JEAN- PIERRE PERRIN, Quando Khashoggi incontrò Bin Landen sui monti afghani, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 OTTOBRE 2019

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 OTTOBRE 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/10/07/quando-khashoggi-incontro-bin-landen-sui-monti-afghani/5500683/

 

 

IN EDICOLA/MONDO

Quando Khashoggi incontrò Bin Landen sui monti afghani

Quando Khashoggi incontrò Bin Landen sui monti afghani

 

L’algerino Abdullah Anas ha combattuto per dieci anni al fianco del celebre comandante Ahmad Shah Massoud nelle montagne dell’Afghanistan. Nel suo libro To the Mountains. My Life in Jihad (Hurst Publishers), uscito di recente, accenna appena a Jamal Khashoggi. Vi si legge che è nella macchia afghana che il giornalista assassinato ha incontrato Osama bin Laden. L’autore scrive che Khashoggi, bin Laden, lui stesso e altri volontari arabi uniti ai guerriglieri tentarono, poco prima della caduta del “tiranno rosso” Mohammad Najibullah, nell’aprile 1992, di convincere le fazioni afghane ad unirsi per evitare la guerra civile. Il fallimento fu clamoroso. All’epoca il giornalismo era una copertura per Khashoggi che lavorava per il principe Turki al-Faysal, capo dei servizi segreti sauditi per più di 20 anni, vicino al direttore della Cia William Casey e membro della famiglia reale.

Nipote di Adnan Khashoggi, il noto trafficante d’armi e uomo più ricco del mondo, che orchestrò i più grossi contratti del regno, il giornalista svolse un ruolo nei flussi militari che hanno alimentato la resistenza afghana. In alcune foto circolate all’epoca, Khashoggi è vestito da mujaheddin e stringe o un kalashnikov o un lanciarazzi RPG-7. In realtà non ha mai combattuto, come del resto bin Laden, diversamente da quanto si è creduto, ma i guerriglieri afghani godevano di una tale reputazione, per aver respinto l’esercito sovietico nel 1988-89, che era diventata quasi una moda farsi fotografare con loro. Negli anni 90, la sua vicinanza a bin Laden gli permise di diventare il “messaggero” del principe Turki al-Faysal. Il fondatore di al Qaida cominciò a prendere le distanze dal regime saudita  già dal 1985. Ma il potere saudita, data l’importanza della sua famiglia (suo padre aveva costruito molti palazzi reali) e il prestigio acquisito tra i giovani sauditi, pensò di poterne frenare la deriva terroristica. Robert Fisk, reporter britannico delThe Independent, ha confermato i legami tra Khashoggi e bin Laden. Poi, quando bin Laden prese la via del radicalismo violento, il giornalista si allontanò dall’uomo che chiamava con rispetto Sheikh Osama.

Khashoggi è stato dunque vicino tanto a bin Laden che agli 007 sauditi e alla famiglia reale. Lui stesso veniva da una grande famiglia saudita di Jeddah, sul Mar Rosso, con lontane origini turche, non nobile ma legata alla monarchia. Era cugino di Emad Khashoggi, il ricco uomo d’affari che ha costruito il castello di Louveciennes, in Francia, copia moderna del castello di Vaux-le-Vicomte, che il principe ereditario Mohammad bin Salman (Mbs) ha acquistato per 275 milioni di euro. Ed era cugino anche di Dodi Al-Fayed, morto a Parigi nel 1997 nell’incidente d’auto in cui morì la principessa Diana. Suo nonno, turco, era stato il medico personale di Abd al-Aziz bin Abd al-Rahman al Saud, il fondatore del regno. Si può dunque immaginare che per Khashoggi la monarchia saudita non avesse misteri. Che anzi conoscesse tutti i segreti di famiglia. “Khashoggi sapeva tutto del potere saudita e conosceva i rischi” che rappresentava, ha scritto Fisk. Negli anni 80 del jihad in Afghanistan, Khashoggi frequentò i Fratelli Musulmani. “Ma si trattava dei Fratelli sauditi, un ramo che non è legato alla confraternita internazionale. All’epoca in cui, nelle università saudite, si insegnava Sayyid Qutb (ideologo islamista radicale, promotore del jihad contro i regimi del mondo arabo, che Nasser ha fatto impiccare nel 1966, ndr), non era la più radicale delle correnti presenti in Arabia. Nel contesto politico dell’epoca, essere un Fratello era il minimo. L’islamismo è un fenomeno generazionale. “Questo periodo può essere paragonato alla Francia del 68 e ai suoi gruppi di estrema sinistra”, ha spiegato Stéphane Lacroix, professore associato a Sciences-Po e ricercatore al Centro di studi e richerche internazionali (Ceri), che conosceva bene Khashoggi. Più tardi questi anni di attivismo gli furono molto criticati. A partire dal 2002, Riad iniziò infatti la sua guerra contro i Fratelli Musulmani.

Dopo gli attacchi al World Trade Center dell’11 settembre 2001, Khashoggi divenne consigliere per la stampa del principe Turki, ambasciatore a Londra, poi a Washington, con la missione di ripristinare l’immagine del regno, minata dal fatto che 15 dei 19 kamikaze dell’11 settembre erano sauditi e che un rapporto del comitato di intelligence del Senato parlava del ruolo dell’Arabia Saudita nell’organizzazione degli attentati. Nel 2003, due mesi dopo la nomina, fu costretto a dimettersi da direttore del quotidiano saudita Al-Watan. Posto che ritrovò nel 2007 e che lasciò di nuovo nel 2010 per via di un editoriale critico sul salafismo. Durante la Primavera araba, Khashoggi prese posizione per il cambiamento. Ma volle credere in bin Salman, salito al potere nel giugno 2017. Si aspettava di entrare nel team di giovani consulenti formatisi come lui nelle università Usa, che il principe stava riunendo in per realizzare il suo vasto piano di riforme battezzato “Vision 2030”. Mbs non lo chiamò. “Nei confronti di Mbs, l’atteggiamento di Khashoggi è stato per molto tempo ambiguo – ha osservato David Rigoulet-Roze, direttore della rivista Orients Stratégiques -Ha appoggiato le sue ambizioni riformatrici, ma rifiutava il suo carattere autocratico che soffocava ogni accenno di contestazione. A determinare la rottura è stata la disastrosa guerra in Yemen. Poi, con le primavere arabe, Khashoggi divenne un problema per il regno saudita – ha continuato Rigoulet-Roze – Per Khashoggi, il futuro della regione passava per l’integrazione del movimento islamista nelle nuove forme di governo”. Il giornalista saudita, secondo Stéphane Lacroix, non può essere considerato un Fratello musulmano: “Difendeva solo l’idea che non ci può essere democrazia nel mondo arabo escludendo gli islamisti dalla politica”.

Nel settembre 2017, Khashoggi partì negli Usa per fuggire all’ondata di arresti di intellettuali nel regno. Il Washington Post gli mise a disposizione una rubrica settimanale nella quale il giornalista attaccò regolarmente Mbs. Il regime saudita cominciò a temerlo. E non solo come editorialista. Nel gennaio 2018, Khashoggi fondò Dawn, acronimo di Democracy for Arab World Now, una piattaforma registrata nel Delaware (Usa), che riuniva giornalisti, attivisti e lobbisti di correnti islamiche liberali favorevoli alla democrazia. “Jamal aveva una rete di contatti incredibile – ha sottolineato Lacroix – Aveva legami con le istituzioni politiche occidentali. Il suo account Twitter contava circa un milione di contatti”. Il 28 settembre commise l’errore fatale di recarsi al consolato saudita di Istanbul per ottenere i documenti per risposarsi con una giornalista turca, Hatice Cengiz. Gli venne chiesto di tornare la settimana seguente: era un trappola. Khashoggi non uscì più da quel palazzo. Una cosa è certa: fu interrogato, torturato e ucciso nel consolato. Il suo corpo fu fatto a pezzi. Il 2 ottobre arrivarono in Turchia 15 sauditi, tra cui diversi ufficiali dell’esercito e personaggi vicini a Mbs, tra cui Maher Abdulaziz Mutreb, che accompagna spesso il principe nei suoi viaggi. Questi avrebbero preso delle camere d’albergo, sarebbero andati al consolato e ne sarebbero usciti poche ore dopo per poi decollare di nuovo per Riad. Secondo l’inchiesta dell’Onu, pubblicata a giugno, esistono “prove credibili” dell’implicazione del principe nell’omicidio Khashoggi. Viene anche sottolineata la responsabilità dell’Arabia Saudita in quanto Stato e chiesto alla comunità di sanzionare Mbs congelando i suoi beni all’estero. “Il principe ereditario ha preso il rischio di altri crimini simili all’omicidio di Khashoggi, indipendentemente dal fatto che abbia ordinato direttamente o meno il crimine”, ha scritto Agnès Callamard, responsabile dell’inchiesta. Gli inquirenti hanno avuto accesso alle registrazioni audio “agghiaccianti e spaventose” fornite dai servizi di intelligence turchi. Ma come mai il giornalista, l’“iniziato”, consapevole dei segreti del regno, non si è reso conto del pericolo, data la violenza nota del principe, detto il “feroce”? Né ha tenuto conto di quanto era già accaduto al suo amico, il potente e ricchissimo principe Al-Walid bin Talal, un’“intoccabile” si pensava, che fu arrestato e umiliato tra novembre 2017 e gennaio 2018 al Ritz-Carlton Hotel di Riad, con altre 10 persone accusate di “corruzione” da una commissione presieduta da Mbs, e quindi spogliato di gran parte della sua fortuna. “Si spiega perché ciò che è accaduto non ha precedenti – ha detto David Rigoulet-Roze – Neanche lui che conosceva bene l’istituzione dall’interno poteva immaginare cosa sarebbe successo. E proprio in Turchia, paese dei suoi antenati e del presidente ‘fratello’ Erdogan”.

Alla vigilia del primo anniversario della morte del giornalista saudita, Mbs ha detto per la prima volta, in un documentario su PBS, che l’Arabia Saudita si assumeva la sua responsabilità nell’omicidio del giornalista, senza accennare però ad un suo coinvolgimento diretto: “Mi assumo tutta la responsabilità, perché è accaduto sotto la mia direzione”. Ha ripetuto cioè le stesse cose che aveva già detto in precedenza, che è stata un’operazione non autorizzata e che si erano commessi degli errori, riaffermando poi la sua autorità. Come per dire: “Il paese è nelle mie mani”, ha osservato Lacroix. Senza pressioni internazionali l’omicidio del giornalista, che aveva sollevato un grande scandalo internazionale, oggi sembra sepolto. Intanto Riad continua a operare per far passare il giornalista come membro dei Fratelli Musulmani. “L’emozione resta forte tra i congressmen e i senatori Usa ma non si traduce in ritorsioni. Trump fa da parafulmine – ha sottolineato Lacroix – Ma i sauditi hanno fatto un errore: si sono messi contro i democratici (e alcuni repubblicani). Puntando su Trump si sono fatti dei nemici. È probabile che la questione saudita sia sollevata dai democratici durante la campagna per il 2020”.

(Traduzione di Luana De Micco)

 

QUALCOSA  SULL’AUTORE DELL’ARTICOLO:::

Risultati immagini per jean pierre perrin journaliste

 

Jean-Pierre Perrin, né le , est un journalistecorrespondant de guerre et écrivain français, auteur de récits d’actualité et de romans policiers.

Il est grand reporter au quotidien Libération, spécialiste du Proche-Orient, du Moyen-Orient et de l’Afghanistan.

 ( WIKIPEDIA)

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a JEAN- PIERRE PERRIN, Quando Khashoggi incontrò Bin Landen sui monti afghani, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 OTTOBRE 2019

  1. Donatella scrive:

    Sembra di tornare ad un mondo barbaro e senza leggi, forse per la particolare crudeltà dell’omicidio.
    Come Italia noi non abbiamo nulla da imparare circa omicidi e stragi di stato; questo omicidio ha però qualcosa in più come efferatezza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *