RADEGUND, GIRATO NEL PAESINO DI SAPPADA (BELLUNO), DAL REGISTA TERRENCE MALICK

 SAPPADA CON LA NEVE

 

 

rep. di oggi

SPETTACOLI

Il leggendario regista americano è stato a Sappada in provincia di Belluno per ambientare “Radegund” il suo nuovo film
Nel paese
rapito
JENNER MELETTI

 

SAPPADA (BELLUNO)

«LI HO visti anch’io, i soldati. Avevano i fucili. Ma sono rimasta lontano da “quel cinema lì”. Sa perché? Io la guerra l’ho vista davvero». Maria Benedetto vedova Kratter ha 91 anni e toglie dai gerani i petali appassiti. «In paese c’erano i tedeschi. Si aveva paura anche a muovere un dito. Ma i partigiani hanno attaccato una caserma tedesca e loro hanno preso quattro giovani di Santo Stefano e li hanno fucilati».

Quel “cinema lì”, visto dalla signora Maria, era il set del nuovo segretissimo film di Terrence Malick. Otto giorni di lavori, due di riprese (8 e 9 agosto) in una Cima Sappada blindatissima. Dalle 13 alle 21 anche gli abitanti non potevano entrare ed uscire di casa. «Per non disturbare non potevamo nemmeno guardare la televisione», racconta Maurizio Venier, che è stato il referente di Cima per lo staff tedesco del regista americano. «Ma tanto avevano tolto le antenne».

Nessuno però si è sentito recluso. «Gli organizzatori, arrivati da Berlino già tre mesi fa, ci hanno spiegato che i loro fotografi avevano girato Austria, Germania e anche la val Pusteria per cercare la location di un film. Non dissero il nome del regista, ma solo che il nostro borgo era perfetto per un film ambientato nel 1940. Abbiamo parlato con il Comune e abbiamo detto sì. Siamo una località turistica, la pubblicità non ci fa certo male. E non avevamo ancora saputo che il regista era il grande Terrence Malick».

Poi il tam tam sulla rete. «Ma è vero che il regista de I giorni del cielo e de La sottile linea rossa viene a girare da voi?». E-mail da mezza Italia e anche dall’Austria, tanti si presentano a Cima Sappada quando si prepara il set e quando iniziano le riprese. Transenne e tanta sicurezza, nessuno riesce a rubare un’immagine. «C’era un contratto preciso – racconta Maurizio Venier – fra noi e l’organizzazione. C’era scritto che non potevamo fotografare nulla durante le riprese. Erano descritti anche tutti i lavori che avrebbero fatto per riportare il nostro borgo agli anni ’40». Nulla di importante, in fondo. Terra sulla strada asfaltata e sulla piazzetta, via due lampioni della luce e le antenne tv. Le porte nuove sono state coperte da altre di legno ma il lavoro non è stato pesante perché qui quasi tutte le case sono del ’700 e tante hanno ancora i portoni originali. Via anche i fiori dai balconi. «Ci hanno spiegato che avrebbero creato troppo contrasto con la storia tragica raccontata da Terrence Malick».

Del nuovo film si conosce il titolo, Radegund. Narra la storia vera del primo obiettore di coscienza austriaco, decapitato dai nazisti. Franz Jagerstatter, nel piccolo paese di Sankt Radegund, è l’unico a votare contro l’Anschluss poi rifiuta di entrare nell’esercito. È interpretato da August Diehl, l’attore che in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino è il perfido agente della Gestapo Dieter Hellstrom. Fra gli attori anche Tobias Moretti, il poliziotto della prima serie del Commissario Rex.

«No, non ci sono state comparse italiane. Hanno portato tutto loro. Ecco, su questa casa hanno messo l’insegna di una locanda. C’era anche una sartoria in un negozio fuori dal borgo, per mettere a posto abiti dell’epoca e divise. Sempre pronto anche un catering per merende, pranzi e cene di attori e comparse. Poi tutti a letto presto in diversi hotel o locande. Un giorno è venuto giù il diluvio, ma il programma non è cambiato di una virgola. Il regista – vietatissimo scattargli foto anche da lontano – dormiva in un bed & breakfast, le Coccole. Vietato rivelare il suo rifugio».

La produzione del film non ha pagato nulla al Comune. «Del resto – dice il sindaco, Manuel Piller Hoffer – non abbiamo speso niente. Tutti i lavori sono stati eseguiti da loro. Per noi è una bella promozione apparire in uno dei rari film del grande regista. È vero: ho detto sì ancor prima di sapere che si trattava di Terrence Malick. Quando sono venuti da me hanno detto che avevano scelto il borgo perché bellissimo e autentico. Cosa rispondi? Sono felice che ci abbiate trovato. È un complimento alla nostra politica di cura del territorio. Non abbiamo nemmeno bisogno di fare delibere o ingiunzioni: la gente ci tiene, alle proprie case e alla propria storia. Con i fiori sui balconi sembra quasi che facciano a gara. Per i 170 abitanti di Cima c’è stato qualche sacrificio ma sono rimasti contenti. Avrebbero preferito partecipare di più, magari facendo le comparse. Hanno provato a offrire “almeno un caffè” ma la risposta è stata sempre quella: abbiamo tutto, grazie per la gentilezza».

Anche adesso, dopo che regista e attori, comparse, Tir e cineprese sono partiti, il borgo sembra il set di un film. Lo sfondo del monte Peralba, le case antiche costruite tutte in legno, con la tecnica “blockbau”, incastro delle travi agli angoli senza utilizzo di chiodi. Una casa è diventata un museo (gratuito) con il camino, i letti, le finestre piccolissime per non fare entrare il gelo dell’inverno. «Noi – racconta Carlo Collovati, nato e residente qui – conosciamo la nostra sto- ria e cinque anni fa abbiamo pensato di farla conoscere anche agli altri. Ci sono le foto del passato, il museo, i mestieri raccontati con “statue” fatte con il fieno dei nostri prati». Sono tanti i turisti che già arrivano, senza ancora sapere nulla del film di Terrence Malick. Forse ne arriveranno di più quando il film – i tempi del regista sono quasi eterni – sarà nelle sale.

Succede con le fiction in tv, con turisti alla ricerca della “casa di Montalbano” o della “parrocchia di don Matteo”. In passato, la serie di film di Peppone e don Camillo nei primi anni ’50 ha cambiato la storia di Brescello, nella bassa reggiana. Ancora oggi ci sono due musei con 50.000 paganti all’anno, pullman che arrivano dalla Germania, coppie che si vogliono sposare nella “chiesa di don Camillo”.

Qui a Cima Sappada non c’è stata però nessuna fiction. Una tragica storia vera (dell’austriaco Jagerstatter, diventato Beato nel 2007) viene raccontata in un posto dove la storia di altre tragedie ha lasciato segni pesanti. I fucilati della seconda guerra mondiale, le stragi della Grande guerra.

Su un pannello c’è la fotografia dell’“unico locale pubblico di Cima Sappada nel 1915”. Si chiamava “Osteria della Pace”. File di soldati in fuga, macerie. «Io non ho bisogno – dice la signora Maria Benedetto Kratter – di leggere quelle storie. Le disgrazie della Grande guerra me le ha raccontate mia madre. La seconda l’ho vissuta. E quando ho visto i soldati del film – da lontano ho sperato solo una cosa: che finiscano le guerre che ci sono adesso».

©RIPRODUZIONE RISERVATA “Non hanno voluto comparse del posto Ci hanno detto che tutto era già stato organizzato” Un set blindato, neanche gli abitanti potevano avvicinarsi al luogo delle riprese “Nessun contatto con il cineasta e quelli della troupe non hanno voluto nemmeno un caffè”

MAESTRO

Terrence Malick, 72 anni, regista riservato: non concede interviste dal 1973

FOTO: ©GETTYIMAGES

SUL SET

In alto una parte di Sappada la città sulle Dolomiti a pochi chilometri dal confine austriaco adibita a set da Malick. A destra Maria Benedetto Kratter, 91 anni: “Non sono stata sul set, la guerra l’ho vista davvero”

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