ore 22:28 Leggete con grande attenzione questo articolo di FRANCESCO BOTTACCIOLI PRESIDENTE PNEI // E’ il caso di dire: ne vale la vita! In seconda battuta (un must!) pare SIA LA PRIMA VOLTA CHE SI APRE UNO SPIRAGLIO TRA IL FISICO E IL MENTALE—O MEGLIO, COME DICE L’AUTORE (SOTTOL.) : E’ UN DOCUMENTO DI NOTEVOLE RILIEVO £ PER IL FATTO CHE FINO AD ORA NON ERA STATA RICONOSCIUTA DALL’ESTABLISHMENT CARDIOLOGICO INTERNAZIONALE, CON CONSEGUENTE SOTTOVALUTAZIONE DELLA DIMENSIONE PSICHICA DELLA MALATTIA E DEL SUO DECORSO”

grazie a <Pier Luigi  che lo ha postato!

 

Salute
Appare oggi sulla rivista Circulation
il documento dell’American Heart Association che ha revisionato gli studi sulla genesi delle patologie cardiache.
Un fattore determinante sia nell’infarto che nell’angina instabile
Storica presa di posizione che riguarda la
dimensione psichica della malattia
L’umore mette a rischio il cuore (come fumo, colesterolo, pressione)
FRANCESCO BOTTACCIOLI *
Il numero odierno di Circulation, la rivista dell’Associazione cardiologica americana, pubblica un ampio documento di un Comitato di scienziati e clinici, incaricato dall’Associazione (Aha, American Heart Association) di rispondere al quesito se la depressione, che si instaura dopo un infarto, possa essere un fattore di rischio di prima grandezza come il colesterolo, il diabete, il fumo, l’obesità.
Il documento, dopo aver passato al setaccio tutta la più significativa letteratura scientifica disponibile, conclude in modo inequivocabile invitando l’American Heart Association «ad elevare la depressione allo stato di fattore di rischio per (accertate) conseguenze mediche avverse in pazienti con Sindrome coronarica acuta». Per sindrome coronarica acuta occorre intendere sia l’infarto del miocardio sia l’angina instabile. Le conseguenze avverse sono state valutate in termini dimortalità: la depressione incrementa la mortalità generale e la mortalità per eventi cardiaci di questi pazienti di più di 2 volte.
Gli studi di alta qualità passati in rassegna sono stati 55, a cui si sono aggiunte 4 meta-analisi. Nonostante un certo inevitabile grado di disomogeneità presente nei numerosi studi presi in esame, l’evidenza è “preponderante”, scrivono i ricercatori, che, nelle raccomandazioni finali, invitano l’Aha ad estendere la ricerca sulladepressione come fattore di rischio non solo dopo un infarto, ma anche nella genesi delle malattie cardiache su base aterosclerotica. Inoltre – conclude il documento – è importante capire il ruolo dell’ansia e quale sia il trattamento migliore della depressione in contesto cardiologico.
Si tratta di un documento di notevole rilievo, non tanto per la messa in evidenza della relazione tra depressione e peggioramento della prognosi dell’infartuato,che era nota da tempo, ma per il fatto che fino ad ora non era stata riconosciuta dall’establishment cardiologico internazionale, con conseguente sottovalutazione della dimensione psichica della malattia e del suo decorso. Fino ad ora, il cardiologo, che si atteneva alle linee guida ufficiali, doveva tenere d’occhio altri fattori di rischio, tra cui in primis il livello del colesterolo, il fumo, il diabete, l’obesità, la pressione arteriosa. Adesso dovrà badare anche all’u-more del suo paziente, che non è un dettaglio, ma un primario fattore di rischio al pari degli altri.
Eppure gli studi sulle relazioni tra depressione, fattori psicosociali in genere e cardiopatie c’erano da diversi anni, evidenziati in modo ampio nel 1999 proprio su
Circulation da A. Rozanski, JA Blumenthal e JA Kaplan del Dipartimento di cardiologia della Columbia University. Poi nel 2004 un ampio studio su Lancet,denominato Interheart, che hapreso in esame oltre 15.000 casi di infarto acuto, paragonati ad altrettanti controlli in 52 nazioni distribuite in tutti i continenti, ha stabilito che lo stress (domestico, lavorativo, finanziario), nell’anno precedente l’infarto, era al terzo posto come peso di fattore di rischio, subito dopo l’eccesso di colesterolo e il fumo e prima del diabete.
L’inclusione della gestione dello stress nella prevenzione cardiologica dovrebbe essere quindi il prossimo passaggio. Ma c’è ancora chi solleva dubbi, mettendo avanti gli scarsi risultati ottenuti trattando la depressione nel post-infarto. È certo vero che, nei pochi studi fatti, i risultati sono scarsi, ma il dato non inficia il legame tra depressione e cardiopatie, bensì mette in discussione la qualità della cura della depressione e la sua peculiarità in persone che hanno avuto un evento cardiaco acuto.
* Presidente on. Società It. Psiconeuroendocrinoimmunologia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
INFOGRAFICA PAULA SIMONETTI
Postato 25th March da 

 

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