22:06 DA LIMES (gruppo Espresso), DIRETTO DA LUCIO CARACCIOLO : ” IL VENERDI’ JIHADISTA, DAL MALI ALLO STATO “—credo che solo mg, se ci vedesse, potrebbe spiegarci qualcosa!

 

 

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allo-stato-islamico/88072

 

 

 

Il venerdì jihadista, dal Mali allo Stato Islamico

Carta di Laura Canali 

[Carta di Laura Canali]

20/11/2015

La rassegna geopolitica di Limes, oggi dedicata all’attacco a Bamako, alla guerra del terrore e alle novità dall’Ucraina.

La crisi degli ostaggi di Bamako
L’assalto all’hotel Radisson della capitale del Mali, che dovrebbe essere stato condotto da un commando jihadista, ha fatto almeno 27 morti. Gli ostaggi sono stati liberati.

Un episodio simile era nell’aria, come ci scrive Edoardo Baldaro:

Attaccare l’Hotel Radisson significa lanciare un duplice messaggio. Primo, destabilizzare il governo, che fonda buona parte della sua legittimità sull’appoggio estero. Secondo, spaventare gli attori internazionali che sostengono gli accordi di Algeri, probabilmente la posta in gioco nascosta dietro questi attacchi.

Siglati a giugno scorso dal governo in carica e dai rappresentanti di molti gruppi – ma non tutti – che hanno partecipato alla rivolta del Nord del 2012, secondo molti osservatori gli accordi di Algeri sono un compromesso debole che non risolve i problemi di fondo del paese e anzi genera ulteriore malcontento fra le parti coinvolte.

Un grande attacco a Bamako era solo una questione di tempo. Il disfacimento dello Stato maliano è per alcuni aspetti più avanzato oggi che nel 2012-2013, così come il malcontento popolare. Un contesto perfetto per l’azione di tutti quei gruppi islamisti, criminali o etnici – spesso le etichette servono solo a legittimare e ammantare ideologicamente gruppi la cui agenda è dettata da interessi puramente politico-economici di tipo locale – che stanno sfidando lo Stato maliano.

L’assalto potrebbe essere la risposta di al-Qa’ida agli attentati di Parigi, aggiunge Luciano Pollichieni:

Se dietro l’attacco ci fosse Ansar al-Din (Ansar Dine), l’episodio di Bamako potrebbe essere letto all’interno della guerra per il dominio sul jihad globale tra al-Qa’ida (con cui Ansar Dine coltiva ottimi rapporti da lungo tempo) e lo Stato Islamico.

Ansar Dine è guidato da Iyad Ag Ghali, storico leader dell’indipendentismo tuareg in Mali,la cui ombra pesa sui negoziati tra Bamako e i ribelli tuareg. Nessuno osa toccarlo perchépotrebbe aiutare l’Algeria a recuperare i 36 diplomatici rapiti durante la guerra civile e ancora tenuti sotto sequestro da qualche parte nel Sahara. I servizi segreti francesi sostengono che il capo di Ansar Dine si nasconderebbe proprio in Algeria.

Nonostante le notizie ancora confuse da Bamako, emerge una certezza: il re è nudo. Mentre il presidente Keita gira il mondo lanciando messaggi rassicuranti sullo stato della sicurezza nel suo paese (ha partecipato anche alla marcia contro il terrorismo dopo l’assalto a Charlie Hebdo), nel Nord vige l’anarchia. La magistratura non è molto solerte nel perseguire i jihadisti, visto che sulla testa dello stesso Ag Ghali ancora non pende nessuna accusa. Alcuni di questi si sono persino fatti eleggere all’assemblea nazionale.

L’offensiva francese è riuscita, almeno formalmente, a riconquistare il nord del Mali, ma il potere jihadista continua a crescere tra i traffici e la dilagante corruzione (quest’ultimasempre più radicata a Bamako). La battaglia al terrorismo – se mai è cominciata – è ancora lontana dalla vittoria.

Per approfondire:

Il Mali al centro dei traffici, una carta di L. Canali
Viaggio nel Mali del Nord, dove si rimpiange il welfare jihadista, di A. De Georgio
Nelle regioni settentrionali dell’ex colonia francese, toccate dall’Operazione Serval, molti sostengono che ‘si stava meglio quando si stava peggio’. Gli islamisti cacciati da Gao e Timbuctu tornano a uccidere e a trafficare nel deserto.
Dio e denaro: in Mali il jihad si è fatto pratico, di L. Raineri
Dopo aver sbaragliato i tuareg e combattuto contro Bamako, gli islamisti maliani si sono riconvertiti all’unico vero business della regione: il contrabbando. Le rotte dei traffici. Le complicità politico-istituzionali. Nel Sahel le frontiere non convengono a nessuno.


Il fronte europeo della lotta allo Stato Islamico
Il parlamento francese ha approvato l’estensione dello stato di emergenza a 3 mesi, sollevando alcune proteste. Il premier Valls non esclulde che i terroristi cerchino di sferrare un attacco con armi chimiche. Hollande rifiuta la pericolosa equazione migranti-terroristi e conferma che la Francia accoglierà la sua quota di rifugiati (30 mila persone).

In Belgio proseguono i raid contro gli elementi legati a Bilal Hadfi, uno dei tre attentatori suicidi fattisi esplodere fuori dallo Stade de France. Il premier belga Michel ha promesso di aumentare di 400 milioni di euro la spesa nella sicurezza e di introdurre misure sull’estensione delle detenzioni preventive a 72 ore, sul controllo della vendita di carte sim, sull’espulsione dal paese di chi incita all’odio e sui raid notturni, al momento banditi tra le 9 di sera e le 5 di mattina. Nessuna menzione sulla condivisione dell’intelligence con le autorità di polizia europee, cruciale se è vero che da tempo Hadfi, come altri attentatori di Parigi, era nel radar delle autorità belghe.

Cinque paesi dell’Ue – Germania, Austria, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo – stanno discutendo se creare una mini-Schengen. La proposta olandese è al momento solo uno spunto di riflessione. L’idea di serrare i ranghi tra questi paesi ricorda il progetto del Neuro, l’euro del Nord che però sarebbe esteso anche alle economie scandinave.

Per approfondire:
La trappola dello Stato Islamico sui migranti, di M. Toaldo
Fermare l’immigrazione musulmana verso l’Europa: con metodi e motivi diversi, su questo tema i jihadisti di al-Baghdadi hanno lo stesso obiettivo degli xenofobi europei.
Scacco al terrore in quattro mosse, di L. Caracciolo
Nella battaglia contro i jihadisti, il nostro destino non dipende dallo Stato Islamico ma da noi. Se non cadremo nella trappola della “guerra santa” ma capiremo chi sono e che progetti hanno i nostri nemici, potremo prevalere. Con alcuni caveat.


Parigi come Mumbai?
Ci scrive Francesca Marino:

La strage di Parigi, come hanno sottolineato subito in molti, presenta più di un’analogia conl’attacco di Mumbai del 26 novembre 2008.

La scelta di cosiddetti soft target, che è un modo appena meno cruento per descrivere una indiscriminata e apparentemente casuale strage di civili. Apparentemente, perché in realtà la scelta non è lasciata mai al caso. Si tratta sempre di operazioni di tipo militare, ben coordinate e programmate nei minimi dettagli.

Madre, padre e levatrice della innovativa strategia, esportata con successo all’estero e passata ai fratelli jihadisti dello Stato Islamico, è la solita e famigerata Lashkar-i-Toiba: gruppo jihadi nato in Pakistan le cui cellule sono sparse ormai dappertutto, inclusa l’Italia.

Molti sostengono che l’Is abbia soltanto mutuato la strategia vincente della LiT e che il suddetto gruppo rappresenta soltanto fonte di ispirazione e non un concreto pericolo a livello internazionale visto che Hafiz Saeed e i suoi operano soltanto in India. Niente di più falso. Nel manifesto della LiT, pubblicato negli anni Novanta, si parla esplicitamente di jihadglobale e si ipotizza la creazione di un califfato che coincide perfettamente con quello vagheggiato da Daesh.

Non solo: i bravi jihadisti pakistani fin dall’inizio sono stati molto attivi nel passare i confini per addestrare i fratelli combattenti. Ritornando poi in patria per fare nuovi proseliti: in Afghanistan, in India, in Bangladesh e nello stesso Pakistan: checché ne dica Islamabad, che continua a negare strenuamente la presenza dell’Is sul suo territorio ma si rifiuta di mettere fuorilegge Hafiz Saeed (su cui pende una taglia della Cia) e le organizzazioni umanitarie da lui capeggiate, come la Jamaat-u-Dawa (dichiarata dall’Onu organizzazione terroristica).

A confermare la presenza della LiT, accertata dal Portogallo fino ai paesi dell’Est, basta un piccolo particolare che ci riguarda molto da vicino: alcuni dei movimenti di denaro tracciati in relazione all’attacco di Mumbai provenivano da Brescia, Italia.

Per approfondire:
Discreto ed eterodiretto, lo Stato Islamico è arrivato in Bangladesh, di F. Marino
Nella disattenzione generale, i jihadisti di al-Baghdadi stanno conquistando spazio a Dhaka. Il terrorismo arrivato con le scuole islamiche dell’Arabia Saudita sembrava decapitato, ma è stato riportato in vita dall’intelligence del Pakistan.
Il Pakistan è il supermercato dei jihadisti, di F. Marino
Il parlamento ha attribuito all’esercito la giurisdizione esclusiva sul terrorismo. Mentre nel Nord i gruppi islamisti si federano e l’Is guadagna terreno, Islamabad continua a flirtare con i ‘terroristi buoni’.


Lo Stato Islamico su misura: chi e come strumentalizza l’Is?

• Negli Stati Uniti, la Camera dei rappresentanti ha approvato misure per restringere l’afflusso di rifugiati da Siria e Iraq. Nel resto del paese, aumentano gli episodi di islamofobia dopo Parigi.

• Serbia e Macedonia iniziano a negare il transito ai migranti non in fuga da paesi in guerra. Come se fosse facile distinguerli.

• Secondo il premier israeliano Netanyahu, la “rivolta dei coltelli” palestinese è assimilabile al terrorismo che ha colpito Parigi e come tale va trattata.

• L’Is come assicurazione sulla vita. La transizione in Siria non può cominciare finché i terroristi controllano parte del territorio. Parola – chi l’avrebbe mai detto – di Bashar al-Asad.

• Lo Stato Islamico avrebbe un programma di armi chimiche guidato da ex elementi del regime di Saddam Hussein.


Intanto, in Ucraina

Ci scrive Sergio Cantone:

A Kiev si teme che la coperazione militare in Siria tra Mosca e Parigi possa sfociare in un patto franco-russo ampio e profondo da estendersi, con la benevolenza Usa, al resto dell’Ue. Insomma, una serata di violenza parossistica nella capitale francese potrebbe ribaltare la strategia europea di uno dei principali azionisti del processo di Minsk.

La Francia sarà disposta in sede di Consiglio europeo a mantenere la linea di fermezza degli scorsi mesi contro la Russia? Rafale e Sukhoy sganciano bombe su Raqqa in buona coordinazione; Fsb e Dgse si scambiano informazioni sui jihadisti. È dunque realistico pensare che Parigi possa mantenere buone relazioni con Mosca in Siria e allo stesso tempo tenerla sotto schiaffo con le sanzioni per l’Ucraina?

Il presidente ucraino Poroshenko si rende conto di avere ormai uno scarsissimo margine di manovra con gli europei. Gli restano gli Usa, piuttosto riluttanti ad assumere posizioni contundenti. Oltretutto, dopo un paio di mesi di calma, la tensione è tornata lungo la linea del fronte a Donetsk e a Luhansk. Kiev denuncia la morte di almeno dieci soldati ucraini e il nuovo dispiegamento da parte degli insorti pro-russi di artiglieria pesante in barba agli accordi di Minsk 2, in scadenza a fine dicembre.

Si teme che Putin voglia approfittare del quadro internazionale a lui di nuovo favorevole e della situazione interna ucraina, sempre più complicata per l’attuale governo di Kiev.

Il responso delle elezioni locali è infatti stato poco incoraggiante per il blocco Poroshenko e per i filo-occidentali. Nel sud e nell’est del paese, Odessa, Kharkiv, Zaporizha hanno vinto le forze eredi del Partito delle Regioni. A Dnipropetrovsk l’ha spuntata il candidato dell’oligarca Igor Kolomoisky, signore della guerra anti-russo, ma nemico di Poroshenko.

Il tutto in una situazione socio-economica disastrosa per la maggioranza degli ucraini, con pensioni e stipendi divorati dall’inflazione, disoccupazione alta e tariffe dei servizi essenziali in aumento esponenziale.

In questo quadro il presidente dovrà negoziare la propria sopravvivenza con una serie di mezzadri e qualche feudatario del vecchio regime. Il parlamento, sempre che l’esecutivo non venga scalzato nelle settimane a venire, non potrà più procrastinare la decentralizzazione e la questione dell’auto-governo dei territori sotto il controllo dei filo-russi.

Ecco perché Putin ha accettato di negoziare la ristrutturazione del debito da tre miliardi di dollari che l’Ucraina ha verso la Russia.

Per approfondire:
L’Ucraina tra noi e Putin, il numero di Limes del 2014 sulla crisi ucraina fra Majdan e il Donbas
La ‘Nuova Russia’ non decolla, di S. Cantone
Viaggio fra gli spettri delle province ribelli di Donec’k e Luhans’k. Ridotte in macerie, desolate e senza servizi. I leader degli insorti si travestono da statisti. Domina la sfiducia verso ‘quelli di Majdan’. Ma inizia a serpeggiare la stanchezza per la guerra.


Anniversari geopolitici del 20 novembre

1910 – Inizia la rivoluzione messicana

1910 – Muore Lev Tolstoj

1942 – Nasce Joe Biden

1945 – Inizia il processo di Norimberga

1975 – Muore Francisco Franco

1979 – Inizia l’attacco alla Mecca

 

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