18 dicembre 2012 ore 05:44 Un racconto “con sorpresa” di DONATELLA D’IMPORZANO

 

 

 

 

 

TERZO MILLENNIO

In questi ultimi mesi sono di una felicità incontenibile, perché ho raggiunto sana e salva il 2000. Bella forza, direte voi, e che ci va? Un po’ di salute, un po’ di fortuna (non voglio sentire quell’altra parola volgare che ormai tutti usano, perché non ho mai sopportato la volgarità) e non avere troppi anni. E qui sta il punto, perché io di anni ne ho tanti, troppi per essere sicura di approdare tranquillamente nel terzo millennio.

Beh, direte ancora voi, fortunata tu che sei arrivata fin lì. Si certo, fortunata, questo è l’aspetto che salta immediatamente agli occhi di tutti, ma sapeste che fatica! Intanto già venire al mondo è un terno al lotto. Non so voi, ma io da piccola, quando ancora non ero abituata alla mia stessa esistenza e tutto mi stupiva, mi chiedevo: ma perché io e non altri? Perché, tra tante combinazioni possibili, sono venuta fuori io, con queste caratteristiche che dipendono chissà da chi, con questo nome che a volte mi risuona estraneo. Adesso anche i bambini dell’asilo sanno del DNA, sanno che dal codice genetico di ognuno si potrebbe risalire ai più lontani progenitori, ma vi assicuro che ai miei tempi bisognava lavorare di immaginazione, e a volte anche questa non bastava. Poi gli adulti non vi dicevano nulla, anche quei pochi che sapevano qualcosa tacevano come se si vergognassero di dire come si viene al mondo. Io qualcosa sospettavo ma mi guardavo bene dal dirlo in giro, per paura di sembrare una svergognata e facevo finta di credere a delle strane storie di cavoli e di cicogne. Tra amiche ci passavamo delle informazioni, ma anche lì si faceva molta attenzione a non esporsi troppo per non fare brutte figure.

Insomma la nostra origine era avvolta nel più completo mistero. Forse è per questo motivo che fin da giovane mi appassionai alla storia. Attraverso di essa potevo risalire all’indietro nel tempo e potevo esplorare nella cronologia dei miei antenati, essendomi preclusa la genetica e tanto più i meccanismi riproduttivi. Scoprii intanto, non senza una certa soddisfazione, che era quasi impossibile parlare di razze. C’era un ramo della nostra famiglia che si dava un sacco di arie perché si vantava di essere nobile e di discendere da degli antenati francesi. Mi facevano un po’ sorridere queste pretese, adesso che avevo iniziato ad addentrarmi nel groviglio dei popoli, delle migrazioni, degli accadimenti più vari che facevano sì che tutta la realtà non fosse che un’immensa insalata, dove pezzi diversi si accostavano, si allontanavano, tornavano a stare insieme. Mi facevano ridere quelle pretese di grandeur e d’esprit de finesse. Chissà quanti barbari puzzolenti di birra e di sugna erano passati da quelle parti, quanti avventurieri e quanti briganti di tutte le razze avevano calcato quei luoghi, prima che qualcuno potesse esprimersi nel dolce idioma di Francia! Noi avevamo già alle spalle nientemeno che la Magna Grecia, gli Etruschi, l’Impero Romano e scusatemi se dico poco. Purtroppo a certi parenti non si può dire il fatto loro, anche se si hanno decine di argomenti a favore. Ma, lo sappiamo tutti, chi ha più giudizio ne metta e, nessuno lo può sapere meglio di me, il silenzio è d’oro.

Si, tante volte mi sono salvata stando zitta: quando sentivo che non potevo farcela, diventavo più piccola, quasi non si avvertiva la mia esistenza e lasciavo che la buriana passasse. Tanto, prima o poi, i tempi cambiano ed io sarei tornata alla luce del sole. Ho imparato nella mia lunga esistenza che è molto pericoloso legarsi in modo privilegiato alla politica. E’ vero che si vivono dei momenti esaltanti, in cui il mondo sembra essere vostro, in cui siete sulla bocca di tutti, ma poi si passano degli interi periodi, a volte anni ed anni, in cui nessuno si ricorda più di voi, anzi proprio dice di non avervi mai conosciuto. Molti, per ignoranza e pregiudizi vari, pensano che tutto ciò che si collega alla politica sia una parolaccia, qualcosa di sporco. Allora, quando non avete più il potere dalla costra (chiara non capisce: ?) a garantirvi, apriti cielo, non riuscite più a farvi le vostre ragioni. Non so chi l’ha detto ma ci sono dei corsi e ricorsi storici e voi non ci potete fare niente. Avete un bel cercare di ragionare con i pochi amici che vi sono rimasti, avete un bel dire: ma io intendevo altre cose, io avevo una veduta più ampia, io davo dei significati ben più profondi e di lunga durata… Niente! E’ già molto se vi stanno a sentire nascondendo cortesemente ma senza molto impegno la noia che gli procurate, come foste un parente povero terribilmente tedioso. Ho passato anch’io momenti simili e vi assicuro che molte delle mie rughe sono dovute a quelle miserie. Ormai, con tutti i miei anni e la mia esperienza, posso permettermi di guardare le cose del mondo un po’ dall’alto. Così mi diverto ad osservare la realtà non con cinismo ( non potrei mai essere cinica) ma con consapevolezza e vi assicuro che è uno spasso.

Tutti voi ricorderete che ancora poco tempo fa non si poteva fare a meno di essere moderni. Bisognava adattarsi alla modernità dei tempi; qualsiasi cosa, dalla carta igienica (con rispetto parlando) all’idea politica doveva essere moderna. La modernità non era più una conquista, frutto di un lento processo di trasformazione, ma qualcosa che scendeva dal cielo, come lo Spirito Santo o la Grazia divina: ce l’avevi o non ce l’avevi. Attualmente viene rivalutata la tradizione, la ricerca delle radici; la modernità tace, in attesa di tornare più smagliante che mai. Ci sono dei miei parenti, che tutti noi trattavamo con un po’ di sufficienza, che hanno fatto fortuna in questo ultimo decennio: era gente molto tradizionale, di quella che non puoi togliere dalle sue abitudini, che si fa ancora il pane in casa perché nessun altro lo fa così buono. Beh, il loro negozietto che rischiava di cadere a pezzi è diventato un’azienda con spedizioni in tutto il mondo. Non vi dico il successo che hanno avuto le ricette della nonna, che poi in fondo era anche la mia. Io finora mi sono salvata perché mi sono sempre tenuta un po’ al margine, come per una specie di aristocratico buon senso. Anche nei periodi più bui sono sempre stata certa che un giorno, all’improvviso, come portati da misteriose maree, chi al momento mi evitava, la gente comune e i potenti, sarebbero tornati a cercarmi, a farmi la corte. Mi avrebbero di nuovo circuito con mille moine, non potendo fare a meno della mia vitalità. Mi sembra di sentirli: come abbiamo potuto dimenticarci di lei, ma che bell’aspetto che ha, la colpa è dei mass-media, il nostro tempo ha la memoria corta e via di scusa in scusa. In realtà la memoria corta è la loro, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo. In poco tempo allora rischiate di dovere essere presente a tutti gli incontri, a tutti i dibattiti, usata senza scrupoli dagli opinionisti. Nessuno sembra potere fare a meno di voi. Sfruttandovi malamente (e voi ne siete consapevoli) tutti vogliono avere a che fare con voi.

Pazienza! In questi casi si dimostrano i veri signori, quelli destinati a durare nel tempo. Nel momento in cui sono all’apice della mia gloria,  me ne sto quieta ed assaporo quel trionfo, accumulando onore e credito per i tempi oscuri. Sovente lascio andare avanti dei colleghi giovani, che si devono ancora mettere in luce. So che, al momento giusto, me ne saranno riconoscenti e ricambieranno il favore. Io mi porto addosso delle caratteristiche non facili da durare. Sono, per mia stessa natura, effimera, so di non potere resistere per molto. Alcuni mi hanno affibbiato l’aggettivo “permanente”, ma è stata un’impresa talmente ardua che ci hanno rinunciato quasi subito.

Mi piace il suono del mio nome: Rivoluzione.

Mi sembra che riproduca il senso stesso della vita, che cambia in continuazione proprio per potere durare, che trova energia da correnti segrete che sempre la alimentano e che ogni tanto vengono alla luce. Ormai, con questa globalizzazione che oggi va per la maggiore, ho capito una cosa: che non posso stare in un solo paese e che devo sforzarmi di viaggiare il più possibile, di essere meno provinciale. Ho abbandonato anche un certo modo di parlare troppo solenne e retorico e ho adottato un linguaggio preciso, puntuale, mai sciatto però, che sia comprensibile a tutti. Per liberarmi un po’’da una certa rigidezza (vi ho detto prima della mia educazione da monaca), alcuni anni fa ho avuto un periodo in cui mi ero messa anch’io a dire parolacce, come i miei giovani amici studenti. Mi sono presto corretta: l’insulto, se troppo usato, perde vigore. Però mi sono divertita molto e ho arricchito il mio vocabolario. Attualmente sto imparando le lingue, anche quelle meno conosciute, perché non si sa mai. Sono in comunicazione, attraverso Internet, con tanti amici, un p0’ in tutto il mondo e insieme ricordiamo i vecchi tempi e pensiamo al futuro.

Mi rileggo sovente le lettere di chi mi ha amato e vi assicuro che anche alla mia età quasi sempre finisco per versare qualche lacrima. Ancora oggi, così disincantata e razionale come sono, le loro parole, lucide di intelligenza e vibranti di passione (ma si potrebbe anche dire il contrario, tanto sono un unico grumo di vita), mi fanno rabbrividire, per la forza del loro odio e del loro amore. Gli amanti dell’Ottocento sono quelli che ho preferito: ardenti per la giovinetta che ero io, in giro seminuda, malamente coperta da bandiere che facevano entrare spifferi da tutte le parti, loro apparentemente così seri, con baffi e barba, che facevano un solletico irresistibile.

Ci siamo fatti certe sghignazzate insieme, soprattutto con Karl e Friederich, e quando loro due erano di buon umore piangevamo fino alle lacrime per il gran ridere. E poi c’è chi dice che i tedeschi sono freddi e poco comunicativi: non sono mai stata così bene, sotto tutti i punti di vista. Quelli che sono venuti dopo mi hanno dato delle grandi soddisfazioni materiali, ma erano troppo lucidi e calcolatori per i miei gusti, e poi una bella risata al momento giusto fa bene alla salute e disorienta i nemici. Su questo punto non siamo mai riusciti ad andare d’accordo e credo che proprio da lì siano venuti fuori i guai che tutti conosciamo.

Ma basta ora con i ricordi, perché si rischia di dimenticare il futuro ed io invece devo andare avanti. Come dice un mio grande amore con gli occhi splendenti e il viso ridente e pensoso: fino alla vittoria sempre. Alla prossima, cari compagni!

 

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2 risposte a 18 dicembre 2012 ore 05:44 Un racconto “con sorpresa” di DONATELLA D’IMPORZANO

  1. nemo scrive:

    Un bel racconto che ‘intreccia’ con sentimento autobiografia e sogno. Complimenti, Donatella !

  2. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Beh, mi piace ancora leggerla, buon segno. Grazie a Chiara per la pubblicazione e a Nemo per il commento. Vi sono davvero grata.

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