10 MARZO 2014 ORE 06:48 “FINALMENTE MI SONO LIBERATO DI QUELLA CARTACCIA—INTERVISTA A RACHID OUALA

Il Principe Del Deserto

rachid Ouala

Il Principe Del Deserto

 

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Biografia:

Rachid Ouala è un pittore e scrittore marocchino nato il 2 settembre del 1981 a Settat in Marocco, da una famiglia musulmana  sunnita di origine Berbere del sud di Marrakech.
All’età di 12 anni fece la sua prima mostra e partecipò a vari concorsi di pittura mostrando grandi doti conquistando il primo posto nella propria città. Rachid soprannominato “il piccolo pittore”, fù premiato nei vari concorsi del paese coltivando il sogno di diventare un pittore, ma Rachid sapeva già prima che da un momento all’altro doveva abbandonare tutto per immigrare insieme alla famiglia in europa, a quei tempi il sogno del padre era quello di regalare un futuro migliore ai propri figli, con il sacrificio
di lasciare una piccola attività snack bar per trasferirsi in una nuova realtà.
Cosi nell’ottobre del 1993 si trasferì in Italia a Bologna, non fù facile all’inizio non si era ambientato del tutto, sentì la nostalgia della propria terra, e scrisse varie pensieri e poesie.
Nell’aprile del 1999, quando Rachid si preparava per l’esame di maturità mori il padre Brik, e lascio un grande vuoto, cosi dovette lasciare la scuola per aiutare la famiglia in difficoltà, furono i momenti più difficili della sua vita, si trovò in una realtà inaspettata, il mondo del lavoro gli diede possibilità di crescere professionalmente, cosi realizzò il sogno di viaggiare in varie città d’europa. Nel 2012 per motivi di lavoro decise di trascorrere una breve permanenza a Londra per poi ritornare in Italia.


 

ARCI – BOLOGNA —UN’INTERVISTA A RACHID OUALA


 

http://www.arcibologna.it/finalmente_mi_sono_liberato_di_quella_cartaccia_chiamata_permesso_di_soggiorno.html

 

 

febbraio 2012

“Finalmente mi sono liberato di quella cartaccia chiamata permesso di soggiorno”

"Finalmente mi sono liberato di quella cartaccia chiamata permesso di soggiorno"

Mi chiamo Rachid Ouala, sono nato nel 1981 e mi sono sempre sentito uno straniero in un mondo straniero. Nel 1993, all’età di 12 anni, la mia vita è cambiata totalmente: il mio mondo, quello reale in cui ero nato e cresciuto, fatto di amici, parenti, scuola, casa, territorio, è finito. Sono venuto in Italia, anzi mi hanno portato in Italia, non sono stato io a scegliere, e mi sono trovato in un altro mondo, dove si parlava in modo strano e sconosciuto. Mai avevo immaginato di dover lasciare tutto e ho capito presto che non era un gioco, dovevo fare uno sforzo per accettare la nuova realtà, capire dove ero capitato e soprattutto imparare la lingua.

Non era facile, anzi era molto, molto difficile. Mi ricordo bene il primo giorno che sono entrato a scuola, non lo scorderò mai: è stato bello, ma tanto strano. Non potevo parlare, dire nulla, solo guardare, fissare coi miei occhi stranieri il nuovo mondo, che non capivo. Ma siamo stati accolti bene, mio fratello ed io, quel giorno e quelli dopo. Eravamo i primi cittadini stranieri a Molinella e mi restava solo la mia famiglia; persi tutti i miei amici, era mio fratello a trasformarsi nel mio unico amico e solo in casa potevo parlare ed essere capito. A 12 anni, se non sai parlare coi compagni, hai molto imbarazzo, temi di fare una figuraccia dicendo qualcosa di sbagliato, allora stai zitto e fai finta di capire. A poco a poco però mi sono abituato al suono dell’italiano e, grazie a chi me lo ha insegnato ed ai cartoni animati, ho preso coraggio e ho cominciato a parlare.

Hai detto di avere provato molto imbarazzo, ricordi al riguardo qualcosa di particolare?
Oh, sì! La cosa in assoluto più imbarazzante è stata quando, a pochi giorni dal nostro arrivo, mia madre voleva fare in casa il nostro pane marocchino e mi ha mandato a comprare il lievito. Lei non sapeva come si diceva in italiano, io non lo sapevo, mio fratello neppure e mio padre era a lavoro. Sono andato tremante dal fornaio vicino a casa e ho cominciato a gesticolare: nessuno mi capiva né il fornaio né i clienti, che mi parlavano, parlavano, mentre la mia vergogna cresceva. Dopo molti gesti ed indice puntato sul pane, rosso e sudato sono uscito col lievito. A casa mi sono sfogato, mamma ha cominciato a ridere e ancora ne ridiamo.

Poi il tempo è passato. Hai avuto da ragazzino amici italiani?
All’inizio è stato molto difficile perché a 12 anni non vuoi parlare coi gesti, vorresti rispondere ad una battuta, ma neppure la capisci, allora ti metti in un angolo, ti senti solo anche se sorridi, ti senti un ospite. Alcuni compagni mi chiamavano anche a casa loro o a mangiare la pizza, ma poi mi facevano domande del tipo: “Ma voi in Marocco le avete le macchine?” E’ vero che ancora oggi incontri per strada somari, ma le macchine le avevamo anche noi. Oppure “Quanto fa 2+2 ?” E quando rispondevo: “ Ah! anche gli arabi sanno la matematica!” Sono domande che ti fanno svegliare, cominci a riflettere su come ti vedono i bambini dell’occidente: ignorante e su un cammello. Poi siamo andati a giocare a calcio in una squadra e abbiamo capito che anche il calcio era qualcosa di diverso: in Marocco giocavamo per strada, ognuno cercava di migliorare la sua tecnica e si esibiva davanti agli amici, giocando per se stesso e divertendosi da solo. Qui il gioco non era individuale, ma di gruppo, c’erano un allenatore e delle regole. Abbiamo  scoperto un altro calcio, che ci ha però aiutato tanto ad integrarci. Guai infatti a stare chiusi in casa, i primi tempi sono difficili, poi le cose cambiano, anche dentro di te.

Terminata la scuola media, sei andato alle superiori?
Sì, alle medie sono stato sempre promosso, poi sono andato alle superiori. Dopo i primi tre anni però è successa la disgrazia familiare: la morte del mio papà nell’aprile del 1999. Lì la mia vita è cambiata nuovamente e totalmente. Avevo un padre che con tanti sacrifici manteneva la famiglia e mi sono trovato a 17 anni a non poter più studiare perché non c’era più la figura più importante della famiglia.
Mi sono rimboccato le maniche come qualsiasi persona che abbia un po’ di umiltà e di orgoglio e sono andato a lavorare. Ho cominciato coi lavori più umili, sono andato per alcuni mesi in campagna giusto per tirare avanti, poi ho trovato un’ azienda, in cui mi sono inserito bene. Ho dimostrato la mia serietà, la mia voglia di lavorare, ero molto motivato per quello che mi era successo e mi hanno assunto a tempo indeterminato. Ho dovuto affrontare la realtà nel modo in cui l’aveva vissuta mio padre; il mio obiettivo era diventato quello di ogni immigrato: lavorare, lavorare, lavorare. In fondo questo era il motivo per cui anch’io ero stato portato in Italia: avere da grande un lavoro. Io dunque lavoravo, mio fratello continuava a studiare, mia madre faceva la casalinga, mio fratellino di 2 anni e mezzo giocava.

Tuo fratellino di 2 anni e mezzo è nato in Italia? Quanti anni ha ora?
Ha 15 anni, è nato in Italia, ma non è italiano e la cosa ci lascia davvero perplessi. Nascere non è un verbo qualunque, non è una parola buttata lì, se nasci in un paese e ci vivi vuol dire che quello è il tuo paese, qualsiasi origine tu abbia. Se lui va in un altro paese e gli chiedono dove è nato e lui risponde: “Sono nato in Italia”. “Allora sei italiano?”. In automatico dovrebbe poter rispondere di sì, invece deve dire che purtroppo non lo è ancora. E’ una faccenda che complica la vita. La burocrazia italiana uccide il tempo, non gli dà valore, non è mai stata d’aiuto agli immigrati. L’immigrato adulto è considerato uno straniero e lo è anche suo figlio, nato in Italia. Come si può dire ad un ragazzino di diciassette anni nato qui: “Guarda che non sei ancor italiano, perché le tue origini sono quelle che sono, devi arrivare alla maggiore età e chiederla la cittadinanza”. Perché noi italiani non vogliamo che si senta italiano? E’ una discriminazione inaccettabile.

Hai detto “noi italiani”?
Sì. Io sono diventato cittadino italiano da pochi mesi, esattamente il 28 ottobre 2011. Dal 1993 al 2011, diciotto anni per riuscirci. Mi ci è voluto parecchio tempo per fare i documenti necessari in Marocco, dove non vado tutti gli anni; poi 4 anni e mezzo fa li ho presentati in Italia e – assurdo – mi ritengo fortunato per avere già avuto la risposta. Mio fratello, che ha presentato la pratica con me, non ha ancora avuto la cittadinanza. La burocrazia è questa e fino ad ora non si è fatto nulla se non accettarla. Se non c’è un cambiamento forte, voluto da parte degli Italiani come me, resta una vera ingiustizia.

Dopo che hai presentato i documenti, ti hanno chiamato per un colloquio?
Sì, mi sono presentato in Prefettura con la raccomandata di convocazione. Mi hanno fatto domande sulle feste civili italiane, quali il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno, e poi tante altre, tra cui “Cos’è l’Italia?”, ed ho risposto che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, anche se oggi di lavoro non ce n’è. Inoltre mi hanno chiesto la formazione della nazionale. In quel periodo c’era la Coppa del mondo, ed io ho risposto che potevo elencare anche la panchina. Colloquio all’inizio del 2007, cittadinanza alla fine del 2011.

Qual è la prima cosa che hai pensato di fare da cittadino italiano?
Il primo pensiero è stato: “Sono libero, posso andare dove voglio”. Ora mi sento come un gabbiano che può volare ovunque, anch’io posso andare, finalmente mi sono liberato di quella cartaccia chiamata permesso di soggiorno. Questa è la prima liberazione. Poi h ho pensato che devo cambiare il mio modo di parlare, nel senso che non c’è più un voi italiani ed un io straniero. Io sono un italiano, non mi si può più direi di tornarmene al mio paese. Il passaporto mi apre molte porte, mi dà la possibilità di andare ovunque, perfino di cambiare paese.

Insomma libertà di movimento.
Libertà di movimento, sì. Col permesso di soggiorno ti senti affogare come un pesce fuor d’acqua, è un ostacolo che hai sempre davanti e non sai mai se lo supererai, perché se perdi il lavoro anche dopo 20 anni e hai la sfortuna di dover rinnovare il permesso di soggiorno, rischi di essere mandato nel tuo paese, che non è più tuo come lo era un tempo. Inoltre senti che il tuo lavoro, tutti i tuoi contributi sono inutili, è come versare acqua nella sabbia, si dice in Marocco.

Sai che potrai firmare anche tu le proposte di legge de L’Italia sono anch’io?
Lo so e firmare è il minimo che possa fare perché nel volto degli immigrati, proprio nei loro volti, si vede la voglia di essere liberi dalla cartaccia. In qualunque discorso, qualunque discussione tra immigrati c’è sempre di mezzo il permesso di soggiorno: ad uno sta per scadere, all’altro è scaduto, l’altro ancora è in attesa che lo chiamino… tutto è subordinato a quello. Accorciare, anzi dimezzare, gli anni per chieder la cittadinanza è un gran bel passo, un passo da gigante. La vedo dura, ma voglio essere ottimista.

Cosa dovremmo cambiare ancora, tutti insieme in Italia?
Dobbiamo fare lo sforzo di spegnere la TV per vedere meglio la realtà. La persona intelligente è quella che affronta gli altri, dopo però aver affrontato se stessa, quella che cancella i pregiudizi solo guardando quello che lo attornia abbandonando l’immagine che la TV dà dell’immigrato. Io penso che non esistono i nemici, esiste solo la paura dei pensieri che governano i corpi altrui. Questa, sai, è una delle riflessioni che vado scrivendo da un po’ di tempo e che mi piacerebbe condividere. Un’altra cosa da cambiare sono i soldi che vengono chiesti agli immigrati per ogni pratica, a volte ho il sospetto che ci sia un calcolo preciso dietro alcune decisioni, come gli ultimi flussi, che hanno portato a 500.000 domande a fronte di 90.000 posti con un bollo individuale di 14,65 euro. Ora poi tutto è bloccato, pochissime le chiamate, i soldi però non vengono restituiti. Anche per la domanda di cittadinanza, grazie alla Bossi-Fini  che causa tanti guai, si pagano 200 euro.
Io da italiano ho spento la TV. Mi informo, parlando con le persone e usando internet. Cerco di conoscere anche i problemi locali e non vedo l’ora di votare, perché anche il diritto di voto è importante, fa sentire una persona non messa da parte e considerata, le dà più sicurezza e fiducia in se stessa perchè smette di sentirsi sempre inferiore. Credo davvero che dopo 5 anni un immigrato possa poter votare e aver voglia di discutere di politica al lavoro ed al bar.

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1 risposta a 10 MARZO 2014 ORE 06:48 “FINALMENTE MI SONO LIBERATO DI QUELLA CARTACCIA—INTERVISTA A RACHID OUALA

  1. Donatella D'Imporzano scrive:

    La politica dell’Italia nei confronti degli immigrati è semplicemente disgustosa. Mi pare che nessun politico ne parli, anzi si è abolito il Ministero della Kienge, che qualcosa tentava di fare. Governanti, o meglio, sgovernanti miopi, che dovrebbero vedere nell’immigrazione una risorsa. Invece si sta zitti, così non si arrabbiano la Lega e Berlusconi.

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