ANDREA LEGNI, DOLCEVITA — 8 GIUGNO 2018— ARCHITETTURA OSTILE: QUANDO L’ARREDO URBANO E’ STUDIATO APPOSTA PER ALLONTANARE I POVERI

 

 

Architettura ostile: quando l’arredo urbano è studiato apposta per allontanare i poveri

 

C’è stato un tempo in cui le nostre città sembravano fatte anche per coloro che non avevano soldi: panchine ampie e comode dove poter anche dormire, fontanelle d’acqua per bere, bagni pubblici per espletare i propri bisogni. Poi è iniziata la controtendenza, dapprima i posti come quelli elencati sono progressivamente spariti poi, da alcuni anni, si è passati alla controffensiva: non solo non si fa più nulla per agevolare la fruizione della città anche ai poveri, ma si cerca di rendergli la vita più difficile possibile, sperando così di allontanarli.

QUANDO L’ESCLUSIONE SOCIALE VIENE MASCHERATA COL DESIGN.
 L’arma più in voga per allontanare mendicanti e senza tetto da centri cittadini concepiti sempre più come vetrine per consumatori e turisti è forse anche la meno notata da chi passeggia un po’ distratto per la strada. Provate a farci caso e contate le volte in cui incontrerete panchine con divisori in metallo, giardini con getti d’acqua che si azionano a tempo, gradini con spuntoni incorporati, pensiline per aspettare l’autobus con panchine ampie appena una ventina di centimetri oppure inclinate di 45 gradi. Si potrebbe pensare siano scelte di puro design ma non è così: sono state studiate in questo modo appositamente per impedire la loro fruizione da parte di poveri e senzatetto o, ad ogni modo, da parte di chiunque non sia racchiudibile nella funzione di cittadino-consumatore, l’unica ormai prevista in città sempre più simili a negozi a cielo aperto. Per definire questa oggettistica esiste un nome utilizzato in urbanistica: architettura ostile (o difensiva).

Spuntoni collocati davanti alla vetrina di un negozio per evitare la seduta

LA CENTROCOMMERCIALIZZAZIONE DEI CENTRI URBANI. L’architettura ostile si è diffusa già da molti anni negli Usa e in Gran Bretagna e ora sta trovando terreno sempre più fertile in tutta Europa, Italia compresa. Per comprendere il fenomeno tuttavia occorre inserirlo in un contesto più ampio, tenendo presente innanzitutto il fenomeno che lo storico dell’architettura Iain Borden ha definito mallification (traducibile in “centrocommercializzazione”) delle nostre città. E’ questa la dottrina urbana a causa della quale è sempre più difficile trovare un posto per sedersi in uno spazio pubblico, senza essere costretti a consumare beni o servizi. In quest’ottica le vie dello shopping, le piazze storiche, ma anche le stazioni dei treni diventano vere e proprie “zone rosse”, il cui accesso è regolato: se sei un turista o un acquirente sei il benvenuto, se sei un senza fissa dimora oppure vorresti solamente vivere la città senza spendere, la scomodità è garantita. Non a caso le zone cittadine maggiormente interessate dal fenomeno della centrocommercializzazione sono proprio quelle in cui è maggiore l’utilizzo di architetture ostili.

“Dissuasori” anti clochard istallati sulle pachine di via Giovanni da Procida, a Roma

IDEOLOGIA DEL DECORO E LOTTA AL DEGRADO: I RIFERIMENTI IDEOLOGICI. Il contesto culturale e politico che ha preparato il terreno all’istallazione delle architetture ostili è quello riassumibile nella “ideologia del decoro” o – la sostanza non cambia – in quella della “lotta al degrado”. Un centro commerciale deve essere bello, ordinato, pulito, accogliente. Ovviamente non è necessario che lo sia davvero: la polvere sotto al tappeto non è un problema e il benessere dei lavoratori un optional non rischiesto, ma alla vista del cliente tutto deve essere perfetto. Su questo non si può sindacare. I nostri centri (sempre meno urbani e sempre più commerciali) stanno seguendo lo stesso processo. Tutto deve essere perfetto alla vista di turisti e consumatori. La movida notturna può esserci, ma disciplinata e seduta ai tavolini di costosi locali, i ragazzi che stanno seduti a terra nelle piazze con le birre portate da casa non sono previsti: sporcano la vista e non spendono. Ancor di più non si devono vedere i poveri. I poveri sono veramente brutti alla vista: vestiti male, spesso con la pelle di colori che non rassicurano i clienti, così indecorosi nel loro non avere un tetto, nel chiedere le elemosina o nell’inventarsi altri modi incongrui per mangiare qualcosa. I poveri stanno ai centri cittadini come lo sporco sta ai centri commerciali, l’importante è che non si vedano. Non è che non devono esserci perforza, ma devono stare nelle periferie o chiusi in qualche palazzo diroccato. Sotto il tappeto come la polvere.

A Parma il sindaco Pizzarotti ha fatto prima: panchine rimosse in diverse piazze del centro

ORDINANZE COMUNALI E DECRETO MINNITI, LE ARMI DELLA GUERRA AI POVERI. Adottando questo quadro di contesto allora non è così difficile da comprendere la rapidità con la quale il design ostile si sta imponendo sugli arredi urbani dei centri cittadini. I divisori messi sopra le panchine per impedire ai senzatetto di dormirci non sono idealmente diversi dalle norme contro il degrado che sempre più città italiane stanno adottando. Multe per chi chiede le elemosina, ordinanze contro chi bivacca, divieti di portare in giro bottiglie di vetro. Lo scopo di fondo è sempre il medesimo: allontanare i poveri dalla vista della gente per bene, quella che consuma. Un’ideologia che ha trovato una sponda legislativa anche a livello nazionale con il decreto dell’ex ministro degli Interni: il cosiddetto daspo urbano. Venduto all’opinione pubblica come misura per combattere la criminalità e garantire sicurezza e non a caso utilizzato per la prima volta a Bologna proprio per allontanare dal centro dieci senzatetto che dormivano sotto i portici del centro. Colpevoli solamente di essere poveri.

Spuntoni collocati sotto a un ponte per evitare che vi trovino riparo i senzatetto

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