-6 livelli. A ogni passaggio corrisponde un taglio. I primi due livelli si trovano al di fuori della piazza di spaccio. È qui che la cocaina o eroina subisce il taglio più importante. La figura professionale che svolge questo compito è “il chimico”. Il professionista del taglio, secondo la Polizia, può arrivare a guadagnare anche 10mila euro al mese. Una volta tagliata, la droga arriva in un appartamento sicuro, “la base”, dove viene divisa in bustine. Bustine blu per il crack e bianche per l’eroina. Lo stupefacente poi viaggia attraverso i tetti degli edifici fino ad arrivare alla “casa d’appoggio” agli ultimi piani dei palazzi, spesso di proprietà di famiglie di carcerati, per poi essere venduta. I proprietari della casa d’appoggio sono pagati anche loro a giornata. Il “salario” varia dai 200 ai 250 euro al giorno.

“Piazza dei carcerati”, il cuore dello spaccio e della guerra. A “Piazza dei Carcerati”, nel Parco Verde di Caivano, è nato e cresciuto Domenico Ciccarelli, alias Caciotto, il boss della Camorra Caivanese che in alleanza con gli scissionisti del clan Amato-Pagano controlla la vendita dell’“oro bianco”. Nonostante l’arresto di Ciccarelli, avvenuto a Orta di Atella il 27 gennaio 2014, il sodalizio criminale tra Caivanesi e Scissionisti sembra tenere. Ma si tratta di un accordo precario. Rischia di incrinarsi da un momento all’altro. Molto dipende dagli arresti: regolano gli equilibri, le presenze sul territorio. Secondo le nostre fonti investigative la cattura del boss di Caivano ha messo in crisi l’allenza. I boss emergenti hanno alzato la testa, provano a farsi largo tra le fila che reggono il grande business della droga. La raffica di omicidi delle ultime settimane sono il risultato della nuova guerra per il controllo dei territori rimasti senza guida. Cadaveri carbonizzati all’interno di auto incendiate. Per non lasciare tracce, depistare. Un fuoco quasi biblico. Per rimettere ordine e ricominciare. Tra nuovi carichi in arrivo e nuovi tossici disposti a tutto, anche di “quella merda”, pur di spararsi qualcosa in vena.

L’INTERVISTA

“L’assalto al potere delle nuove leve”
Il capo della Squadra mobile di Caserta racconta come sono cambiati gli equilibri dell’organizzazione. Non più una struttura piramidale ma orizzontale. Gli arresti, la crisi economica, la mancanza dei soldi, hanno dimezzato le estorsioni che continuano ma con forti sconti. Crack ed eroina finiti in mano ai giovanissimi boss. Con una struttura ramificata che garantisce lavoro a tutti CHIARA: e’ successo come nella jhad, quando sono stati uccisi o spariti (ve lo ricordate il mullar Omar che scappava in motocicletta sui bricchi?) i capi carsmatici—i membri della jihad sono diventati tanti nuclei locali indipendenti, vicini al territorio, che agiscono di propria iniziativa—a meno che non ci sia un collegamento alto che diriga le cose importanti tipo attacco ad una nazione, ma francamente se c’è, questo supercollegamento, non ne ho sentito parlare. (che non significa!)
di LUCA FERRARI

 

 

 

 

CASERTA – “L’Evraiuolo e un altro affiliato del clan Schiavone hanno aspettato il dottore all’esterno della farmacia. Volevano fargli capire chi comanda nella zona, che il pizzo va pagato. Lo hanno agganciato e hanno iniziato a pedinarlo. Ma avevano fatto male i conti. Avevano il serbatoio vuoto. Così, alla fine, sono rimasti senza benzina. Hanno dovuto rinunciare”. Succede anche questo: noti boss a corto di soldi, che restano a secco mentre fanno il giro per riscuotere il pizzo. E’ la nuova immagine della Camorra. Di un clan in particolare. Quello dei Casalesi: in crisi, alla ricerca di denaro, identità, leadership. Il segno di tempi. Di una rivoluzione economica e sociale che ha colpito anche la grande criminalità organizzata. Una realtà raccontata nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carmine Schiavone, figlio di Sandokan, accusato di estorsione nei confronti di un farmacista.

E’ la fine di una stagione?
“Più che di fine parlerei di trasformazione”, osserva Alessandro Tocco, vicequestore, capo della squadra mobile di Caserta. “La guardia non va comunque abbassata. I vecchi boss continuano a comandare dal carcere anche se in regime di 41 bis. I veri rischi, le reazioni improvvise e impreviste arrivano dalle nuove generazioni. Sono impulsive e violente e per certi aspetti più pericolose”.

I Casalesi sembrano frammentati. Chi ha preso il loro posto a Caserta? Chi comanda sul territorio?
“E’ cambiata la mappa del potere. Dopo l’arresto dell’ultimo super latitante, Massimo Di Caterino, il sistema di potere della criminalità organizzata di è passato da una struttura verticale di tipo mafioso, con dei soldati e un “capo dei capi”, a una struttura orizzontale di tipo camorristico. Casal di Principe : adesso manca un leader riconosciuto. Non c’è più una cassa comune e ogni fazione dell’ex cartello criminale, formato dai Bidognetti, dagli Zagaria, dagli Schiavone, fa capo a se stessa. Questo vuoto di potere ha aperto la strada anche al ritorno sul territorio di altre famiglie, come i Venosa, che negli anni 90 avevano perso la guerra contro il cartello dei Casalesi per il controllo del territorio in provincia di Caserta”.

L’irruzione della droga sul mercato di Casale sembra un fenomeno del tutto inedito. Cosa sta accadendo?
“Non ci sono mai stati spacciatori a Casale. È una realtà che non ha precedenti e questo è un ulteriore sintomo di un mutamento degli equilibri perché il traffico di stupefacenti non era il vero business dei Casalesi”.

In che modo sono cambiati gli equilibri?
“In quello che noi chiamiamo la napoletanizzazione dello spaccio. Gli incassi si fanno con la vendita “autogestita” e il territorio si controlla con le estorsioni. Ci sono poi dei subappalti, che vengono pagati con la cosiddetta tassa di tranquillità: si può spacciare anche in territori controllati da altri clan in cambio di una percentuale che viene erogata per compensare la trasferta. Il business va a gonfie vele. Basti pensare che negli ultimi due anni nel Napoletano i sequestri di droga sono aumentati di 100 volte”.

I dati del ministero degli Interni lo confermano. Ma le spese sono tante e i soldi sono pochi. Basta lo spaccio?
“Ogni famiglia ha bisogno di almeno 150mila euro al mese per pagare solamente gli avvocati e i parenti dei detenuti. Le fazioni in campo quindi devono fare cassa. Ma con l’edilizia ferma e con la fine del traffico illegale dei rifiuti, lo spaccio di stupefacenti diventa il modo più il veloce e remunerativo per sopravvivere come organizzazione criminale. La droga si compra nel Napoletano e si spaccia nell’area di Casale e Castel Volturno. Le estorsioni, sebbene diminuite per effetto della crisi che aggredisce i commercianti, restano comunque un modo sicuro per fare cassa. resistono perché rappresentano un sistema di “controllo sociale” per affermare la presenza di una famiglia sul territorio”.

Lo stesso vale per la tassa di tranquillità?
“Le bande autonome che decidono di spacciare sul territorio della provincia di Caserta devono sempre pagare una quota alla famiglia di riferimento. La stessa tassa cosiddetta di tranquillità, tocca però anche alle vittime di estorsioni: commercianti, farmacisti e piccoli imprenditori. Ma la crisi spesso li obbliga a trattare l’estorsione, e così la tassa può scendere anche del 50%. Basti pensare che nell’estorsione per cui è stato arrestato Carmine Schiavone il farmacista da 5000 euro aveva trattato fino ad arrivare a un prezzo di favore: 2500 euro”.

La mappa della camorra in Campania

La mappa della camorra in Campania. È un progetto in corso, iniziato nel 2009. Fonti principali: Storia della camorra (2011), Relazione del ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Dia (2012)

L’ANALISI

I ritardi dello Stato

di CONCHITA SANNINO
Le catture non bastano. Dopo i blitz, il vuoto. “Gomorra è militarmente indebolita. Siamo riusciti a decapitarne tutti i vertici e le batterie di fuoco. Ma economicamente, e politicamente, resta molto attiva. Ora sarebbe il caso di rafforzare lo Stato”.

La battuta di un magistrato della trincea napoletana fotografa lo stato delle gravi lacune dell’antimafia, vista da Napoli ma anche da tante regioni del sud: i tagli alla sicurezza, i pesanti vuoti in organico di Procure e tribunali, soprattutto il disastro (generale, incondizionato) dei tempi della giustizia, con processi che durano troppo e un silenzioso esercito di killer luogotenenti “capipiazza” gregari e spacciatori troppo spesso restituiti ai loro spazi di dominio. Quegli spazi dove resta totale l’assenza di politiche sui territori, nei quartieri e sulle agenzie formative, mirate a sottrarre vastissime platee giovanili al reclutamento della manovalanza. E in grado di disinnescare le “eterne” bombe sociali, dalla Scampia napoletana al Parco Verde di Caivano, da Timpone Rosso nella provincia cosentina al quartiere Archi, a Reggio Calabria: nell’altra grande area d’emergenza europea del crimine organizzato, l’impero dei due mondi, la ‘ndrangheta.

Dopo il blitz, e i risultati raccolti dalle eccellenze investigative, il resto dello Stato non corre, non sta al passo. E non consolida lo spazio guadagnato. E loro, gli uomini e le donne (in ascesa) dei clan lo sanno. Uccidono di meno ma con più ferocia, come racconta la lunga teoria dei nemici carbonizzati, nella faida tuttora in corso nell’area a nord di Napoli. Fanno meno rumore, ma sono più pericolosi, tanto la giustizia ha gambe corte e tempi lunghissimi, in media, per calare la sua falce. Costruiscono imperi e s’infiltrano nel tessuto dei “sani”, tanto i sigilli alle loro ricchezze scivolano nell’enorme imbuto dell’Agenzia dei beni confiscati: un altro grande nodo da rivedere, con i suoi tempi morti e migliaia di immobili e società che vanno in malora – fatte salve importanti e durature eccezioni – perché le istituzioni non sanno rinnovarne la vita. E dimostrare che, anche produttivamente, passare allo Stato conviene.

No, i blitz non bastano, comprese le catture eccellenti. Centoventi clan di camorra solo tra Napoli e Caserta, secondo l’ultimo resoconto consegnato due settimane fa al ministro dell’Interno Angelino Alfano. Oltre 5 mila affiliati stabili, senza contare l’indotto. E un ulteriore livello con cui fare i conti, segnalato dai capi degli uffici giudiziari. “Si è formato una fascia sociale e produttiva in vista che abbiamo chiamato ‘borghesia illegale’, spiega il procuratore capo di Napoli, Giovanni Colangelo. Sono le nuove sembianze assunte dalla società guasta di chi si è riciclato dopo l’abbuffata miliardaria dello spaccio, insieme con figli, parenti e nipoti, magari laureati.

 

 

Ma si può combattere l’industria del crimine, una Spa che non conosce crisi, un investitore senza uguali sempre pronto a immettere liquidità e a interfacciarsi con gli Enti locali, senza disarticolarne il sistema con capacità di penetrazione e bonifica dei territori, senza investire su una scuola non aperta ma spalancata sui quartieri per l’intero giorno e senza la risposta definitiva della giustizia, tramite sentenze che arrivino al terzo grado prima che la custodia preventiva sia scaduta da un pezzo? Un esempio su tutti. Nuovo di zecca: il Tribunale di Aversa istituito cento giorni fa, il cosiddetto presidio di Napoli Nord . Una sola frase, quella del neo procuratore capo, Francesco Greco, consegnata direttamente al ministro di Giustizia Andrea Orlando:

 

“Siamo appena nati e questo ufficio è già al collasso. Siamo entrati in una situazione allucinante”.

 

Il motivo? Una Procura e un Tribunale competenti su un bacino di un milione di abitanti, su un territorio particolarmente denso di clan: è un’enorme somma di periferie. Spiega il procuratore Greco, visibilmente a disagio nel dovere raccontare un fallimento ancor prima di avere avuto il tempo di imprimere un abbrivio: “Il nostro organico è fissato sulla carta in 30 magistrati, ma ce ne sono solo 5 in organico, 4 gli applicati. E dobbiamo occuparci di 39 comuni, di cui ben 31 sono nell’area più nota come “Terra dei fuochi”. Senza contare che ormai i più pericolosi e noti gruppi criminali si sono spostati proprio in questa area”.

 

 

Ma c’è di più: con l’istituzione di quel nuovo Tribunale molti dei processi istruiti sulle cosche collegati al gotha dei casalesi saranno trasferiti da Santa Maria Capua Vetere ad Aversa. Con una perdita di “memoria storica” e di esperienza che non potrà non incidere sulla lotta a Gomorra.

 

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