ENZO COLLOTTI ( Messina, 1929 – 7 agosto 2021 ) – Le leggi razziali compimento del fascismo — IL MANIFESTO DEL 27 GENNAIO 2018 +++ GAETANO AZZARITI, IL FASCISTISSIMO ANTISEMITA PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE DAL 1957 AL 1961

 

 

 

Enzo Collotti, storia maestra | il manifesto

 

Lutto per Enzo Collotti - Istituto Nazionale Ferruccio Parri

 

Enzo Collotti (Messina, 15 agosto 1929 – Firenze, 7 ottobre 2021) è stato uno storico e accademico italiano. Ha insegnato Storia contemporanea all’Università degli Studi di Firenze, all’Università di Bologna e all’università di Trieste, ed è considerato uno dei più importanti storici italiani ed europei della Resistenza italiana e nello studio del nazismo. Si sposò con la collega Enrica Pischel, scomparsa nel 2003.

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https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Collotti

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 27 GENNAIO 2018

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Le leggi razziali compimento del fascismo

 

Mussolini e GrazianiMussolini e Graziani

Enzo Collotti

EDIZIONE DEL  27.01.2018

PUBBLICATO26.1.2018, 23:59

 

Quest’anno il Giorno della Memoria coincide con la ricorrenza dell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi contro gli ebrei dell’Italia fascista. Promulgazione ad opera di quel sovrano Vittorio Emanuele III al quale, se non altro per questa ragione, devono essere precluse le porte del Pantheon.

 

Come giustamente ricorda una importante pubblicazione edita l’anno scorso in Germania per gli ottanta anni dalle leggi di Norimberga, fu una iniziativa tutta italiana senza che vi fosse alcuna pressione da parte del Reich nazista, come si ostina a ripetere qualche tardo estimatore di Benito Mussolini.

 

Tutto quello che si può dire in proposito è che nell’Europa invasa dall’antisemitismo, l’Italia fascista non volle essere seconda a nessuno, ossessionata come era, fra l’altro, dallo spettro della contaminazione razziale.

Frutto avvelenato dell’appena conquistato impero coloniale e della forzata coabitazione con i nuovi sudditi africani.

Come tutti i neofiti, anche il razzismo fascista ebbe il suo volto truce. La «Difesa della razza», l’organo ufficiale del regime che ebbe come segretario di redazione Giorgio Almirante, ne forniva la prova in ogni numero contraffacendo le fattezze fisiche degli ebrei o rendendo orripilanti quelle delle popolazioni nere.

Il tentativo di fare accreditare l’esistenza di una razza italiana pura nei secoli aveva il contrappasso di dare una immagine inguardabile delle popolazioni considerate razzialmente impure. L’arroganza della propaganda non impedì che essa facesse breccia in una parte almeno della società italiana e ancora oggi non è detto che essa si sia liberata dall’infezione inoculata dal fascismo, come stanno a dimostrare piccoli, ma numerosi episodi che si manifestano, e non solo negli stadi.

Non bisogna fra l’altro dimenticare che non solo tra il 1938 e l’8 settembre del 1943 l’odio razziale ebbe libero corso, ma che dopo l’armistizio e l’occupazione tedesca la caccia agli ebrei divenne uno dei principali motivi dell’esistenza della Repubblica Sociale neofascista.

In nome della purezza della razza il regime costrinse a fuggire o mise in campo di concentramento ebrei che in altre parti d’Europa si erano illusi di trovare un rifugio non precario entro i confini italiani; ma costrinse all’emigrazione scienziati e intellettuali italiani, privando il Paese di una componente culturale che, nella più parte dei casi, non avrebbe fatto ritorno in Italia neppure dopo la liberazione anche a causa degli ostacoli non solo burocratici alla reintegrazione di quanti erano stati costretti a espatriare e che per tornare a esercitare il proprio ruolo in patria non avrebbero potuto contare su nessun automatismo.

 

Le leggi contro gli ebrei costituirono un’ulteriore penetrazione del regime nel privato dei cittadini: il divieto dei matrimoni con cittadini ebrei; l’espulsione degli ebrei come studenti ed insegnanti dalle scuole e dalle università; l’espulsione degli ebrei dalla pubblica amministrazione.

 

Di fatto, ma anche di diritto, si venne a creare una doppia cittadinanza con cittadini di serie A e cittadini di serie B, preludio dell’ostracismo generalizzato sancito dalla Repubblica Sociale che proclamò semplicemente gli ebrei cittadini di stati nemici, quasi a dare la motivazione non solo ideologica per la partecipazione italiana alla Shoah.

 

Ancora oggi è difficile dare una valutazione sicura delle reazioni della popolazione italiana alle leggi razziali. Le azioni di salvataggio compiute dopo l’8 settembre non devono ingannare a proposito dei comportamenti che si manifestarono prima dell’armistizio.

 

Gli stessi ebrei non si resero esattamente conto della portata delle leggi razziali. Il fanatismo della stampa, in particolare nella congiuntura bellica in cui gli ebrei vennero imputati di tutti i disastri del Paese, andava probabilmente oltre il tenore dello spirito pubblico che oscillava tra indifferenza e cauto plauso, aldilà del solito stuolo dei profittatori.

 

Le autorità periferiche non ebbero affatto i comportamenti blandi che qualche interprete vuole tuttora addebitare loro. Il conformismo imperante coinvolse la più parte della popolazione. Il comportamento timido, più che cauto, della Chiesa cattolica non incoraggiò in alcun modo atteggiamenti critici che rompessero la sostanziale omogeneità dell’assuefazione al regime.

 

A ottanta anni di distanza la riflessione su questi trascorsi è ancora aperta e si intreccia con alcuni dei nodi essenziali della storiografia sul fascismo (per esempio la questione del consenso).

 

È una storia che deve indurci ad approfondire un esame di coscienza collettivo alle radici della nostra democrazia e a dare una risposta a fatti che sembrano insegnarci come la lezione della storia non sia servita a nulla se è potuto accadere che il presidente del tribunale fascista della razza diventasse anche presidente della Corte Costituzionale della Repubblica.

 

 

 

NOTA : GAETANO AZZARITI

 

Nicola Picella Gaetano Azzariti.jpg

Nicola Picella colloquia con Gaetano Azzariti

dati.camera.it

 

Gaetano Azzariti (Napoli, 23 marzo 1881 – Roma, 5 gennaio 1961) è stato un giurista e politico italiano, presidente della Commissione sulla razza durante il regime fascista, ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Badoglio e presidente della Corte costituzionale dal 1957 al 1961.

Gran parte della sua opera fu svolta presso l’Ufficio legislativo del Ministero di Grazia e Giustizia di cui fu responsabile dal 1927 sino al 1949, con una sola sospensione tra il 25 luglio 1943 e il 4 giugno 1944. All’interno di questo ministero percorse tutti i gradi della carriera.

Antisemita convinto, in un discorso del 28 marzo 1942, scrive compiacendosi come «l’egualitarismo dominante (…) senza differenza di età di sesso di religione o di razza», non sia più «una specie di dogma indiscutibile»: col fascismo «ora è relegato in soffitta». E afferma che «la diversità di razza è ostacolo insuperabile alla costituzione di rapporti personali, dai quali possano derivare alterazioni biologiche o psichiche alla purezza della nostra gente».

Nel 1938 aderì al “Manifesto della Razza”, documento fondamentale, che ebbe un ruolo non indifferente nella promulgazione delle cosiddette leggi razziali (redatto da dieci scienziati italiani per conto del Ministero della cultura popolare) e divenne presidente di una Commissione, cosiddetto “tribunale della razza”, istituita presso la Direzione generale per la demografia e la razza del ministero dell’Interno. La commissione poteva dichiarare la “non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile” e accolse 104 delle 143 domande sottoposte al riguardo.

Il 25 luglio 1943 fu nominato Ministro di grazia e giustizia nel primo Governo Badoglio. Fuggito il Governo a Brindisi e poi a Salerno, rimase a Roma e trovò rifugio nei conventi della capitale.

Dopo la liberazione, nel giugno del 1944, riprese servizio presso l’ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia senza che – ovviamente – avesse alcun effetto il suo collocamento a riposo deciso d’autorità dal Governo della Repubblica Sociale Italiana il 22 dicembre 1944.

Dal giugno 1945 al luglio 1946 collaborò con il Ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti.

Poi fu membro delle due Commissioni per la riorganizzazione dello Stato e per la riforma dell’amministrazione (Commissioni Forti), nell’ambito del ministero per la Costituente.

Nominato presidente del Tribunale Superiore delle acque pubbliche, fu collocato a riposo per raggiunti limiti d’età nel 1951.

Il 3 dicembre 1955 venne nominato giudice costituzionale dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

Relatore della prima storica sentenza (che affermava la competenza della Corte a giudicare la legittimità costituzionale delle norme entrate in vigore prima della Costituzione repubblicana), divenne Presidente della Corte il 6 aprile 1957 rimanendo in carica sino al 5 gennaio 1961, giorno della sua morte.

DA 

https://it.wikipedia.org/wiki/Gaetano_Azzariti

 

 

 

 

 

CORRIERE.IT — 4 NOVEMBRE 2014

https://www.corriere.it/cultura/14_novembre_04/antisemita-suprema-corte-l-incredibile-caso-gaetano-azzariti-70ffd8cc-642c-11e4-8b92-e761213fe6b8.shtml

STORIOGRAFIA

Un antisemita alla Suprema Corte. L’incredibile caso di Gaetano Azzariti

 

Lavorò alle leggi fasciste, anche quelle contro gli ebrei. Ma grazie a Palmiro Togliatti fu riabilitato e promosso. Un saggio di Massimiliano Boni fa luce su una storia italiana

di Gian Antonio Stella

Cosa ci fa il busto del presidente del Tribunale della razza nel corridoio nobile della Corte costituzionale?

È insopportabile, dopo aver letto finalmente un’inchiesta stringente, documentatissima e implacabile sulla vita di Gaetano Azzariti

, sapere che un uomo così arrivò, grazie alla lavanderia di Palmiro Togliatti, alla presidenza della Suprema Corte senza che alcuno gli rinfacciasse il ventennio passato a confezionare leggi su misura per il Duce e per la caccia all’ebreo. Ben 45 libri, saggi e discorsi vari ci sono, nel catalogo delle biblioteche italiane, con Azzariti nel titolo o tra gli autori. Non uno cita la sua devozione fascista e razzista. Così come non ne parlano mai, lo diciamo arrossendo, gli articoli nell’archivio del «Corriere». Mai. Dopo la morte, anzi, l’«Informazione» si spinse a scrivere che con la sua elezione alla Consulta era stata «coronata la carriera di un uomo che aveva dedicato tutta la sua vita al trionfo della giustizia e della verità». Non è così. E lo dimostra un saggio di Massimiliano Boni, consigliere della Corte costituzionale. S’intitola Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale pubblicato dalla rivista «Contemporanea» del Mulino.

Un saggio che, documenti alla mano, ricostruisce la vita di Azzariti, dalla nascita a Napoli nel 1881 (nonno, padre e due fratelli magistrati) alla carriera di altissimo burocrate all’ufficio legislativo del ministero della Giustizia che comandò negli anni in cui il fascismo si impossessò dello Stato, dal 1927 al 25 luglio 1943, quando Mussolini fu rovesciato e lui si riciclò come guardasigilli «tecnico» per un mese e mezzo nel governo Badoglio, precipitandosi a concedere l’immediata scarcerazione dei detenuti politici.

C’è chi dirà: furono tanti i giudici che applicarono le leggi fasciste. Vero. E la Repubblica non poteva certo processarli tutti. Ma lui non si limitò ad applicarle: le fece. Come scrive Silvia Falconieri nel libro La legge della razza (Il Mulino, 2012), non bastò proclamare la superiorità della stirpe: la razza divenne «affare dei giuristi».

E lì, spiega Boni, fu «necessario selezionare un ceto di chierici che da un lato traducesse in norme e provvedimenti quanto deciso a livello politico, dall’altro fornisse un fondamento teorico al nuovo corpus di norme». Azzariti è in prima fila: «I documenti attestano la piena partecipazione di Azzariti al processo di edificazione della legislazione fascista, compresa quella razziale». Il Duce se ne fida al punto di promuoverlo nel 1939 alla testa del Tribunale della razza. Un ruolo svolto con zelo fino alla caduta del regime. Lo dimostra un discorso del 28 marzo 1942. Dove si compiace che «l’egualitarismo dominante (…) senza differenza di età di sesso di religione o di razza», non sia più «una specie di dogma indiscutibile»: col fascismo «ora è relegato in soffitta». E afferma che «la diversità di razza è ostacolo insuperabile alla costituzione di rapporti personali, dai quali possano derivare alterazioni biologiche o psichiche alla purezza della nostra gente». Infame. Non è l’«errore di gioventù» di tanti ragazzi allevati nel culto del Duce. Quando sputa sui diritti inalienabili con la tesi che «nel campo del diritto non esistono “immortali principi”, i quali, del resto, anche fuori del campo giuridico sono ormai morti o agonizzanti», Azzariti è un sessantunenne laureato da quaranta. È il più potente burocrate del ministero. È il capo di quel Tribunale della razza, spiegherà il grande accusatore Raffaele Gioffredi,istituito per «arianizzare», inventandosi una madre adulterina e un padre ariano, «gli israeliti cari al cuore del Duce» o «quelli che più fossero disposti a mollar danaro, ville, gioielli o altre utilità di gran pregio».

È insomma in primissima fila tra quanti selezionano chi nel 1943 sarà salvato e chi verrà sommerso dall’Olocausto. Questo fu, Gaetano Azzariti. Premiato, accusa Boni, anche da una pioggia di prebende: un documento dell’Alto commissario per l’epurazione «riassume l’elenco dei pagamenti a lui effettuati, tra il 1932 e il 1943, ulteriori a quelli percepiti come ordinarie competenze mensili di stipendio e indennità accessorie». Fedele al fascismo sì, ma non gratis… Come fece, uno così, a uscire indenne dalla caduta del Duce? Per cominciare, spiega Boni, ebbe la «fortuna» che tutti gli atti dei processi del Tribunale della razza, prodigio prodigioso, sparirono. Tutti. A seguire, contando sull’omertà di una rete di rapporti intessuta per decenni, affrontò l’inchiesta truccando le carte. «Ha fatto parte di uffici o commissioni razziali?», chiede il questionario. E lui risponde: «No. Fece però parte di una commissione tecnico-giuridica, composta in prevalenza di magistrati (…) che consentiva di far dichiarare ariane le persone le quali dagli atti dello stato civile risultavano ebree. Parecchie famiglie israelite furono così sottratte ai rigori delle leggi razziali». In poche righe, commenta Boni, «tutto è rovesciato, il nero diventa bianco». «Ha fatto pubblicazioni o conferenze di carattere razziale?». «No». «È stato autore di libri, opuscoli e pubblicazioni in genere, avente anche indirettamente carattere politico?». «No». «Un documento indirizzato al presidente della Commissione per l’epurazione, datato ottobre 1944», insiste Boni, «descrive Azzariti come componente di una “cricca” (sic) che orbita attorno ai ministri di Grazia e giustizia che si sono succeduti nel ventennio fascista», gli attribuisce «la competenza a “rivedere” e “compilare” tutte le leggi», ricorda la sua ammirazione per il fascismo e la sua presidenza alla «commissione di persecuzione degli ebrei». Il «parere conclusivo» è duro: il magistrato va messo subito «a riposo». Ma lì, sulla minuta conservata negli archivi, una mano misteriosa scrive: «Non lo ritengo opportuno». Chi lo scrive? Non si saprà mai. La stessa firma in calce alla relazione è cancellata.

Sono ignorate anche le denunce del giudice Gioffredi: «Bastava si accennasse qualche idea del provvedimento legislativo repugnante (sic) ai più elementari principi del diritto e della coscienza civile, perché egli la formulasse e riducesse in tanti articoli delle così dette norme giuridiche (…) accompagnandole con relazioni e commenti apologetici che la mano di ogni onesta persona si sarebbe rifiutata di sottoscrivere». Tutto evapora nel nulla. Gli italiani sono occupati a tornare a vivere. Gli ebrei sopravvissuti devono ancora riprendersi dal trauma. Nei giornali son tanti ad aver la coda di paglia. Ma è Togliatti a dare l’ultima sbiancata alla fedina di Azzariti. Prendendoselo come collaboratore al ministero della Giustizia. Pochi anni e il presidente del Tribunale della razza salirà alla presidenza della Corte costituzionale. Dove ancora oggi c’è quel busto. Che ci ricorda come in Germania, lo racconta il film Vincitori e vinti, i giudici più compromessi col nazismo finirono a Norimberga e da noi al Palazzo della Consulta. E nessuno dice niente?

 

Libertà e Giustizia

29 marzo 2015

 

RESPINTA LA RICHIESTA DI RIMUOVERE L’OPERA CHE RICORDA GAETANO AZZARITI

DI GIAN ANTONIO STELLA

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  1. ueue scrive:

    Interessantissima la biografia di Gaetano Azzariti, che ci dice una volta di più come l’Italia non abbia mai fatto seriamente i conti col fascismo.

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