23:17 — L’AUTOBIOGRAFIA DI SULTANA RAZON VERONESI—tutto è messo a nudo con semplicità perché dice Sultana ” io scrivo per i figli e i nipoti, prima che l’oblio e la morte ricoprano di un velo polveroso i pensieri e le esperienze di una vita” –articolo di Stefano Jesurum

“Quel giorno che Umberto mi disse: ho un figlio da un’altra”

L’autobiografia di Sultana Razon Veronesi doveva essere un memoir. È diventata una confessione

di Stefano Jesurum – 10 giugno 2013

Umberto Veronesi e Sultana Razon Veronesi.Umberto Veronesi e Sultana Razon Veronesi.

Una lunga, meticolosa cartella clinica. Redatta con il distacco misto a empatia per il paziente, tipico dei bravi medici. Che questa volta, però, appunta un decorso particolare, quello della propria esistenza. Ogni vita è un’avventura, alcune lo sono più di altre. Nel libroIl cuore, se potesse pensare Sultana Razon racconta i suoi 81 anni, anni ricchi di tragedie e felicità, anni apparentemente privi di vere sconfitte, ma non di umiliazioni. Il tutto messo a nudo con semplicità. Perché, dice la signora, lei scrive «per i figli e i nipoti, prima che l’oblio e la morte ricoprano di un velo polveroso i pensieri e le esperienze di una vita». Sultana, che si chiamava così da piccola ed è tornata a esserlo da vecchia, in mezzo era a disagio, si presentava come Susanna o Susy. Undicenne, con la famiglia (ebrei turchi) scende nell’Ade, varca i cancelli di Bergen-Belsen, e ne esce. Poi Milano, la povertà, lo studio come salvezza, notte dopo notte. I segni dell’Ade, la malattia, perde un rene. Il chiodo fisso, fin dal Lager, di fare Medicina. La laurea e la prima Fiat 600. La specialità in pediatria. Il grande amore, il “collega” Umberto Veronesi. La carriera. Sei bambini, non sempre facili. Quattro anni di incubo per una figlia malata. La gioia delle guarigioni, quelle private e quelle dei piccoli pazienti. I lutti. Le infedeltà del marito. Il tumore vinto. L’inganno. «In macchina Umberto disse improvvisamente: “Ti devo fare una confessione”. Guardando fisso la strada: “Ho un altro figlio di quattro anni”. Mi sentii gelare…». E ancora racconti, ricordi, storie. Fino alla diagnosi finale: «Devo ringraziare con amore e riconoscenza mio marito, che mi ha sempre sostenuto nei momenti difficili. Le sofferenze che mi ha inflitto, involontariamente o volutamente, devo considerarle, a posteriori, come il sale che ha dato sapore alla mia vita».

Elegante nel suo tailleur di lana azzurra, truccata, giro di perle al collo, si accomoda alla scrivania nel piccolo studio dove a farle compagnia ci sono decine di fotografie e il pianoforte di Alberto, il Veronesi direttore d’orchestra. Prende in mano il libro: «Avrebbe dovuto essere un regalo per la famiglia, pensavo a una quarantina di copie… ma un’amica di mia figlia lo legge e ci dice “perché non lo pubblichi?”». Che impressione le fa mettersi così a nudo? Un sorriso “furbo”: «Molte cose non le ho dette. Ai figli e agli amici non si può dire tutto, no? L’essenziale però c’è, ed era importante che lo raccontassi ». Svela anche un piccolo segreto (almeno per me che non lo sapevo): «Questa che lei ha letto è la seconda versione del libro… La prima l’ho ritirata dalle librerie, era già stampata. C’erano episodi, dettagli… non volevo entrare nella vita di altre famiglie o di altre persone, non volevo ferirli». Una donna particolare. Che giustamente ce l’ha a morte con i negazionisti («Ho scritto di Bergen-Belsen anche per questi farabutti»). Che, da medico e da madre, s’indigna con «le donne che vogliono fare il di più e non portano a vaccinare i figli, mettendo a rischio la salute dei propri e degli altrui bambini». Una donna che si è scoperta. E suo marito? Come l’ha presa? «Ma via, erano cose risapute! Sì, è vero, all’inizio un po’ si è offeso, però queste pagine non sono che un elogio alla sua personalità, alle sue qualità». È davvero, come recita il sottotitolo, una storia d’amore, ricerca e battaglie.

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Io donna

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