ORE 21:47 EUROPA ED AMERICA. IL GRANDE FREDDO

  • Corriere della Sera
  • Diminuisci dimensione testo
  • Aumenta dimensione testo
  • Print
  • Contact
  • Mobile
  • RSS feed

LA GUERRA, IL SACRO E UNA SOVRANITÀ DEBOLE

EUROPA E AMERICA IL GRANDE FREDDO

IL GRANDE FREDDO

 

Mai come oggi, si sa, l’ Europa latita: non c’ è una politica estera né una politica militare comune. Eppure – si dice e si è letto – nei giorni passati sarebbe finalmente sorto un «popolo europeo», un’ opinione pubblica compattamente identificata da valori condivisi. L’ avrebbero tenuta a battesimo gli imponenti cortei per la pace svoltisi un po’ dovunque: lì, per la prima volta, avrebbe visto la luce, scavalcando le divisioni delle cancellerie, il popolo nuovo di un’ Europa degli europei. Staremo a vedere. Nel frattempo, però, è forse il caso di capire meglio che cosa si agitava davvero al fondo di quei cortei, che cos’ era e quale sostanza esprimeva quel desiderio di pace. Le migliaia di persone che hanno percorso tante città del continente e l’ insieme dei sentimenti che le agitava sono, innanzitutto, il risultato di una storia. Di una vicenda novecentesca che ha visto l’ Europa autodistruggersi nel corso di due guerre mondiali, perdere l’ egemonia planetaria che per secoli era stata sua, dividersi ed essere costretta a rifugiarsi sotto l’ ala degli Stati Uniti. Come non vedere la profondissima frattura con il passato che si è consumata nel 1945? Da essa l’ universo politico europeo è uscito con la necessità di costruire un’ identità nuova. Ciò che ha fatto grazie all’ arrivo in primo piano delle culture socialdemocratiche e cristiane, non a caso per mezzo secolo padrone dei Parlamenti continentali. Alimentate dalla catastrofe storica delle statualità europee – al cui senso erano per altro ideologicamente estranee – quelle culture non avevano e non potevano avere nulla a che fare con la dimensione bellica, sicché hanno contribuito a rafforzare ancora di più la condizione maggioritaria dello spirito pubblico europeo, il quale di eserciti e di armi non voleva più neppure sentire parlare, vedendovi solo il simbolo della propria rovina. È così che è venuta prendendo forma una diversità rispetto agli Stati Uniti che non potrebbe essere più evidente. Mentre oltreoceano permangono un’ idea e un esercizio forti della sovranità statale (la pena di morte ne è la manifestazione più paradigmatica), mentre lì guerra e democrazia, lungi dall’ essere considerate degli opposti, sono viste come termini non solo perfettamente compatibili ma, in un certo senso, addirittura complementari, da noi nulla di tutto ciò. Noi europei occidentali, ormai fuggiti disgustati dalla sovranità e dalla guerra, noi ormai riusciamo a pensare il «politico» solo in un’ accezione debole, dove esso è sostanzialmente ridotto da un lato alle procedure e dall’ altro alla sfera dei diritti («umani», individuali e sociali). Dove, di conseguenza, la centralità del Parlamento è sempre più insidiata e offuscata da quella delle burocrazie e dei giudici. Il comando politico in senso forte e pieno, quello per intenderci che ancora praticò de Gaulle, ha un sapore ormai sconosciuto ai nostri palati. E poiché tutto si tiene, come stupirsi che nell’ Europa odierna dei diritti e della pace anche Dio e il suo nome siano diventati indicibili? Che nel progetto di Costituzione europea entrambi non possano trovare posto, laddove negli Usa invece essi dominano il discorso pubblico? Tutto si tiene, appunto: esiste un legame ancestrale, di ordine psicoculturale profondissimo, tra la dimensione della violenza e quella del sacro, tra la guerra e Dio, «il Dio degli eserciti» come non a caso lo definiscono ripetutamente i testi più antichi della nostra tradizione religiosa. Sotto tutte le latitudini la politica è stata finora fatta di queste cose. Cose che ai nostri manifestanti per la pace evidentemente non piacciono, che sono fuori, ed anzi probabilmente ostili, alla loro cultura. Come ovvio essi hanno il pieno diritto di pensarla così, tanto più che con ogni probabilità rappresentano orientamenti della stragrande maggioranza. Ma che su tali orientamenti sia davvero possibile costruire l’ Europa, che i cortei della pace siano l’ annuncio dal basso di quella costruzione politica che finora è mancata dall’ alto, su questo è necessario fermarsi a riflettere senza farsi prendere troppo dagli entusiasmi, ma anzi esercitando la virtù del dubbio. È necessario chiedersi, ad esempio, quale soggetto politico potrebbe mai nascere da un rifiuto così sostanziale del «politico» quale fin qui lo abbiamo conosciuto. Un’ Europa, infatti, costruita con i materiali ideologico-culturali espressi dai cortei pacifisti sarebbe davvero un soggetto del tutto inedito. Nata all’ insegna della politica come antipolitica, nonché di un’ accezione debole di sovranità e di decisione, essa verrebbe a costituire in un certo senso il soggetto per antonomasia della post-modernità. In senso profondo prefigurerebbe un vero e proprio rovesciamento della storia, della stessa storia europea: la rivincita di Kant su Machiavelli. Ma in un mondo, ahimè, che continuerebbe massicciamente a ispirarsi al grande fiorentino, a procedere per la sua strada infischiandosene di etica, di pace e di altri princìpi consimili. E allora è difficile allontanare il dubbio che un’ ipotesi così ardita come quella delineata sopra possa realmente riempire ed animare una struttura istituzionale, che un’ Europa siffatta possa realmente vivere di una vita vera, e non di quella dei sogni. È lo stesso dubbio sacrosanto il quale ci obbliga, dovrebbe obbligarci, quando si parla di pace e di guerra, a stare innanzitutto sul terreno della realtà. Terreno sul quale si può benissimo poi concludere a favore dell’ astensione dalla guerra – come spesso ha fatto proprio questo giornale nelle ultime settimane – ma per l’ appunto con ragionamenti tutti cose e fatti, e dunque pronti a tenere conto, qualora ci siano, di nuove cose e nuovi fatti. Non già con il richiamo inappellabile ai princìpi che troppo spesso sono solo cattiva ideologia. Ernesto Galli della Loggia

Galli Della Loggia Ernesto

Pagina 001.018
(23 febbraio 2003) – Corriere della Sera

 

ARCHIVIOcronologico

 

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *