CARLA MELAZZINI ( Sondrio, 1944 – Napoli, 2009 ) –il suo libro pubblicato da Sellerio 2011, ” Insegnare al principe di Danimarca, a cui è stato dato il premio Giancarlo Siani. + I Maestri di strada ( qualcosa ) +++ con testi tratti dal libro di Sellerio

 

 

Viterbo News 24 - Foto Carla Melazzanini

 

Carla Melazzini (Sondrio, 1944 – Napoli, 14 dicembre 2009) è stata un’insegnante italiana e una “maestra di strada”.

Ha lavorato ispirandosi alle idee di Danilo Dolci e di don Lorenzo Milani.

 

 

Cesare Moreno.jpg

CESARE MORENO

notizie in :

https://www.maestridistrada.it/associazione/cesare_moreno

 

 

Progetto Chance

Il progetto venne promosso nel 1998, grazie alla legge 295/1997, da lei, dal marito Cesare Moreno e da Marco Rossi-Doria, ed è stata una delle iniziative italiane più note di scuole della seconda opportunità e scuole popolari. La sua finalità principale era quella di aiutare i ragazzi che avevano abbandonato gli studi a conseguire la licenza media.

 

È morta a Napoli nel 2009 e da quel momento, anche ad opera del marito Cesare Moreno, la sua attività è stata pubblicizzata a livello nazionale ed è stata argomento di approfondimento in varie occasioni.

Nel 2012 l’associazione Alexander Langer ha organizzato un convegno sul tema dell’educazione nelle periferie ed ha approfondito la sua esperienza

 

molte più notizie e riferimenti bibliografici nel link:

https://it.wikipedia.org/wiki/Carla_Melazzini

 

archivio delle memorie delle donne di napoli - Carla Melazzini

 

Una scuola dedicata a Carla Melazzini | Corriere della Valtellina

 

 

Carla Melazzini - Wikipedia

 

 

 

SELLERIO EDITORE Palermo

Sellerio, 2011

 

TRE RECENSIONI :

 

1.

DOPPIOZERO, 16 FEBBRAIO 2012

https://www.doppiozero.com/materiali/recensioni/carla-melazzini-insegnare-al-principe-di-danimarca

 

 

Carla Melazzini. Insegnare al principe di Danimarca

Andrea Giardina, storico e accademico

 

Capita talvolta di imbattersi in libri che costringono a modificare lo sguardo sulle cose. Alla categoria appartiene a pieno titolo Insegnare al principe di Danimarca (Sellerio).

Carla Melazzini, l’autrice, è stata una delle “maestre di strada” che dal 1998, per undici anni, ha portato avanti il “progetto Chance”, destinato ad offrire ai “ragazzi difficili” dei quartieri periferici di Napoli (Ponticelli, in particolare), la possibilità di terminare la scuola dell’obbligo. La memoria di questa esperienza si è trasformata in un libro assolutamente straordinario, che è uscito ad un anno e mezzo dalla morte di Melazzini, la cui personalità ricca e difficile viene ricostruita in appendice con commossa sobrietà da Cesare Moreno, suo compagno nella vita.

 

Non si esagera dicendo che la protagonista di Insegnare al principe di Danimarca è la scuola nella sua complessità. L’esperienza di Chance (di cui rimane traccia anche nel film Pesci combattenti) infatti diventa l’occasione per riflettere sul valore dell’insegnamento in una realtà attraversata da profondissimi cambiamenti, di fronte ai quali è evidente che non sia più possibile agire con criteri tradizionali.

Anticipando le conclusioni, possiamo dire che il libro è un invito rivolto agli insegnanti (tutti) affinché compiano una vera rivoluzione copernicana, rinunciando all’atteggiamento mentale con cui abitualmente si pensano e pensano al proprio lavoro e andando al di là di qualsiasi impostazione prefissata in partenza, di qualsiasi disperante ed irrealistica (lo sanno bene quelli che alla scuola ancora credono) “didattica per obiettivi” e, ancora, di ogni presunzione di “onnipotenza pedagogica”.

 

Insegnare al principe di Danimarca suggerisce che fare scuola significa – comunque, anche nelle algide atmosfere liceali – calarsi in un contesto vivo, fondato sulla relazione con gli studenti, sullo scambio di emozioni, sulla reciprocità, nella convinzione però che talvolta “esistono ostacoli psichici interiori e relazioni insane più forti della conoscenza del mondo esterno, e finché non si opera un cambiamento di contesto è difficile il cambiamento individuale”. A queste considerazioni Melazzini giunge passando attraverso la complicata necessità di aiutare – gettando un “ponte su un abisso” – i ragazzi disadattati, affettivamente deprivati, abituati a vivere in situazioni familiari disastrose, spesso legate alla complicata galassia del mondo criminale.

Confrontandosi con loro ha capito che fare l’insegnante vuol dire “dare significato alla parola”, perché è sullo scambio di parole che si fonda l’attività educativa. Ne consegue la necessità di saper “accogliere i silenzi, i veti, ma anche gli indizi, i suggerimenti, gli orientamenti da parte degli alunni, pena la perdita, appunto, della significanza”. La relazione buona, infatti, è quella in cui, non creandosi un rapporto di dipendenza (è il limite di tante azioni di volontariato sociale), “tu espliciti che stai ricevendo molto”.

 

Chance, su questi presupposti, ha mandato a gambe all’aria tante abitudini della scuola, a partire dall’atteggiamento sadico con cui si falciano le classi piene di studenti refrattari alla cultura, non rinunciando però all’idea che educare significhi comunque dare un ordine, un’organizzazione alla vita degli allievi. Venuto a cadere l’abituale steccato tra le diverse discipline, accentuata l’attenzione verso l’attività pratica ed artistica (vero linguaggio alternativo a quello verbale, capace di dare voce ad emozioni altrimenti inespresse), dato progressivamente spazio alle discussioni comuni e alle uscite di gruppo in città, introdotto pure la pratica della “paghetta”, Chance si è trasformata nella “casa”, lo spazio dove i ragazzi imparano non solo i “contenuti”, ma soprattutto le regole della convivenza civile, riuscendo finalmente (se non tutti, almeno alcuni) ad elaborare dei “progetti di vita” che possano sganciarli dal cortocircuito esistenziale nel quale sono congelati da generazioni.

 

Andando oltre ogni “retorica del diverso”, Melazzini ci descrive così le fisionomie spigolose dei ragazzi difficili, da Nunzia, con la sua doppia personalità, ora cauta e studiosa, ora insopportabilmente aggressiva; a Gennaro, il ragazzo obeso su cui la madre punta per ottenere una pensione di invalidità utile all’economia familiare, ad Enrico, il cui padre viene ucciso dalla camorra appena uscito dal carcere. Ne emergono soprattutto le tempestose ed imprevedibili paure di questi giovani, su tutte quella di allontanarsi dal luogo dove sono nati e cresciuti, perdendo così i propri deformi e abituali punti di riferimento. Averli portati al diploma di terza media ha assunto così un valore ben più ampio di quello a cui si può distrattamente pensare. Ha voluto dire che esistono modalità di esistenza opposte a quelle fondate sul welfare statale e camorristico, dove passivamente attendi che ti venga dato aiuto (e solo lo stato non pretende nulla in cambio). Esiste una vita oltre le mura del ghetto, oltre la logica del radicamento coatto e sterile.

 

 

 

 

 

— ALTRA RECENSIONE :

2. 

La Rivista Intelligente

 

ROSSANA CAU

ROSSANA CAU 12 Aprile 2019

 

 

 

LINK DELLA RIVISTA 

INSEGNARE AL PRINCIPE DI DANIMARCA di Carla Melazzini

 

Devo ringraziare Elena Comana e il suo #Elleseminarelibri anche per “Insegnare al principe di Danimarca” – è come una discesa agli Inferi e Carla Melazzini è il Virgilio che ci accompagna. Lasciate ogni speranza, o voi che entrate, perché ogni vostra illusione svanisce in un istante.

Il principe di Danimarca di Carla Melazzini vive nella cintura periferica di Napoli e, come Amleto odia l’uomo per il quale la madre ha abbandonato lui e i suoi fratelli, immagina il suo assassinio, gira armato di coltello, ha solo quindici anni ed è semianalfabeta, avendo abbandonato la scuola.

Carla col programma Chance riporta in classe questi ragazzini che vivono nei quartieri che sono sotto assedio della criminalità organizzata, vittime e complici allo stesso tempo. Dove la vita umana vale quasi niente e morire ammazzati in un agguato prima dei trent’anni è probabile. Quasi tutti i maschi delle famiglie sono in carcere o al camposanto.

Insieme al marito ha fondato la onlus “Maestri di Strada”, cui Saviano ha dedicato l’Orso d’argento per il film “La paranza dei bambini”.

Senza buonismi o illusioni di sorta nel libro «si racconta l’apprendistato di un gruppo di insegnanti di media cultura e umanità per conoscere le periferie della città e le periferie dell’animo degli adolescenti, cercando di stabilire con loro un dialogo educativo e di vita».

Si racconta della sfida giornaliera che le e gli insegnanti sanno di non poter vincere mai. Tentano e ritentano, affrontano mamme poco collaborative e ambienti criminogeni, dove la malavita si prende i ragazzini per farne bassa manovalanza, mette loro in mano armi, li autorizza a uccidere chi si ribella al Sistema.

Dove le ragazze sono costrette a fidanzarsi in casa a quindici anni e se sono carine i fidanzati possono lasciare loro in viso i segni dei morsi – come simboli di proprietà.

Si racconta di come gli insegnanti accompagnano questi adolescenti in un mondo del quale diffidano, di cui neppure conoscono la lingua – poiché l’italiano per loro è lingua straniera – che fa loro paura, come fa loro paura l’allontanarsi dagli ambienti sociali ai quali sono abituati.

Una delle materie d’insegnamento è proprio il mondo fuori, spaventoso per quanto è diverso, dove i ragazzi non sanno interagire. Se ci si riesce cambiano anche le dinamiche e la percezione di sé.

Ogni piccola cosa è una conquista anche per gli insegnanti che si son buttati senza paracadute, senza esperienze precedenti. E anche grazie alle volontarie dette “mamme sociali” che sostituiscono la figura genitoriale che in quei contesti con multiproblematicità manca, con l’aiuto e la collaborazione di tutti, passo dopo passo si è stabilito un protocollo non esente da errori e correzioni.

Carla Melazzini è nata in Valtellina nel 1944, ha studiato a Pisa, insieme al marito Cesare Moreno ha promosso e condotto per undici anni il «Progetto Chance» e nel 2000, grazie a una donazione del Presidente della Repubblica Ciampi, ha costituito l’associazione “Maestri di Strada” che segue i ragazzi con particolari difficoltà soprattutto nei quartieri di Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio. È morta il 14 dicembre del 2009. Questo libro lascia la sua preziosa testimonianza.

Carla Melazzini – Insegnare al principe di Danimarca – Sellerio editore Palermo, 272 p

 

 

 

3. 

— PRESENTAZIONE DEL LIBRO DA PARTE DI SELLERIO, L’EDITORE

 

In quartieri popolari e popolosi di Napoli «l’apprendistato di un gruppo di insegnanti di media cultura ed umanità per conoscere le periferie della città e le periferie dell’animo degli adolescenti, cercando di stabilire con loro un dialogo educativo e di vita».

Era dal tempo della Lettera a una professoressa che non leggevamo pagine così emozionanti. Come allora, si parla di ragazzi che frequentano una scuola speciale, e di chi se ne prende cura. Non siamo nell’esilio di una canonica del Mugello, qui, ma in quartieri popolari e popolosi di Napoli dov’è in vigore il Sistema; alle cronache piace chiamarli «il triangolo della morte».

L’autrice, Carla Melazzini, è, nella scrittura come nella vita, del tutto aliena dalla retorica e dall’indulgenza facile. Così, commozione, intelligenza e poesia stanno in questo libro con la asciutta naturalezza con cui può sbucare un fiore meraviglioso dalla crepa di un muro in rovina. Senza compiacersi dell’idea che la rovina sia necessaria ai fiori, e ne venga riscattata. Ne troverete di fiori in queste pagine, e di ragazzini fiorai, e anche di rovine.

Uno lo anticipiamo qui, è un tulipano finto, così come l’ha raccontato – salvo qualche errore di scrittura – una bambina che era stata bocciata in seconda elementare: «C’era una volta un fiore che non voleva essere un fiore, allora la fata dei fiori disse: “Se tu vuoi diventare un essere umano io ti accontenterò ma se non ti piace, ti dovrai rassegnare perché non potrai più essere un fiore”. Il fiore accettò e la fata lo toccò con la bacchetta e lo trasformò in un essere umano. Il fiore si rese conto che la vita era difficile. La fata allora lo fece diventare un tulipano finto, per non farlo morire, poi scomparì per sempre».

Carla ha chiesto a un compagno di classe: «Secondo te che cosa ha voluto dire Concetta con il suo racconto?». «Che il fiore non voleva morire e così la fata lo ha fatto diventare immortale». «Però l’ha trasformato in un tulipano finto! È meglio essere una persona umana e morire o essere un fiore finto e non morire mai?». «È meglio morire».

 

 

 

MAESTRI DI STRADA

https://www.maestridistrada.it/associazione/storia

 

L‘ASSOCIAZIONE

Educatori e professionisti, contro la dispersione scolastica

 

 

IL RICORDO DI CARLA MELAZZINI

 

 

10 anni fa….

Dicembre 2009 – 2019

Quest’anno ricorre il decennale della scomparsa di Carla Melazzini, fondatrice del progetto Chance, autrice de “Insegnare al principe di Danimarca”, nonchè moglie del nostro presidente Cesare Moreno.

 

Carla Melazzini era nata nelle lontane valli del nord al confini della Svizzera e al suo prima apparire a Napoli la chiamavano “la svezzese”. Carla aveva partecipato al nord e al sud alle lotte operaie e studentesche conservando lo sguardo incantato di chi è cresciuto a contatto con la natura e lo sguardo sensibile di chi conosce le ingiustizie sociali, per questo ci fa piacere presentare qui quello che lei scriveva a contatto con la realtà di questo quartiere, amando le donne, gli uomini e i ragazzi che qui vivono.

 

 

 

RICORDO DEL MARITO, CESARE MORENO, ATTUALE PRESIDENTE DELL’ORGANIZZAZIONE MAESTRI DI STRADA

 

Partiamo dalla lettere che Cesare Moreno scrisse sul suo blog per annunciare la perdita della sua amata moglie per poi analizzare alcuni dei suoi scritti poi raccolti ne “Insegnare al principe di Danimarca”.

 

Carla, maestra di strada e nostra maestra se ne è andata. Se ne è andata Carla. Il suo corpo sta qui vicino a me, freddo dopo una lunga malattia vissuta bene. Abbiamo fatto il nostro ultimo bagno di mare il 28 agosto, al mattino presto perché non poteva prendere il sole forte a causa della chemioterapia, quando la spiaggia è deserta, il cielo pallido, il mare piatto appena increspato da onde minute che si infrangono in silenzio. Bastava questo a farla stare bene, a farle dimenticare preoccupazioni e fatiche, la malattia. Era la stessa calma che da bambina aveva visto nelle acque del Pirlo, un laghetto alpino dell’aspra Valmalenco, dove il cielo si specchiava unendosi alla terra. Aveva voluto che vedessi il Pirlo e con lei avevo girato tutte la valli più interne della Valtellina e scalato alcune vette ghiacciate. Mi aveva portato anche in Val Madre, stretta e selvaggia, dove riteneva avere le sue vere radici: poche case ormai in rovina arroccate sull’alta sponda del torrente Madrasco, un piccolo cimitero abbandonato in cui Melazzini, e altri assonanti cognomi, erano padroni. Da questa valle venivano i fieri antenati, quelli che litigavano col vento, quelli che battevano il ferro col maglio idraulico, quelli che non pronunciavano una parola di troppo e spesso neppure quelle essenziali. I ritratti di questi antenati, come quello del nonno ‘maestro casaro’ stanno nella nostra stanza in una nicchia nel muro costruita centinaia di anni prima non si sa per quale motivo, ma diventato il nostro altare agli dei Lari e Penati. Qui c’è anche il ritratto dello zio Bruno, l’alpino che ha eroicamente compiuto la ritirata di Russia senza abbandonare i suoi uomini e sorreggendoli in ogni modo, i ritratti dell’ironico zio Teresio che dalla lontana Argentina continuava a scrivere divertenti storie in dialetto valtellinese, le foto di Giovanna che vive in Giappone e del Giardino di pietra, di Luisa e del suo figlio peruviano Elvis, e quella di una classe di scuola in Perù consistente in un vecchio banco posto in un prato a quattromila metri d’altezza sullo sfondo dei settemila delle Ande. In altri luoghi della casa, sui vetri delle librerie, ci sono altri ritratti: Freud, Nietzsche, Leopardi, Konrad, Dante, Tolstoi. Altri ne avrebbe messi solo se li avesse avuto a portata di mano, ad esempio Dostoevskij, Melville ….Queste e molte altre erano le sue radici, linee di nutrimento cha portano lontano nello spazio, nel tempo, ma soprattutto nella profondità dell’animo, in quelle zone dove la complessità e la complicazione del reale cedono di fronte alle emozioni più semplici, dove ritroviamo antiche paure, dolori sopiti. Carla ha custodito ostinatamente questi spazi da ogni invasione, dalla sua stessa invasione. I suoi scrittori preferiti, gli esploratori degli abissi le sono serviti a far visita a questi luoghi per interposta persona a parlarne a se stessa, a me suo compagno e ai suoi figli, senza mai nominare esplicitamente il proprio dolore. E ha dovuto fare forza a se stessa per generare figli, per poter esprimere attraverso la carne una speranza ed una promessa che l’animo le impediva. Prendere possesso della sua capacità di generazione è stata una fatica durata anni, e prendere possesso pieno della sua femminilità è stato ancora più difficile, è durato fino a pochi anni orsono. Negli anni dell’università la sua ritrosia era passata in proverbio, ha scoraggiato corteggiatori eccellenti con poche secche parolacce che lasciavano di stucco il pretendente che si aspettava da una persona riservata e diafana nell’aspetto parole miti e gentili. Come ‘capo’ del movimento degli studenti era così determinata che gli avversari non trovarono di meglio che scrivere sui muri gigantesche scritte ironiche sul suo conto. La determinazione ad affermare la propria identità contro ogni tentativo di cucirle indosso un vestito l’ha portata ad essere una delle poche persone se non l’unica ad abbandonare la Scuola Normale di Pisa di sua volontà e per dichiarata incompatibilità con un modo di fare cultura lontano dal reale. Tutti ammiravano la sua forza, la sua ostinata determinazione ad affermare le cose semplici e lei non lo sopportava, non sopportava che gli altri avessero tanta fiducia in lei, non voleva autorizzare nessuno a farlo eppure lo faceva sistematicamente perché ogni volta dopo quelle che io chiamavo ventate di ottimismo – in realtà fosche previsioni pessimistiche – con poche semplici parole riprendeva il cammino ed era tanto più seguita quanto più aveva dubitato dell’opportunità di avanzare. E poi protestava: ma chi li autorizza ad avere fiducia? La morte di Carla è come la morte di una pianta millenaria, muta ed immobile testimone di avvenimenti che nella sua prospettiva sono effimeri ed insieme nutrita da quanto le accade intorno, dal passare delle stagioni, dal calore del sole, dalla forza della terra. Quando muore una simile pianta per molto tempo niente cresce nei solchi un tempo occupati da radici vitali, ma col tempo tutto si trasforma in nuova linfa vitale. Io spero per noi che questo accada e che quanti le hanno voluto bene possano continuare a nutrirsi della sua forza. Cesare

 

Qui il ricordo un anno dopo, durante un suo soggiorno nella città natale della moglie:

https://www.maestridistrada.it/diario/view/56/a-carla

 

 

IN SEGUITO ALCUNI SCRITTI  TRATTI DAL LIBRO DI CARLA : INSEGNARE AL PRINCIPE DI DANIMARCA–

 

LI TROVATE QUI

https://www.maestridistrada.it/diario/view/307/carla-melazzini

 

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