14:43 quaderno 3 probabilmente –con i suoi zii chiara va in Brasile (dove loro abitavano e facevano gli architetti–e dove stava la famiglia di mia zia Maria, tra cui il fratellino piccolo che è Mario—come tutti i diari della gente comune, specie se adolescenti / e con amori impossibili—sono illeggibili. Perché allora pubblicarli? per me: questi quaderni sono nella mia testa dei malloppi “invisitabili”—forse qui, passati attraversa la dolce manina di labarbara, magari qualche pezzo riesco a rileggerlo senza morire, e forse qualcosa, deciderò di comunicarvelo da parte mia oggi—che è poi quello che conta–Pubblicato vuol dire a disposizione del pubblico —o nessuno lo apre—e si sa—ma anche se qualche legge qualche pezzetto per farsi le cosiddette ” crasse risate”…che importa? Le ho già fatte io, su di me, in qualche momento allora. Adesso non rido, penso solo a come uno– “senza sapere né volere” –riesce a buttar via la propria vita—E’ nato così? mi viene solo in mente, che dopo la lezione della suora sulla purezza, mi è arrivata addosso come un camion impazzata –il ricordo di un signore quando avevo 4 anni, forse neanche compiuti–comunque è lo stesso–ve l’ho già raccontato —All’epoca—fine ’50 –sul mio diario ho scritto che il Signore non mi ha fatto morire sul colpo, mi ha tenuto in vita per espiare—Mai tutto è “come ci si racconta”, ma un filo c’è —a saperlo pescare nel mucchio—anche oggi, 71 compiuti, la mia battaglia più violenta (dentro) è per “rispettarmi almeno io come persona”—e questo…non vuol dire come ho sempre fatto di capire perché le persone…nota: il sogno del 10 marzo, che ricordo come oggi, mi ha dato tanta angoscia, non solo per aver capito (come poi è avvenuto quasi subito: dopo aver scritto alla sorella che mi bastava vedere un “no” scritto –ho ricevuto lo sfratto ultimo ) vuol dire tagliare o allontanare quel frutto o bestia che hai provato … INSOMMA L’ORGANISMO HA DUE FUNZIONI : ALIMENTARSI DEL BUONO E NON MANGIARE IL CATTIVO—Credo che il compito di chiara —e me ne rido qui da sola—non è rispettarsi lei…ma diventare UN ORGANISMO VIVETE CHE INGOIA ED ESCRETA— e che a quello che escreta non ci pensa più! Voi siete in ansia di sapere come la vostra pupù o popò arriva allo scarico e poi purtoppo quasi sempre prende il mare—?

 

se ne conoscete uno, tipo antico regime, mandatemelo: lo aspetto per la mia testa!

[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2015/07/Beppe-Junior-Lo-spazzacamino-ITmYOUsic.mp3|titles=Beppe Junior – Lo spazzacamino – ITmYOUsic]

 

 

 

dedica 1–interna della copertina-inizio–

A Mario, mio marito

Te lo dedico: devi leggerlo (col tempo s’intende) bene e capire.

Rileggendolo, trovo addirittura impossibile che una persona, l’amore per una persona, possa perseguitarti tanto. E lo rileggo adesso che siamo insieme e che ti amo in modo così differente da come immaginavo allora.

Per me questi scritti destano ricordi, per te sarà differente. Ma non potrà sfuggirti quanto “inumanamente” mi hai fatto soffrire.

E, bada, dovrai scontarlo tutta una vita, e nell’altra, se ci sarà.

chiara gennaio 1980

 

LIXO = pattumiera

07.09.1964

C’è una me stessa che fa schifo, che è un vero lixo, che diventa ogni giorno peggiore, anche se gli altri la trovano più seria, più impegnata, più consapevole. Sono un lixo imbiancato. E una me stessa, che oltre a essere un lixo è una poveretta, che riesce a dire solo: Mario, senza specificare nulla, amore o no.

Io posso dire d’amare Mario, se questo avesse un senso.

È una me stessa complessa e dolorosa, soprattutto dolorosa, che posso soffrirla ma non descriverla.

È come trovarsi due sole vie davanti – opposte – ma che si sappia già che entrambe siano sbagliate.

È una me stessa – assurda – che io mi rifiuto di seguire e ascoltare per paura delle conseguenze pratiche e “senza senso” comunque.

A me preme moltissimo il mio equilibrio esterno, che sia perfetto, però io so che è un equilibrio senza senso, che mi serve solo per sentirmi in “regola” col mondo esterno, per evitare la scocciatura di spiegazioni.

E questa è una cosa brutta, che dà ad una persona la consapevolezza continua di barare e di essere un lixo. Ancora di più.

È vero che la consapevolezza si attenua e uno finisce per credere ai suoi giochetti come fossero cose serie

AMEN (in coro)

 

10.09.1964

Ripassino, ti devi smontare la testa, che è tutta suonata!

Devo capire molto bene questo: devo smetterla di dire ai miei genitori quello che non mi piace, continuamente. Devo stare assolutamente zitta, e piuttosto dire delle storie.

L’unica cosa importante è che siano contenti, contenti di te, a ragione o no.

Che a te tutto questo sembri assurdo e ti ci rivolti contro, non vuol dire che hai ragione; può essere molto che tu sbagli e quindi più prudente. Nei giudizi. Nessun egoismo è più supremo di chi vuol dire quello che pensa, perché non riconosce a nessuno “diritti” su di sé a non farlo esprimere. E questo forse può essere, ma sono i tuoi genitori, e pare stabilito che si debba stima e riconoscenza comunque. – Perciò -.

Non è questo invece il punto:

proprio perché continuo a ripetere che sono da sola a fare, devo vedere i miei genitori come delle persone da amare, anche con pietà.

Hanno fatto i loro sbagli (anche se dicono di no) hanno i loro limiti, e a loro volta però hanno avuto i loro genitori.

Ma io non li giudico.

Io voglio solo che mi permettano di esprimermi come voglio e non pretendano di mettermi i sigilli e spedirmi come un pacchetto.

Io me ne sento il diritto (anche se non pieno perché non so guadagnarmi neppure 5 £).

È brutto metterti di fronte a loro come chi ha diritto e pretende, senza voler dare nulla in cambio.

Considera piuttosto i tuoi doveri, i tuoi torti – molti – verso di loro e i loro diritti.

Dove tutti vogliono i loro diritti e sono contrastanti non c’è soluzione di sorta.

Sei tu che devi piegarti, perché hai avuto di più e capisci che qualcuno deve farlo.

Sii con loro amorosa e taci, procura di dar loro quello che ti chiedono anche se ti sembra senza senso.

Pensa a quello che ogni giorno ti danno ti sorridono, ti accettano e ti amano per quello che sei, per quel lixo che sei, e tu sai bene fino a che punto lo sei.

È solo questione di pazienza, non c’è neppure il caso di fare l’eroe o sacrificarsi.

Basta solo che tu non ti faccia prendere dal nervosismo, che mantenga la calma e non allarghi le questioni, vedendole nella situazione – – lascia perdere.

Devi – non ti si chiede altro.

Provo una pena infinita per la Grazia, per la sua adolescenza che si affida fiduciosa e che sarà spogliata di tutto

*°*°*°*

 

Belle queste sentente da scettico blu a vent’anni!

 

24.09.1964

Certe volte i ricordi mi prendono d’improvviso, “a tradimento” si presentano con un’immediatezza straordinaria e allora fanno veramente “male”.

Solo in quel momento “percepisco” quanto infinitamente distante sia il vivere immediato e il ricordo, percepisco in un attimo quanto io abbia perso.

 

27.09.1964

Tieniti questa tristezza, è l’unica cosa “buona” di te. Non barattarla con dei sogni senza senso. Tienila anche cara; è una cosa vera, sofferta. I tuoi sogni sono invece viltà, incapacità, falsità con se stessi. Non sono nulla.

*°*°*°*

Non ha senso amare questo ragazzo, non ha alcun senso. Non ha senso piangere per il desiderio di vedere lui e la Min

E non posso neppure scrivere loro.

Io non desidero che poter stare un po’ con loro, a qualunque titolo di parentela.

 

06.01.1965

Io lascio sempre accumulare troppe cose non risolte, troppe cose che non capisco. Precisando le cose, non è che risultino risolte, ma più semplici. Io ho bisogno di silenzio, di molto silenzio e di stare da sola. Ho bisogno di cose che scorrono piano, che procedono senza inciampi, come un incastro, in cui tutti i pezzi si aggancino successivamente – incastri di cui non mi importa nulla, ma ho bisogno che vada così.

Bisogna che non ceda al disgusto di me stessa, perché l’incastro “vada” c’è bisogno dell’elemento “collaboratore” – come quel bambino – e io non posso essere “collaboratore” se mi prende quel menefreghismo di me stessa, così fermo che sento da qualche tempo, non come una cosa dolorosa, ma come una cosa scontata.

Tanta indifferenza degli altri, che non è ben indifferenza, ma è vero menefreghismo, un tempo mi faceva male, adesso è scontata, e provo quasi piacere a ritrovare questa indifferenza, a sentirmi così staccata, così assolutamente staccata dagli altri, il piacere di stare da sola è diventato un bisogno.

È tutta la mia posizione di fronte al mondo che è cambiata, come fossi passata da una posizione di simpatia, ad uno di ostilità, di lotta continua.

E mi sento così deficiente, così viziata, e soprattutto così lixo.

Mi sento sporca, molto sporca.

Non posso neanche pensare a Mario, se mi sento così sporca, – mi sento indegna di provare qualsiasi sentimento per lui, anche di affetto -.

In verità io ho un bisogno estremo di affetto e di sentirmi amata; le cose che io sento più profondamente, le cose più reali in me, non le percepisco mentre le vivo, ma quando cambiano, per il loro contrario.

E così di quanto io non mi “sentissi” amata dalla Min, mi sono accorta dalla gioia stupenda, quasi soddisfazione di qualcosa di vitale, che ho provato quando E ha accennato il suo affetto per me.

E c’era stupore nella mia gioia.

Se Mario potesse capire cosa significherebbe per me sapere, sapere veramente, che qualche volta si ricorda di me “con simpatia”, quanto significherebbe per me.

Io non posso immaginare niente che riguardi “cose belle” per me.

È avvenuto qualche processo in me in giugno di cui io non sono a nessuna conoscenza, qualcosa stranissimo per cui da un giorno all’altro ho cambiato prospettiva di vita: come se da mesi io mi trascinassi dietro una situazione, senza soluzione, e per me diventata insostenibile per essere così dolorosa (il non amarmi di Mario, il mio amarlo, il dimenticarmi necessario della Min e degli altri) così ché da un giorno all’altro ho passato in “archivio” questa prospettiva, e sono passata ad un’altra che aveva colori di leggenda, in cui le stesse cose non cambiavano, anzi erano accettate più profondamente, ma non mi facevano più soffrire.

Non so però fino quanto potrò andare avanti con esperienze non “risolte”.

Non devo sentirmi idiota; non perché non lo sia.

La mia è una “situazione psicologica.” Abbastanza “tragica”: non ho più “fiducia” negli altri (cioè non c’è più nessuno che io senta che ha ragione e che mi influenzi e che io lo segua, che mi guidi) ho la guida in mia mano e non ho nessuna nessuna fiducia in me.

E spesso mi sono antipatica, mi odio.

Incomincio a mettere le virgolette alle parole. Potrei continuare all’infinito a scrivere queste cose senza senso.

Devo avere pazienza e lasciare passare questi giorni: la morte di mia nonna e quella atmosfera festante, assurda, che gira per casa ne sono la causa principale.

Pensare mia nonna al cimitero, così immobile in quella tomba umida, di pietra, nella terra, nel buio e soprattutto così sola, così assolutamente sola e dimenticata, più dimenticata di ogni altro, perché per non soffrire si è presi dalla frenesia di dimenticarla; fa parte di quelle cose che non afferro.

È un assurdo concreto, lì di fronte a me, che non ha senso – immagine concreta del non-senso.

E poi questa me stessa “influenzabile” (così tanto che si sente influenzabile, dopo che le hanno detto che lo è), questa me stessa presa dall’atmosfera, dagli altri, da Eliana soprattutto; questa me stessa estremamente infantile, che mi prende a volte quando ho bisogno di calma, quando ho bisogno di affetto, di comprensione, e non ce l’ho in alcun modo perché nessuno ha “veramente” tempo per questo, allora viene fuori quella me stessa che si sente defraudata e “istintivamente” accampa una serie di diritti, diritto che si faccia il suo comodo e il suo piacere in ogni senso. Che buffe cose.

Non mi dà sollievo neanche pensare a Mario perché mi sento troppo opaca, e “deficiente” in ogni senso per meritarmi simpatia.

Fa tanto ridere il significato che avrebbe per me il ricordarmi “con simpatia” di Mario. Fa tanto ridere il mio amore per lui, questo amore così assurdo.

E non so così niente di lui.

Questa incapacità di comprenderlo, di conoscerlo mi fa venire da piangere; mi dà un seso di impotenza penoso.

 

11.01.1965

Non c’è che una cosa da capire: che questa “sofferenza” durerà sempre e che diventerà più difficile a sopportarsi col tempo.

E che non c’è “soluzione” a questa “sofferenza”! se non il subirla.

Avere il coraggio di non rifiutarla, di farla nostra, di viverla come parte di noi perché siamo vivi.

*°*°*°*

Mi sento legnosa, arida, senza entusiasmi, senza mai un attimo di abbandono; non c’è nessuno, neanche mia madre, neanche mia sorella, nessuno, a cui abbandonarmi con fiducia.

Anche la bellezza non mi dà calore; ho molti entusiasmi “intellettuali” soltanto.

La musica mi “appassiona”, mi appassiona quando sono tutta raccolta nel dare “significato” a quello che suono, per quello che io posso “ricreare” nel pezzo.

E mi appassiono per il suo mistero, il mistero dell’elemento primo: il suono. Creare dal nulla il concetto di suono.

*°*°*°*

Me ne infischio di queste scemenze: voglio solo Mario.

Mi ha ripreso il non poterlo immaginare senza mettermi a piangere, in qualsiasi posto io mi trovi.

Piango per la tenerezza infinita che ho per lui, mi sembra che ora potrei amarlo meglio, capirlo.

Io non desidero altro che lui sia se stesso senza compromessi e mi sembra (perché?) che non possa essere se stesso pienamente se non rifiutandomi.

Io non posso chiedermi se è “bene” per lui essere se stesso, questo non mi compete – io non posso permettermelo e io non so niente. E perché non dovrebbe essere “bene”?

Non so neanche per me: a volte penso che non potrei resistere alla tensione di averlo vicino – poi mi ricordo la pace infinita che provavo a stargli vicino, mentre disegnava per la scuola, la pace stupenda di averlo vicino.

*°*°*°*

Io non voglio fare della “letteratura” – Sono un lixo.

 

19.01.1965

Devo impedirmi di lasciarmi prendere dalle giornate, senza fare spazio agli avvenimenti, spazio da me e liberarmene.

Non devo perdere prospettive generali (cioè  ciò a cui a me importa veramente) che uniche danno senso agli avvenimenti. Ho bisogno di fare silenzio dentro di me.

*°*°*°*

Io non voglio pensare a Mario. Mi perdo nell’assurdità di ciò che sento: non mi riesce di “sentire” altro che tra poco lo raggiungerò. Che ci “incontreremo” in qualche modo. È possibile essere più assurdi? Io so quanto soffrirò di queste assurdità. E lo so certo.

Ma  in nessuna maniera posso controllare questa soavità intima, questa felicità.

E non mi aspetto niente – ma anche non aspettandomi “niente” “sento” che non può essere “così”.

Perché tante idiozie? Bisognerebbe poter controllare di più certi giri assurdi della mente: mesi fa ho passato giorni e giorni a tormentarmi perché “sentivo” che mi odiava, che non mi sopportava, la sua antipatia ostile sentivo.

E lui è così indifferente un mezzo a tante bufere che io gli scateno nella mia mente idiota.

Ma queste cose non sono io che le penso, volontariamente. Le “sento” e non posso che viverle anche se le so senza senso.

Odio gli esami – odio di dover sottostare a questa idiozia mi ributta.

E mi sento diventare nevrastenica, sarà tra poco tempo insopportabile, (ogni anno peggioro) per tutta una serie di cose.

E ti piace l’idea di essere un po’ nevrastenica.

E sai anche perché.

 

21.01.1965

“Socialismo e cultura” (parte)

La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri. Ma ciò non può avvenire per evoluzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà come avviene nella natura vegetale e animale; l’uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura.

Critica è quella coscienza dell’io che è fine della cultura – io che si oppone agli altri, che si differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e gli avvenimenti oltre che in sé e per sé anche come valori di propulsione o di repulsione.

Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. E non si può ottenere ciò se non si conoscono anche gli altri, la loro storia, il susseguirsi degli sforzi che hanno fatto per essere ciò che sono, per creare la civiltà che hanno creato e alla quale noi vogliamo sostituire la nostra.

Vuol dire avere nozioni di cosa è la natura e le sue leggi per conoscere le leggi che governano lo spirito. E tutto imparare senza perdere di vista lo scopo ultimo che è di meglio conoscere se stessi attraverso gli altri e gli altri attraverso se stessi.

Gramsci

24.01.1965

Amare una persona è un impegno continuo a sviluppare di noi ciò che meglio può completarla, farle vivere più compiutamente se stessa.

È un ritrovare noi stessi più grande attraverso un altro, che non è solo un altro, è un altro che amiamo.

Amare pienamente è forse l’atto più grande che può compiere un uomo, è la sua creazione più grande perché deriva da tutto se stesso.

Non si può amare senza che questo non significhi un’apertura di tutto il nostro essere verso ciò che ha valore. Verso tutti.

*°*°*°*

E io sono un lixo – LIXO

 

 

25.01.1965

Ho così bisogno di respirare un po’ di “grandezza”

 

 

29.01.1965

Non ho niente da scrivere: ma sono questa sera così “disperata” riguardo a Mario. Ho persino pensato che è “inumano”, che poteva mandarmi un piccolo disegno.

E siccome non è “inumano” non lo fa perché è infinitamente indifferente. O gli è antipatico il mio biglietto, cioè me.

E così arrivo a quell’immagine astratta (e anche assurda) di Mario che non solo è indifferente, ma guarda a me come ad un lixo. Ad un lixo.

E allora – logico – sono un lixo.

Tutti questi passaggi sono senza senso “reale” – come lo sono quelli per cui mi sento quella felicità “che fa fondere il cuore” però in me sono molto reali e mi provocano disperazioni senza fine.

*°*°*°*

Mi è venuta in mente una frase di Pavese: non ci si uccide per amore di una donna, ma perché quell’amore ci ha rivelato a noi stessi nella nostra debolezza e incapacità.

E questa incapacità assoluta, così certa in una parte oscura, ma molto viva di me (una parte di me con cui non voglio scontrarmi, per terrore, ma so assolutamente che esiste, che è esistita anche “realmente” quotidianamente) è probabilmente l’unica cosa che mi rimane del mio amore per Mario.

*°*°*°*

Però Mario è cattivo.

Non è questione di cattiveria, è solo indifferente.

Come è possibile che non capisca cosa vuol dire “indifferente”: indifferente è il nulla, né bene, né male; né amore, né antipatia – Niente.

Come se non ti avesse mai conosciuto. Prova a pensare questo. È come se non avesse mai saputo della tua esistenza.

Le tue azioni gli sono senza senso, come venenti da un x che non conosce; i libri che gli mandi sono pagine scritte, da chi ha soldi da sprecare per spedire libri che si trovano anche in Brasile; i biglietti cose incomprensibili: i disegni “piccoli” pretese senza senso.

E questa è l’unica realtà in cui devi vivere.

La realtà nella sua sostanza senza mezzi termini né sfumature. Nella sua sostanza non vuol dire nulla.

Nella sua “realtà effettuale”.

*°*°*°*

Tanta indifferenza, che non è ben indifferenza, è menefreghismo, questo non avere nessuno che ti guardi – anche per un momento – per come sei tu.

Ma per altri, c’è gente che lo sopporta, perché ama se stesso: io –veramente – istintivamente – senza la ragione – me ne frego di me stessa.

*°*°*°*

Come io amo Mario è qualcosa di “grande”, è veramente un “godere dei gesti dell’altro come dei propri” è qualcosa di più dell’amore, è amicizia piena, che si traduce soprattutto in un rispetto, che è amore, dell’altro.

È un godere di ciò che fa l’altro, come della propria vita.

È un amare l’altro come noi stessi; per me è un amare l’altro più di me stessa – solo attraverso il suo amore, abituandomi col tempo ad essere amata, potrei “sentire” di amare me stessa.

È  che io non capisco così niente.

*°*°*°*

Mario ha detto una volta: sono come quelle persone che non iniziano neppure a lottare per raggiungere qualcosa, perché sono troppo consapevoli delle difficoltà per raggiungerla.

E un altro: ho avuto possibilità di scegliere situazioni diverse, ma in nessuna situazione sono stato soddisfatto.

È possibile che abbia un senso della responsabilità così spaventoso da non voler influenzare ciò che io – da parte mia – decido di fare, neanche con un piccolo disegno?

Se si interessava un poco a me, se poco mi voleva bene, io non posso immaginare quali conflitti abbia vissuto.

È possibile che a lui non importi la felicità di essere amato, almeno tanto da uscire per un attimo dalla sua “linea” e mostrarmi in qualche modo un po’ di affetto?

O non piuttosto che si rifiuti di amare, si rifiuti di imparare ad amare; o che pure abbia delle “difficoltà” per amare (mi dice che è malato) ma che ami quasi queste “difficoltà” (cioè se stesso) che voler amare me?

“Il peggior nemico di Amleto è la sua pazzia, ma Amleto è la sua pazzia”

*°*°*°*

Ho pensato persino a volte che lui si sia congratulato con se stesso per non aver ceduto ai miei “piagnistei” ed essersi impegnato.

*°*°*°*

Tanti pensieri “a vuoto” sono quanto di più misero posso concedermi.

– Ma scriverli – pur sapendo che sono senza senso  mi aiuta a separarmene.

 

 

29.01.1965

Amare Mario deve insegnarmi ad amare di più gli altri.

È così presente in me – e lo stimo “così” – che delle mie azioni mi chiedo cosa penserebbe lui di vedermi così, con i miei genitori ad esempio; e ho per questo imparato ad essere più affettuosa, più comprensiva con loro;

e così per gli altri – per queste persone che mi irritano così – è vero che non hanno niente di simile a lui, in niente, però io in Mario – pure in cose diverse da queste – sono disposta ad accettare qualsiasi cosa e di queste persone non so scusare delle sciocchezze, delle cose meschine, solo meschine.

È vero che quando ero con Mario, ero verso gli altri più portata a scusare cose che ora mi irritano, ero più “buona” e non perché io lo fossi effettivamente, ma perché con lui, tutto il resto diviene meno importante, mi “tocca” meno.

Amare una persona non può essere un “bluf” di questo genere; non si possono prendere degli “atteggiamenti” senza volerli far corrispondere al nostro “effettivo essere” anche quando non siamo, non trattiamo con quella persona.

Amare una persona dovrebbe significare che questa persona può “abitare” dentro di noi, conoscerci come ci conosciamo noi stessi.

È così stupendo amare una persona totalmente, “senza riserve” amare non solo le sue debolezze, ma le sue meschinità, tutte quelle miserie della nostra natura, per cui a volte ci sentiamo un lixo.

*°*°*°*

Amo la bellezza di Mario, la sua bellezza “fisica” (non so però queste distinzioni) con una dedizione così assoluta, come non sarebbe possibile per nessun altra persona.

Mi piace tutto di lui, in nulla vorrei fosse diverso, in nulla. È una soavità stupenda questa “dedizione”. È come se io non conoscessi il mio “lar” che nelle sue braccia.

LAR = Focolare, casa

E come posso capire cosa significhi “non ti vuole”?

 

 

31.01.1965

Oggi ho pensato che Mario possa essere cattivo, cattivo volutamente, non solo per una conseguenza della sua “linea” che è “tenuto” a seguire perché è se stesso, ma che possa consapevolmente, accettare di farmi soffrire

? ?

Le mie considerazioni riguardo a Mario – tutte – e che io faccio molto “seriamente” sono sempre accompagnate dalla consapevolezza netta della loro “assurdità” e in questo c’è anche presente un sorriso “staccato” “ironico” di Mario per tante misere idiozie che faccio sul suo conto.

 

 

06.02.1965

Ho fatto scoperte “magnifiche” sul mio comportamento riguardo a Mario, in verità la cosa mi è molto oscura: è solo appena messa a fuoco.

Quando dicevo alla Elena quanto mi era “misterioso” il suo tipo di intelligenza (la famosa intuizione femminile?) cioè un’azione sicura, basata su un’unica possibilità che si vede e che si sa certa. Quella sicurezza spaventosa che fa “agire” le persone e che è possibile solo perché non ne analizziamo le difficoltà.

E la Elena dice invece che io ho una mente “maschile” (?). Una parte di me riguardo a Mario, quella parte così sicura, che “sente” che lei non può vivere che con Mario, che vivrà “necessariamente” con lui, perché quello è la sua realtà, il suo “destino” (?), una linea tracciata che lei intravvede netta, e che non può che seguire.

E è un “comportamento” non “scelto” non cosciente assolutamente dei perché, non ha neanche dubbi di per sé.

Ed è quella parte di me che sentivo “senza senso” e di cui non ho mai tenuto conto nella mia “scelta” di comportamento. Per cui c’era appunto una specie di dualismo: una me stessa (ed è la parte maggiore) che vede una realtà in cui Mario non ha nessuna parte, in cui Mario sarà veramente “architetto brasiliano”, in cui lei finirà questo schifo di Università, continuerà a fare la sua “sporca” vita.

E la sento proprio come “sporca”.

E in questa mancanza di “bellezza”, la musica si presenta per la prima volta come l’unica “soluzione” per la prima volta la prendo in esame come una “reale” possibilità; infine gli insegnanti dicono che potrei veramente “riuscire” – io so che – libera dal mio amore per Mario – la musica è l’unica cosa per cui proverei quella “passione” che mi darebbe il coraggio di andare fino in fondo.

*°*°*°*

Questa scoperta che il sentire mio “destino” di vivere con Mario non ha senso, è troppo, mi dà gioia.

(A parte quelle risate che faccio di me stessa)

No, è proprio gioia, mi sento libera: libera da un sentimento troppo forte, troppo ostinato, che mi fa stare male continuamente, che mi impedisce di gioire veramente; sono in realtà stanca, intimamente sfinita, di questo mio amore, che non ha nessun senso reale, e che per me, da più di un anno, è fatta solo di sofferenza.

È ingiusto soffrire così per niente, senza uno scopo.

Sofferenza nel presente e nel futuro: anche ammesso che io trovassi la forza (meglio la pazzia) di arrivare a luglio; andare in Brasile. Chi sa, (ma potrebbe anche non salutarmi neppure) forse accetterebbe di amarmi un mese, se capisse che io non gli “chiederei” niente (e io non gli chiederei veramente niente, io accetterei che lui mi amasse anche per un’ora, e lo vivrei e lo amerei come se quell’ora fosse l’eternità – che brutta persona!) forse anche di più: ma io a ottobre tornerei e io non resisterei allo “sfacelo” che mi prenderebbe. Sarebbe ben peggiore della prima volta; io non lo sopporterei, non lo sopporterei anche perché non troverei mai nessuno che vorrebbe “consolarmi”, potrei al massimo sentirmi dire “è colpa tua”: nessuno che possa fare per me, e io in frantumi.

Che senso avrebbe tutto questo; ancora di più che senso avrebbe farlo, sapendo che questo sarebbe il risultato?

Quella “gioia” di essere “libera” riguarda soprattutto Mario: io sono stanca, infinitamente stanca, dei “problemi”, che la mia persona gli ha creato.

Mi vergogno di me stessa, mi vergogno di esistere.

Non desidero altro che saperlo “sereno”.

 

10.02.1965

Sono di nuovo “suonata” completa e naturalmente alla vigilia dell’esame. Avrei bisogno solo di essere frustata, cioè avrei bisogno di sentire un male fisico: non c’è altro mezzo, è buffo. Ogni altra cosa è inutile.

Non è ben “suonata”. Anzi non sono affatto suonata. Sono di nuovo quel “lixo” che era a giugno; lo sono già così tanto che non mi trattiene più neanche il terrore di caderci dentro e so anche che non esiste una “soluzione” una via che io sappia per uscirne. So che nessuno può darmi quell’”energia” che non sento in me e che nessun espediente può farmelo dare.

Unica forse soluzione sarebbero delle frustate, o il subire un insulto molto grave, un’ingiustizia.

Quella via della “realtà” non è sufficiente, anche perché darebbe un effetto col tempo.

È brutto questo ricadere in stati identici, inutili, brutti, e non saperne l’uscita.

Perdo la realtà, la perdo tutta intera, quella esterna e la mia. Non so cosa voglia dire una cosa così assurda. E sono tutta presa da una “realtà” psicologica, immaginativa, subcosciente, che non ha altro scopo che se stessa, l’esplicarsi di se stessa, a mio esclusivo danno.

E mi chiedo: se vivessi con Mario, in queste “situazioni” che mi ritornano, che cosa farei? Mi riuscirebbe a sopportare questa larva di persona? E lui, anche io amandolo molto, non potrebbe aiutarmi, un “altro” non può farci niente.

E “io” non posso farci niente.

È qualcosa indipendentemente da me, in cui “io” non mi identifico affatto.

E c’è un piacere nell’essere così, una pace “arcana” un intontimento vuoto che si vorrebbe non finisse mai, e la “mente” è abilissima nel rifiutare i pensieri che potrebbero turbare questa pace – non solo, ma non prendo più le medicine che potrebbero ridestarmi.

Le persone non mi disturbano, non mi evitano, sono “buona” mi va tutto bene, perché tutto mi è così “lontano” che non lo percepisco affatto; non mi tocca; me ne “frego” di tutto se non di continuare questo stato. Ed è ogni giorno peggio.

Devo essere “astuta” con questa me stessa menefreghista e raccontarle un mucchio di cose a cui non credo, devo giocarla: insistere sull’idea di dovere: dovere verso me stessa, verso quell’essere nobile ed elevato che sono; dovere verso la società, la nazione, la patria.

E farle per dispetto tutto quello che più lo danneggia: le medicine, la realtà; le medicine, la realtà, la realtà, le medicine.

Però vorrei imparare ad essere un po’ più umile quando uscirò da questo stato (è come una malattia, fatto il suo corso sparirebbe comunque) un po’ più umile verso quelle persone che a volte mi sono insopportabili per la loro miseria.

Io so bene che una parte di me può essere il lixo più spaventoso di tutta la terra, sono l’orrore dell’immondezzaio mondiale.

E dunque? A che tanto bisogno di grandezza.

*°*°*°*

Mi diverte vedere come divento “furba” in questo periodo: io so che se una persona che stimo, ammettiamo la signorina di musica da cui vado oggi, mi disprezzasse, io reagirei; qualcosa si desterebbe in questo torpore che ha “fascino” del canto delle sirene – perciò so già che a lezione mi impegnerò molto, perché “dentro” stia ancora più in pace.

Da questa volta lo gioco, se lui è furbo “io” sono intelligente, giuro che lo gioco

Mi impegno (e lui sarà d’accordo) ma io mi impegno “sul serio” “del tutto” non solo una finta e poi continuo; e nella strada guarderò fisso la “realtà” delle cose, delle persone, e mi impedirò di pensare a Mario: in verità in questa “situazione” non è bene che pensi a Mario. Non penso come è lui “realmente” perché reagirei immediatamente.

Quello che è continuamente presente sono i miei giri di pensieri riguardo a Mario. Un’attività immaginativa, sconnessa, senza altro senso che in se stessa.

È una rottura di equilibrio questo stato: un prevalere dell’attività incoerente, meglio subcosciente, su quella cosciente che è volontà, intelligenza, capacità di soffrire, capacità di accettare dei conflitti interni, di tentare di risolverli.

Adesso no; i conflitti si sono eliminati: c’è un prevalere sovrano, pacifico e celebrante del..? Chi sa cos’è?.

Questa specie di “gara” di astuzia; con l’aggiunta di un inserimento a forza nella realtà, può forse darmi una soluzione.

Se però mi decidessi ad andare da uno psicanalista, è certo un disturbo da niente, una cosa minima.

È assurdo combinarmi tanti guai per delle sciocchezze.

*°*°*°*

Rileggendo quello che ho scritto ieri mi accorgo che “quella” me stessa è veramente astuta. Ha abilmente “dissolto” il mio amore per Mario, ciò che più “teneva unita la mia persona in unica direzione” (chi sa cosa vuol dire quello che dico?) lo ha dissolto in un sentimento astratto sentimentaleggiante che non crea conflitti; non solo – ma si è fatta sentire anche “nobile” dicendo che è felice anche per lui, perché è più facile anche per lui.

“Quella” me stessa è un genio di machiavellismo.

*°*°*°*

In fondo le devo essere grata perché mi ha fatto capire non solo che “voglio veramente bene” a Mario per lui, per come lui; non solo per quello che viene a me da lui.

E mi ha fatto capire che non “so” amarlo, che devo incominciare ancora.

Che se lui mi volesse dovrei imparare ogni giorno ad amarlo, con umiltà infinita, perché lo amo male.

Anche ad amare – una cosa che io credevo di saper fare, – in verità devo ancora imparare.

E dalla coscienza dell’ignoranza deve conseguire necessariamente un impegno umile ad imparare, ad imparare con diligenza, con impegno.

Però se continuo ancora un po’ a sentirmi “niente” senza valore assoluto, ne viene (per quella logica intima alogica) che non “merito” in alcun modo di essere amata e poiché io ho un bisogno spaventoso di essere amata, le cose si fanno complicate.

*°*°*°*

È buffo il gusto di ridere che mi sento dentro; un ridere arguto, quasi un ghigno. Come una risata sguaiata intima. È strano.

Non è solo questo: è come se tutto quello che vedo mi potesse far ridere – potersi sedere davanti a una cosa e ridere sguaiatamente all’infinito.

Non sono arrivata ancora al punto di farlo, anche perché sono stanca e non mi “ci metto” neanche ma vedo che qualsiasi oggetto che ho qui vicino mi potrebbe, mi “sollecita” a ridere, la forma che ha è comicissima.

*°*°*°*

Che bel regalo per i miei una figlia pazza! Riderò tanto che non potranno più chiamarmi “caro estinto”…

 

10.02.1965

“Serena disperazione” che è serena solo perché sono troppo stanca per disperarmi in altra maniera.

Questo non avere niente che rappresenti un punto di luce, un ristoro di pace, anche momentaneo.

Vorrei vivere diversamente: io sto “male” all’Università, come stavo male a scuola; è un ambiente in cui io sono in ostilità continua, che mi è estraneo, come mi è estraneo Milano, il Pensionato, questa gente. Io ho bisogno di una casa, dove ci sono gente che si amano, non solo, che si “piacciono” che stanno bene insieme, che rappresenti una possibilità di distensione dal mondo di fuori, in cui si possa “ricrearsi”, ridere, cantare. Io invidio così tanto questi “innamorati” che incontro per strada: ridono così di niente.

Oggi in Biblioteca, ho ricordato così precisamente dei particolari di Mario, come fossero allucinazioni, sorti così all’improvviso da me, e spariti così subito senza poterli ritrovare.

Io non desidero altro che mi si tenga in braccio e mi si culli come un bambino.

Sono stanca, stanca di tutto, di questa me stessa che si sfinisce così per un tipo di vita che giudicano normale; stare a Milano, fare l’Università è per la maggior parte un motivo di felicità, sono giovani, si divertono.

Si anche fisicamente ho sempre bisogno di ricostituenti e di storie.

*°*°*°*

Sono in uno stato d’animo, immobile, fisso; è strano, senza possibilità di “sentire” né gioia né dolore.

Come avere le facoltà di sentimento bloccato.

E tutto è così in lontananza, anche studiando rimane tutto così in lontananza: non sento niente; oppure rifiuto tutto, ogni minima simpatia, perché non posso avere qualcosa per me assoluto che solo mi darebbe pace. Mi sembra comunque che comunque farebbe fatica a “ridestarmi” a riaccettare i contrasti, il dolore e la gioia io rifiuto tutto per la pace del nulla.

Questi discorsi idioti è certo che non li faccio io: è solo una penna che scrive, nient’altro.

*°*°*°*

Questo vedere tutto così buio è solo per questo periodo di stanchezza degli esami – tutto poi è diverso.

Questo è vero; però è certo che quanto più fai fatica a fare da sola, tanto più non hai nessuno. Solo  se sei “efficiente” e “collaboratore” sei amato (se ti accontenti) ma certo che quando uno è “efficiente e collaboratore” non è quello il momento in cui ha più biogno di affetto.

Cosa vuoi che se se ne facciano di quell’orso ispido che sei tu è incredibile come i diversi “ritratti” che le ragazze del pensionato fanno di me coincidono tutti nel: “scontrosa, ispida, maleducata, presuntuosa, fredda, strana, menefreghista, noiosa

Stefano ha detto persino che ho un’aria puritana. Quello che mi piace è che io non sono affatto così, in un ambiente in cui io non sia in opposizione, in cui io “respiro”.

Con Mario era tutto così diverso; io ero diversa, ma così diversa come fossi un’altra persona.

È tutto così lontano che non ci credo neppure più che io fossi “diversa”; anche allora quotata in quel lixo che sono adesso.

*°*°*°*

L’unica cosa che volevo scrivere di tutte queste insulsaggini era questa:

“non pensare al domani: basta ad ogni giorno la sua pena”

Pensa che tuo padre viene a trovarti domenica, lui ti vuole bene, anche se non sa niente di te.

Per me se mi amano senza conoscermi è come se amassero un’altra persona; è solo che sei piena di pretese, solo pretese, solo pretese.

Sinistramente direbbe Mario: “esistono cose peggiori”.

 

 

11.02.1965

Pavese:

adesione alla vita e all’accordo tra gli uomini:

“Se li fece compagni. Ogni casa ne aveva famiglie. La città ne era tutta accerchiata. E la faccia del mondo ne era tutta coperta. Sentivano in sé tanta disperazione da vincere il mondo.”

“Bisogna fermare una donna

E parlarle, e deciderla a vivere insieme.

altrimenti uno parla da solo”il rifiuto:

“Almeno potercene andare,

fare la libera fame, rispondere no

a una vita che adopera amore e pietà,

la famiglia, il pezzetto di terra, a legarci le mani.

 

È ceto però che non amavo così Pavese, prima di aver conosciuto Mario

Non è vero

 

12.02.1965

Io ho “bisogno” della musica, ne ho bisogno per la mia vita, rappresenta l’unico momento di “soluzione” di essa, rappresenta i motivi della vita, però placati, composti, la vita, gli stessi elementi della vita però senza la fatica, il fastidio, l’”insufficienza” costante di questi. Non voglio dire che quello sia l’unica maniera di vivere che vorrei, però la mia vita (cioè me stessa, quel complesso di aspirazioni, bene, male, rifiuti, tutto insomma) ha bisogno di “tradursi” in una “forma” che lo esprima più compiutamente, che le dia “soluzione”, una pace che non è passività, abbandono, dissoluzione, ma una pace vigile, un appagamento che è frutto di impegno totale, tesissimo, della parte migliore o più profonda di noi stessi.

E ne ho così “bisogno” veramente, così “seriamente” che non sopporto quelle “mezze cose” che mi sono possibili andando all’Università, non sopporto di giocarci.

Ho bisogno di tempo, di raccoglimento, di essere riposata per potermi impegnare.

Intanto studio la “tecnica”.

 

13.02.1965

Quando una parola non esprime bene ciò che sentiamo dentro e si cerca con la ripetizione di superare questa sua insufficienza.

Io ripeterei all’infinito a Mario: ti voglio bene.

 

Valtournanche 23.02.1965

C’è in me una specie di serenità falsa, come un vuoto di problemi, che è solo inconscia conapevolezza di quanto sono grandi e importanti questi problemi assolutamente insoluti, che fanno come da sottofondo oscuro, abbastanza minaccioso a quel “vuoto” limpido e terso a cui sembra ridotta la mia vita intima.

E so anche che non è ancora il “momento” di affrontarli e illudermi di trovarvi una soluzione.

È già un passo iniziare a scrivere. Qualsiasi idiozia mi passa per la testa e che mi prepara, mi aiuta come inizio.

*°*°*°*

È certo che ho la “soluzione” cristiana alla vita è la più geniale che io conosca: essa soddisfa totalmente, nella misura più inclusa, a quelli che sono i bisogni più profondi dell’uomo, almeno dei miei:

essa dà un “senso” (e un senso infinito ed eterno!) ad ogni nostro più piccolo gesto, anche lo spostare un bicchiere, il pensiero più nascosto è da Dio “contemplato”, tenuto conto, come premio o condanna non ha nessuna importanza. Anche la condanna è dare un “senso”, riconoscere una realtà.

Ha un senso il nostro comportamento con gli altri, ha un senso il nostro impegno, ha senso per se stesso, indipendentemente dal “risultato”.

Libero dall’importanza del “risultato” riportando tutto ad una disposizione interna

Ci dà un ordine, in cui tutte le cose sono al loro posto, al loro giusto “senso”, sono giuste così, perché tutte (anche le peggiori) concorrono al disegno divino che è provvidenza, cioè giustizia ed amore.

Libera l’uomo dalla solitudine, ciascun individuo è amato da Dio per sé, così com’è, e Dio lo vede realmente così com’è, e lo vede con amore infinito.

Non solo, ma nell’universo ciascun individuo ha di per sé un valore infinito, indipendente dal fatto che altri lo riconoscano.

Dà all’uomo l’immortalità e gli dà un amore infinito, cioè è soddisfatto infinitamente, nel suo bisogno di infinito e di amore.

E dovrei ricordare altre cose che non mi vengono in mente: quella fiducia nel futuro, perché gli avvenimenti sono regolati dalla provvidenza; la cosa più terribile: dà un “senso” alla sofferenza; dà la fiducia negli uomini, quella confidenza verso l’altro, perché è tuo fratello, ti ama come tu lo ami.

Vedere la vita delle persone come un migliorarsi progressivo, e la possibilità di collaborare a questo miglioramento.

Tutto questo però io non posso accettarlo, non solo perché non lo “vivo” in me, ma anche al procedimento che Don Ablondi sostiene per me non è accettabile: non posso accettare Dio e spiegarne la sua realtà, perché l’ammetterlo soddisfa le più profonde aspirazioni dell’uomo.

È un tipo di prova più ridicolo di quello che dalla “bontà” della natura risale alla bontà del Creatore, e alla sua esistenza. Non solo non “vedo” non “vivo” la bontà della natura, ma non accetto il “procedimento” logico.

*°*°*°*

Però la “carità” – ad esserne capaci – si pone sempre più come l’unico “soluzione” (se è soluzione) del rapporto con gli altri.

Ammesso un rapporto con gli altri, che non è detto.

È vero che non è possibile “conoscere” una persona, se non conoscendola con amore.

Ed è vero che niente è più assurdo (sebbene sia impossibile o difficile evitarlo) che giudicare un altro. Mi sento così a disagio quando mi accorgo di averlo fatto.

Non parliamo dell’ironia: è spaventosamente vero che “lascia le cose come sono, anzi un po’ peggio”. Quando Mario ti diceva, io non mi ero “effettivamente” accorta di quanto fosse vero.

Mario

io starei delle giornate a ripetere il suo nome – mi sembra che sarei così “adatta” a lui, non nel senso che io valga, che lui possa apprezzarmi nel senso che non pretendo “effettivamente” come atteggiamento intimo, non solo come pensiero, con la ragione, così niente da lui; non pretendo neanche che non si annoi a stare con me.

Né poi di renderlo felice. O si parla di felicità in senso diverso da quello che si intende generalmente; io stessa non penso, non “pretendo” di essere felice con lui, non è per questo che lo amo, e vorrei viverci insieme.

È un po’ come dire “vivere con me stessa mi fa felice” non so che senso abbia questa frase.

Ci vivo e non concepisco altro modo di vivere che questo. Così è con Mario.

Ma non è solo questo: è che in ogni occasione io sento la “mancanza” di Mario, di ciò che avrebbe detto, fatto. Non dico che la mia vita non abbia senso di per sé, ma è un senso infine così misero, così povero – “diverso”-

Bisogna invece che pensi “seriamente” alla mia vita escludendone totalmente Mario. Ma io lo escluso, io non faccio nessunissimo “progetto” su di lui, non so neanche cosa voglia dire.

È che non capisco neanche cosa voglia dire “escludere” Mario dalla mia; ne fa così parte, che lui lo voglia o no; che io lo voglia o no.

Ne fa “effettivamente” parte; anche se io mi “innamorassi” di un’altra persona.

 

 

 

 

Milano 29.02.1965

Spiegare un filosofo pensando di parlare ad una mente che ho di fronte soltanto il mondo, la realtà, senza precedenti culturali.

Ed è anche un rifare il processo e rimettersi nelle condizioni iniziali da cui è partito il filosofo per il suo pensiero.

*°*°*°*

Significato della scuola – liceo – scoprirne la funzione per l’individuo, per lo scolaro – è precedente alla ricerca di un metodo da usare.

Ma cosa deve “significare” il liceo nella formazione di uno scolaro? Non certo una scuola “scientifica” non certo una presentazione “reale” ad es. diciamo di un filosofo. Gli se ne parla così male, contraffacendolo così, nascondendone i “reali” problemi (nel senso di attuali, presenti veramente di chi lavora “scientificamente”) si tratta sempre di una “volgarizzazione” che sfasa del tutto la persona del filosofo in questione.

Quindi scopo di questa esposizione non è il filosofo, la conoscenza del filosofo, ma questo è in funzione dello scolaro.

Ma in che modo?

Lo stesso problema si potrebbe porre alle medie, all’Università.

Per l’Università (di fil.) “mi” sembra più facile.

1 – preparare alcune persone all’insegnamento al liceo

2 – preparare alcune persone al lavoro di “ricerca scientifica”.

E queste cose così diverse, che richiedono doti e preparazioni, metodi così diversi, lo fa contemporaneamente, indiscriminatamente, nello stesso periodo, con gli stessi esami, con gli stessi professori che usano gli stessi metodi.

E io sono in mezzo a questa “confusione”.

Ma per il liceo?

 

Altro problema: ricerca di un metodo (che mi vada bene) di studio, di lavoro che per ora ho scelto.

Questo metodo nasce anche dal “significato” che ha per me fare l’Università.

E devo trovarlo non solo ascoltando i metodi che usano gli altri, ma dagli errori miei, dai miei metodi sbagliati, vedendo perché sono sbagliati, e perché li avevo scelti, che criterio (sbagliato o incompleto) aveva preceduto la scelta.

Devo operare un lavoro di critica. Questo è il lavoro più importante che può darmi l’Università.

Sforzarmi ad una critica del mio comportamento, di quello che vedo “fuori” per capire.

*°*°*°*

Amare una persona come lei “vuole” essere amata, come lei crede che le sia bene, non come vogliamo noi, come noi crediamo bene.

 

10.03.1965

Non voglio più fare un sogno così mostruoso che riguardi Mario. Tutto, meno una cosa così: quei piedi come lingue prensili attorcigliate, sul terreno, velocissime.

Vorrei solo che qualcuno mi consolasse.

È cattivo a lasciami così sola.

E io in sogno non lo amavo più, non gli ho permesso che mi toccasse, anche se ero “benevolente”.

E il suo viso si confondeva con quello di suo padre.

E le lettere.

E quella sua aria “mezzo indifferente” svagata, educata, come non fosse “importante”.

Però non era il suo viso, era di uno che non conoscevo, mai assolutamente visto, ma era lui, lui – io non so perché piango così tanto e non ho nessuno che mi consoli, mi consoli senza parlare.

*°*°*°*

È cattivo a lasciarmi così sola, con tutte le mie immaginazioni irreali e assurde intorno a lui, in cui mi perdo e che mi fanno così male.

È cattivo anche a non scrivermi una cosa qualsiasi ma reale, veramente sua, non in preda alla mia immaginazione.

Questo non gli perdono.

Non è vero.

*°*°*°*

Forse quello che diceva il sogno e per cui piango tanto è che non amo più Mario.

Ed è vero, io non amo quell’immagine fatta da me dal suo silenzio.

Il mistero – senza fascino – del suo silenzio.

Mario che mi “ricordo” cioè lui, reale, io lo adoro.

 

25.03.1965

Tutto lo star male – incomprensibile – di questi giorni è solo che sono disperata, del tutto disperata di una risposta di Mario. Ho tentato in ogni modo di trovare una “soluzione” ma tutta la “buona volontà” mia non è sufficiente. E lui non vuole aiutarmi.

Non ho voglia di scrivere.

Non si possono scrivere.

Sono solo disperata.

31.03.1965

Le “serene disperazioni” alternate da entusiasmi (intellettuali) per le scienze che mi insegnano e per la musica e da “scatti” di disperazione tutt’altro che sereno.

Il ripetersi di antiche identiche disperazioni e l’animo che non si riconosce in quelle.

L’egoismo degli altri mi fa diventare un’isola. Imparo ogni giorno a diventare come “loro”, senza il loro piacere, il loro gusto, il loro orgoglio.

L’amarli, il riverirli nel loro espandersi egoistico, l’adularli non è una soluzione alla mia solitudine.

E l’accettare la mia solitudine non è una soluzione: niente io desidero come l’incontrarmi con un altro.

Vorrei cantarmi delle nenie.

Mario.

È chiuso nel suo silenzio. Nascosto.

Finirò col pensare di non averlo mai incontrato.

E non l’ho mai “incontrato”.

Sono particolarmente insofferente a questo pensionato. Odio questo insieme di gente chiassosa, estremamente chiassosa.

Nessuna situazione passata, presente, futura mi è di “consolazione”.

È che non ho bisogno di una consolazione.

Ho operato un netto (meccanico) “rifiuto” del pensiero Mario.

Ne subirò le conseguenze.

Accettare di andare avanti. Staccata da tutto.

Faccio dei discorsi idioti.

 

20.04.1965

Esistesse un mezzo per dimenticarmi di Mario, per non amarlo più.

Non mi ha scritto.

Sapere almeno definitivamente di dover accettare il rifiuto di Mario. Non avessi le lettere della Min che mi dice che scrive. Non avessi la lettera così affettuosa della Min. Le fotografie di Carlos.

In questi giorni mi sono ritrovata inquieta, piena di contraddizioni, di cattiverie, di meschinità, di miserie, di paure, di incapacità, di egoismo, quell’egoismo spaventoso di chi sta per annegare e non ha niente da “dare” agli altri, e quello che questi – distrattamente – danno non basta mai, è solo un momentaneo sollievo, una momentanea illusione che lascia più disperati di prima.

Io non sono solo disperata, sono disperata di me stessa.

 

26.04.1965

Non riesco che a fuggire. Mi dico solo delle parole vuote che mi impediscono di dire le uniche che dovrei affrontare: Mario non mi scrive – e dovrò accettare questa realtà, in cui non c’è più posto per il Brasile, non c’è Mario, né i miei sentimenti per lui e per tutti in cui la speranza più dolce sono gli esami, di fronte ai quali io sono incapace, perché – per viltà – risento in me la solita voglia di “nascondermi” di dormire di non afferrare la realtà. Gli esami – di piacevole – non sono niente per me, voglio dire che non ho quelle soddisfazioni di “vittoria”, “bel voto” stima del popolo etc., sono solo una scocciatura da togliermi, però se invece mi vanno male, allora sono io un’incapace, non so “affrontare le prove della vita” (e a parte le ironie idiote non so affrontarle veramente). Ho il solito terrore di ripiombare in quegli stati d’animo di cui non so la ragione, di fronte ai quali non ho “mezzi” e a cui so che arriverò.

Mario è però sempre il centro.

Non so niente di lui e lui rifiuta di farmi capire anche che non c’è da capire.

È inutile continuare, i giri di problemi su Mario (cioè sui miei stati d’animo e sulle mie fantasie) li conosco bene.

Certo non è ancora il “momento” di accettare “quella” realtà, perché ancora troppo forte nonostante tutto è la speranza che mi arrivi una lettera. Fra dieci giorni forse sarà il momento. Appunto per la vigilia degli esami!

È la solita storia. L’anno scorso identica situazione (come mio stato d’animo); l’unica differenza è che ora ho il terrore di sentirmi per mesi un “lixo” e non ho mezzi per evitarlo.

Tutte le giornate sono un’attesa di quella lettera (a cui si aggiunge il terrore di riceverla) anche se non “me lo dico” – apparentemente  è l’ultimo pensiero che mi sfiori la mente e non penso ad altro.

Me ne accorgo dalla assoluta incapacità di applicarmi e concentrarmi in qualcosa; dalla delusione – oda cui non riesco a “sollevarmi” tutte le sere che mi piomba addosso quando vedo la casella vuota.

Sono falsa con me stessa come non lo sono mai stata, così falsa che non riesco neanche a dirmi: non la riceverò mai.

È inutile continuare a scrivere. Lo vorrei fare per aiutarmi ad affrontare la realtà, ma non serve, anche scrivendo sono “falsa” (che non so bene cosa significhi).

 

05.05.1965

Ho bisogno di ricostruire in me stessa, di ridarmi fiducia in qualunque modo. Solo per non sentirmi così disperata di me, incapace. Odio sentirmi incapace e in una maniera così assoluta come mi sento io, perché è uno stato d’animo che “blocca” solamente, che non dà niente in cambio. Uno stato “positivo”, anche misero, è qualcosa di più.

Mi sento sfuggire tutto e di non riuscire più a “star dietro” a niente.

Ho bisogno di ordine mentale. Di avere una direzione precisa verso cui dirigermi. Ho bisogno di capire. Di “scegliere” un comportamento.

Ho bisogno di perseverare – di ricordarmi di queste cose.

“Avrei” anche bisogno di uno “scopo” per fare tutto questo. Avere una prospettiva almeno discreta, abbastanza piacevole verso cui tendere.

Però so anche che le “prospettive” si trovano anche “immettendosi”. Avere la semplicità, l’umiltà di incominciare, di fare qualcosa sperando di trovare nel fare qualcosa la ragione per cui si fa. Non pretendere di avere una risposta prima.

E capire che “falsificando le teorie” si apprende qualcosa.

Non so dire come devo agire. Posso dire come non devo agire, dalla mia esperienza passata.

Per questo bisognerebbe credere alla ripetitività delle situazioni esterne ed interne, credere in una razionalità.

E se non lo si crede?

Tanto si deve “agire” ugualmente.

*°*°*°*

Di positivo c’è però che non credo più in una “risposta” di Mario. Non muoio più dalla delusione.

Non penso che lo rivedrò.

Ma è vero?

O è il solito blocco?

Io procedo troppo per “blocchi” e “sblocchi”.

*°*°*°*

È certo che non sono “serena” neanche quel minimo che mi è possibile, sono in una confusione mentale spaventosa.

 

10.04.1965

Non mi importa niente altro che Mario.

Non posso che pensare a lui.

Mi pare di aver “capito” (sentito in me, giustificato, scusato, amato) il suo comportamento.

E mi sembra che avrei la “forza” di amarlo per un giorno senza pensare a “pianificare” il giorno dopo.

Chi sa cosa significa tutto questo?

È anche certo che se lui dicesse: “sarei felice di averti un giorno qui” io farei in ogni modo per partire.

Ma anche accettando questo coscientemente, senza “aspettarsi” niente, il giorno dopo – quando me ne andrei – riuscirei a non cadere in quella “disperazione di me stessa” in quell’odio contro di me e la mia vita, ciò che temo più di tutto?

È certo che non so niente. Vorrei solo essere “serena” cioè capire, essere cosciente, accettare

 

11.04.1965

Quello che è certo è che non ho mai voluto “conquistare” Mario. Non che voglia “averlo per me”; né che provi “soddisfazione” in questo.

Non è colpa mia se lo amo.

Non ho inventato io l’amore.

Siamo alla “disumanizzazione” completa: cancellerei l’amore per gli altri dall’Universo.

Vorrei solo una più forte passione per lo studio degli astri; per la conoscenza degli animali e delle piante; per la musica.

Avere dei rapporti con gli altri, che non siano rapporti di lavoro insieme, di interessi comuni è quasi assurdo.

Non so però in che cosa ci distingueremmo dai fossili. Cioè io.

*°*°*°*

È anche certo che dalla incapacità che ho io di me stessa sento sempre il sorgere del desiderio di qualcuno che mi tolga dalla responsabilità di me stessa e agisca per me. Un padre cui appoggiarsi.

È anche vero che voglio reagire a questo stato.

Diventare un IO gigantesco, per superare in questo ogni urto, trovarvi una giustificazione. Sono solo meccanismi di difesa.

*°*°*°*

Ma amo Mario? “Si può” amare una persona dopo un anno e mezzo che non lo si vede, e avendolo visto per due mesi?

*°*°*°*

Comunque “se mi sarà possibile” andrò in Brasile.

*°*°*°*

Mario non mi ha mai “deluso” (nel senso che intendo io).

Non si può lasciare in mano agli altri il nostro criterio di stima di noi stessi.

Anche sbagliato, ma nostro.

*°*°*°*

Ma questa sera faccio il padre de la Roche Foucauld con tutte queste massime??

È solo che sono rimasta “delusa” e mi arrabatto come posso.

Io non posso fare niente di più che arrabattarmi.

*°*°*°*

Come sto male in mezzo alla gente in genere,  me ne accordo quando incontro – per caso – una persona gentile, un taxista, un camerao (etc) (significativo questo etc!) dalla felicità che provo, dalla loro gentilezza. Quella signorina oggi.

*°*°*°*

Come si fa a “rifiutarsi” alla richiesta di consigli, aiuto degli altri (cosa di per sé inutile – non è il consiglio, ma l’interessamento che può essere qualcosa) ma poi se sbagli consiglio la colpa è tua; se non continui a “dirigere tu” le loro faccende, sei in colpa.

Tutto ciò è assurdo.

In questo momento approvo totalmente Mario che si è rifiutato di darmi “aiuto” o consiglio (anche se la situazione era diversa e il mio atteggiamento soprattutto era diverso).

 

01.08.1965

È passato tanto tempo (tante cose veramente importanti sono successe) e non ne scrivo niente: non si scrivono mai le cose più importanti.

Sono così “felice” (mi sento felice come una persona “risanata”) di sapere che non ci sarà mai un rapporto tra me e Mario.

Felice: è come se mi venisse restituita me stessa; non so dire.

Ho di nuovo “confidenza” con la pittura (dopo la musica – o forse insieme alla musica, la cosa che “gustavo” di più) mi sento di nuovo libera di fronte ad un quadro, libera di gustarlo (e mai ho provato piacere come adesso per quel quadro di Gauguin).

È anche che Mario farà sempre parte della mia vita, anche se non saprò più distinguere ciò che era mio da ciò che ho “ricevuto” da lui.

Mi ha ripreso lo stato d’animo dell’anno scorso: “l’ho dimenticato, non fa parte alcuna della mia vita “reale” e non penso ad altro” ? mi domando se io non cerchi di conquistare una persona per poi rifiutarla.

Riavrei me stessa più totalmente ancora più intatta.

È anche che non desidero altro che di essere amata e sono certa che non potrei “rifiutare” (per il piacere di rifiutare) nessuno che mi attraesse anche poco.

Il problema è invece proprio questo: non perdersi in falsi sentimenti, in sentimentalismi, non perdere il “rispetto” per l’amore, non barattarlo con vili cose: è la cosa più grande che abbiamo. Ma deve essere rispettata – come tutto – per non perderlo

*°*°*°*

Un giorno poi potrò anche fare un esame dei miei “errori” con Mario, ma non sulla “tattica” verso un ragazzo, per poter meglio conquistare il seguente (e dico: il seguente) ma i miei errori di persona verso una persona. Avere il coraggio di assumerli perché miei: ciò che mi importa più di tutto è  non rinnegare niente della mia vita. Portarlo in riso – voglio costruire una me stessa che si stimi, per quel poco che può stimarsi – e dare uno scopo alla mia vita, che non sia solo un troppo facile sorriso. Io ho bisogno di “credere” – coscientemente – nel “socialismo”; e ho bisogno di persone così – Mario.

Ho però “riavuto” me stessa (chi sa cosa significa) è una bella cosa – “risentirsi”.

La mia lingua potrebbe parlare per ore “come per se stessa mossa” – tutti gli errori di parole.

E come non credo niente di quello che dico. L’unica cosa “seria” che dico alle persone è di “non ascoltarmi”.

Potessi non ascoltarmi io – ma a volte non mi ascolto – parlo solo – e mi stupisco di quello che dico – come mi “stupisco” di quello che sto scrivendo.

Non voglio però sentirmi idiota.

Ho bisogno di cose “concluse” di un filo che leghi, di un disegno ben costruito.

 

15.08.1965

Non ho niente da scrivere ma ho bisogno di allontanare da me le cose, di risentire me stessa. Vedo nei miei rapporti con le persone a cui potrei anche dire di voler bene, ma di cui non m’importa – in fondo – nulla, un’immagine invertita della mia posizione con Mario.

Queste persone possono ritenere di partecipare alla mia, si ritengono mie amiche, potrebbero parlare di me come se mi avessero “conosciuto” e io posso anche parlare, agire come se accettassi questo e lo condividessi (le parole e i gesti sono così poco “distinti” e qualificabili) ma è dentro di me che c’è un netto rifiuto di quello che sono io, e il piacere di sentire che c’è una barriera, che io sono diversa, irriducibile alle loro formule e alle mie (se volessi usarne), sentirmi che non condivido loro stati d’animo, sentimenti, sentirmi estranea è un piacere, non nel senso comune della parola, e come uno che riesce a sfuggire ad un morbo e di ciò ha piacere. Perché è un morbo, non debbo sfuggire.

L’unica cosa piacevole – sempre nello stesso senso – è che se anche Mario diventasse la mia vita stessa (e sono ben decisa a impedirlo, sono ben decisa a costruirmi una mia vita in cui lui non ha nessuna parte) sarebbe sempre una cosa che riguarda me, esclusivamente me, non sento il bisogno di “comunicargli” nulla della mia vita, di farlo partecipare a nulla, sento assolutamente che ogni possibilità di “rapporto” è rotto per l’eternità.

E ne sono “felice” (anche questo termine ha il senso di uno che è sfuggito al martirio del rogo).

La felicità non è uno stato positivo, ma la privazione di un male?

Sento spesso il bisogno di gridare “basta” a qualcosa dentro di me – ? –

Scrivere mi fa “ritrovare” me stessa e mi permette di essere “buona” (che vuol dire solo normale) con gli altri.

Poter riprendere a fingere. Fingere cosa? L’immagine che fingo con loro è più finta di quella che fingo con me?

E c’è un piacere (che è questa volta piacere) dell’intelligenza a capire, una volontà di costruire, un’ambizione è la parola esatta.

E ho imparato a mentire – si è certo rotto  escluso che con pochissime persone (una basterebbe che non mi amassero perché si rompesse anche con loro) quella lealtà che era la base del mio rapporto con gli altri. C’è solo una lealtà nel cercare la verità.

Sento il mio essere meno oscuro e più intelligente. È solo che ho bisogno che il cerchio del mio io sia un disegno nitido e fermo, così io mi sento intelligente e capisco effettivamente.

Voglio imparare a consolidarlo ed evitare che altri me lo rompano.

In me – come credo negli altri – ciò che “dirige” è l’affettività da questa dipende anche l’intelligenza.

Mi concedo di bruciarmi incenso, alla mia vanità, perché sento che ne ho bisogno: ne ho bisogno come un affamato.

E andrei in giro a gridare alle persone: amo Mario ma non è più niente della mia vita, è finito l’incubo. Sono di nuovo io.

Che è tutto questo? Non voglio cedere al dubbio, alla confusione – voglio solo “tenermi in mano” da quanto ho sbagliato con Mario?

 

 

dedica due –copertina al fondo

Troverà la “prossima puntata” a portata di mano, ogni note, nel suo letto. Cerchi, per favore.

 


nota: una cara amica ha deciso di scriverlo a macchina per presentarlo eventualmente alla Commissione (archivio dei diari) che può dirle se quel lavoro possa loro interessare o no- Ed inoltre se può proseguire nella stesura dei quaderni. “lei è labarbara”, da tanti anni collaboratrice (volontaria) del famoso archivio dei diari—

 

 

pettegolezzo: dopo avergli mostrato la dedica, giustamente Mario non ha mai aperto quel quaderno–nessuno può reggere le sbrodolature su se stessa e un amore, infinito e pure infrantosi…neanche la propria autrice.  Non li apro mai perché mi pare che tutte queste mie angosce  siano rimaste appiccicate alle pagine del quaderno: è giusto! E’ per quello che uno scrive: liberarsi dall’angoscia, farsi compagnia, nient’altro.

Se poi è un’artista, allora si può cominciare a vedere se aprirlo o no. Ma questo è un altro caso.

 

 

nota: il sogno del 10 marzo, che ricordo come oggi, mi ha dato tanta angoscia, non solo per aver capito… (come poi è avvenuto quasi subito: dopo aver scritto alla sorella dicendo che mi bastava vedere un “no” scritto –ho ricevuto lo sfratto ultimo)…ma quell’essere nel sogno era un mostro vomitevole…forse, il mio in conscio aveva captato molto oltre i miei sentimenti rimossi che dicevano che solo una persona superficiale e crudele con gli altri, mi avrebbe tenuto in sospeso due anni o più, accettando le mie lettere, libri dischi ecc.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *