FRANCO MONTEVERDE, GENOVA ::: ” A 40 anni dalla morte del sindacalista- La verità sul delitto Rossa e la caccia all’ultimo latitante “Sono certo, lo prenderemo”. “

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guido rossa con la sua bimba

 

Il corpo di Guido Rossa ucciso

Donatella Alfonso, Massimo Razzi
Uccidete Guido Rossa
Vita e morte dell’uomo che si oppose alle Br e cambiò il futuro dell’Italia
Guido Rossa, operaio e sindacalista all’Italsider di Genova Cornigliano, iscritto al Pci, viene assassinato il mattino del 24 gennaio 1979, mentre sta entrando in auto per recarsi a lavoro. Secondo la colonna genovese delle Brigate Rosse, la sua colpa è stata di aver denunciato, tre mesi prima della sua morte, un compagno di lavoro scoperto a diffondere in fabbrica volantini brigatisti. Da quel momento cominciano la solitudine di Guido e i troppi misteri. Era stato deciso solo un ferimento, ma un uomo del commando è tornato indietro per sparare i due colpi mortali: qualcuno nei vertici delle Br gli ha dato via libera? Nonostante le pesanti condanne, Lorenzo Carpi, l’autista del gruppo, non è mai stato arrestato né rintracciato. Dov’è fuggito? E, soprattutto, è stato aiutato? Da chi?
Nel movimento operaio genovese – e non solo – quella morte è uno spartiacque che segna il punto di rottura con il percorso delle Br: si rompe la zona grigia tra gli operai e l’area “silenziosa” che è finora rimasta a guardare gli attacchi ai simboli dell’industria e della politica, Aldo Moro incluso.

 

Donatella Alfonso

Giornalista, ha lavorato per «Il Lavoro» e «la Repubblica». Tra i suoi libri: Animali di periferia. Le origini del terrorismo tra golpe e resistenza tradita (Castelvecchi, 2012); Fischia il vento. Felice Cascione e il canto dei ribelli (Castelvecchi, 2014); Un’imprevedibile situazione. Arte, vino, ribellione: nasce il Situazionismo (2017); con Nerella Sommariva, La ragazza nella foto. Un amore partigiano (2017). Premio “Memoria e Verità – Franco Giustolisi” 2017.

Massimo Razzi

Giornalista, ha lavorato a «l’Unità», «Corriere Mercantile», «Il Lavoro», «la Repubblica »; è stato tra i costruttori del sito di Repubblica.it e di RE Le Inchieste. Dal 2012 al 2016 è stato direttore di Kataweb. Attualmente è responsabile dell’area web dell’agenzia di stampa «LaPresse». Ha scritto Il re delle «bionde» (1997). Autore e cosceneggiatore della serie televisiva Il Capitano (Rai 2, 2005).

 

 

REPUBBLICA DEL 23 GENNAIO 2019–pag. 20

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Genova

A 40 anni dalla morte del sindacalista

La verità sul delitto Rossa e la caccia all’ultimo latitante “Sono certo, lo prenderemo”

FRANCO MONTEVERDE,

 

GENOVA

 

Non doveva morire, Guido Rossa, la mattina del 24 gennaio 1979. La colonna genovese delle Brigate Rosse aveva deciso che l’operaio sindacalista per la sua “colpa” — aveva denunciato tre mesi prima un compagno di lavoro scoperto mentre diffondeva in fabbrica, l’Italsider di Genova Cornigliano, volantini brigatisti — dovesse essere punito con il triste rito della gambizzazione.

Ma Guido Rossa, ferito come da copione dal brigatista Vincenzo Guagliardo mentre stava entrando nella sua Fiat 850 rossa per recarsi al lavoro, venne poi ucciso da un altro componente del commando, Riccardo Dura, che tornò sui suoi passi e sparò i due colpi mortali.

Dura, nome di battaglia “Roberto”, perderà a sua volta la vita poco più di un anno dopo, durante il blitz dei carabinieri di Carlo Alberto dalla Chiesa nel covo di via Fracchia. Un centinaio di metri separano il portone della casa al pianterreno di via Fracchia da quello del palazzo di via Ischia da cui la mattina di quarant’anni fa uscì Guido Rossa, ignaro di stare andando incontro al proprio destino. E quei cento metri custodiscono ancora il mistero di un delitto assurdo e inutile, che si rivelerà letale per la sorte delle Brigate Rosse. Un mistero che potrebbe chiarire il terzo componente del commando, Lorenzo Carpi, l’autista del gruppo di fuoco, di cui però si sono perse le tracce da quarant’anni.

Studente in medicina, giocatore di pallanuoto, Carpi aveva ingannato tutti. Nessuno dei suoi conoscenti aveva mai pensato di frequentare il brigatista “Elio”. Ed è significativo che, quarant’anni dopo, continuino a pensare a lui due suoi compagni di scuola del liceo D’Oria, perché è rimasto vivo in città solo il ricordo del Lorenzo Carpi adolescente. Uno di questi compagni di scuola è Massimo Razzi, che con Donatella Alfonso, entrambi giornalisti di lungo corso di Repubblica, ha scritto il libro Uccidete Guido Rossa (Castelvecchi editore) in libreria in questi giorni.

Fu proprio Razzi, all’epoca funzionario del Pci e segretario della Sezione universitaria intitolata a Lenin, a raccogliere la confidenza di un compagno, una sera di marzo del 1979: «Il compagno G.P. — scrive Razzi — mi disse quasi vergognandosi: “Credo che Lorenzo Carpi abbia cercato di reclutarmi per le Brigate Rosse…”. Feci un salto sulla sedia. Lorenzo era un amico, un compagno di classe, uno con cui studiavo tutti i giorni durante i durissimi anni del liceo D’Oria».

Non poteva immaginare neppure lontanamente che quel ragazzo educato, quasi dimesso, che nella tasca del cagnaro verde d’ordinanza invece de l’Unità o del Manifesto teneva una copia del Corriere della Sera facesse parte delle Br.

E analogo stupore provò l’altro compagno di scuola di Carpi che ancora pensa a lui. E intensamente, per motivi professionali. È Francesco Cozzi, il procuratore capo di Genova, balzato alla ribalta delle cronache per l’inchiesta sul crollo del ponte Morandi.

«Di certo la affiliazione alle Br di Carpi non fu una scelta ideologica. Era un ragazzo modesto, dal carattere insignificante. Credo che aderì al partito armato spinto dal desiderio di riscattare una vita mediocre. Come certi lupi solitari del terrorismo islamico». Continuate a cercarlo? Dopo il caso di Cesare Battisti si è acceso un faro non solo mediatico sulla sorte dei terroristi in fuga.

«Continuiamo a cercare lui come tutti i latitanti. Certi delitti, come i crimini di guerra dei nazisti, non hanno prescrizione né giuridica né morale».

Ma c’è qualcosa di nuovo sul fronte delle indagini nei suoi confronti?

«Non posso dire nulla di preciso al riguardo. Solo una cosa: dovunque si trovi in questo momento se fossi in lui non dormirei sonni tranquilli. Ero in magistratura da 8 mesi quando partecipai ai funerali di Guido Rossa, quella mattina di pioggia. Da allora la figura davvero eroica di quell’operaio vittima delle Br ha ispirato il mio lavoro di magistrato. Sarebbe giusto che Carpi pagasse».

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