L’angoscia del vuoto e la mancanza di qualunque senso possibile nei sani (in modifica)

A commento dell’articolo su Kay Jamison , appena pubblicato ieri (03-10-11) con il titolo “Malati famosi ci raccontano”,
Nemo scrive:       (Inviato il 03/10/2011 alle 21:51)

 

“”” ….la terapia psicoanalitica è senz’ altro efficace per la correzione delle dinamiche emotivo-relazionali e per i processi di simbolizzazione a partire dai quali prendono forma le modalità della nostra vita. Accade però che ci siano vissuti di sofferenza o comunque di disagio dovuti alla nostra particolare visione del mondo: troppo angusta per disporre di strumenti sufficienti per relativizzare il dolore, o priva di risposte in ordine a quel vissuto, oggi sempre più diffuso, relativo alla insignificanza della propria esistenza che non riesce a reperire un senso e una ragione soddisfacente per vivere. [ … ] . Un tempo era la religione a offrire un senso all’ esistenza, oggi che le speranze ultraterrene si sono affievolite, cosa meglio della filosofia può inaugurare una riflessione in grado di reperire una risposta a questa incessante e dolorosa domanda di senso ? … “” (sottolineature di Chiara)
( Umberto Galimberti in D la Repubblica del 1° Ottobre 2011 )

 

 

Come dice la Peperita Patty (Schulz) “chiedere e ottenere non sono la stessa cosa”. Infatti, con questo testo di Krisnamurti, che pubblico dopo  due chiacchiere , non ho la minima pretesa di rispondere al vuoto e alla mancanza di senso  che caratterizza la nostra epoca da quando “tutte le cornici”, tutte le ideologie religiose e laiche che  “ci inquadravano”, pur liberamente e per nostra “scelta”, in una struttura piena di significato, un ideale di cambiamento o addirittura di rivoluzione di questo mondo, in cui “dobbiamo starci” (perché il suicidio, magari, non fa parte della nostra cultura) , ma ci stiamo  ” a disagio”, quando non con angoscia e sofferenza. Come tutti sappiamo, questi grandi quadri di cui eravamo personaggi o comparse, non ci sono più o zoppicano da tutte le parti. Siamo in una situazione che definirei, un po’ trivialmente, così: ” ingoiamo il piattume che caratterizza la realtà di oggi,  e per farlo abbiamo bisogno di illusioni, solide come un delirio (convinzioni, fabbricate da noi per la nostra tranquillità, che nessun dubbio possa sfiorare e men che meno buttare giù).

Ma, se la nostra mente non ha questa capacità allucinatoria, oppure non vogliamo “adattarci”, allora, quello che chiamo “il piattume”, “il non senso di tutto” si insinua nella nostra mente e nella nostra anima contaminandoci, al punto che, in certi momenti di sconforto, non lo distinguiamo più da noi stessi : piatti e vuoti noi stessi, spalmati sul mondo esterno, “omologati” è un “must”), perché la lotta tra un individuo e il mondo, non la regge neanche il gigante dalle sette teste.

Sono morte le vecchie concezioni del mondo, e per ora non sembrano sorgerne delle nuove, ci regalino cioè quella motivazione a proseguire verso un obbiettivo  e un senso che arrivano a delinearci un’identità possibile, unh abito in cui stare a nostro agio.

C’è chi silega  alla grande cornice della nostra epoca, dove la maggioranza di noi si butta per trovare “un valido” (ve lo ricordate quest’altro “must”?) significato che ci faccia alzare presto al mattino ed uscire di casa correndo, combattere e sgomitare “senza preconcetti” per “fare soldi, inculare l’altro prima che ci inculi lui, comprare, comprare sempre di più, per acquistare uno status “riconosciuto” dagli altri ( è solo questo rimando di immagine che dà fondamenta al nostro esistere) come abitassimo in una vetrina o in un teatro di puri veli (apparire / mi raccomando/ e non essere!).

Quello che perseguiamo più di tutto è “imporci a modello” agli altri, stare su un piedistallo da cui guardare, laggiù,  “la massa”, squallida per definizione: viviamo per farci vedere, ammirare ed invidiare perché, prima di tutto, “essere spettacolo”, “essere pura apparenza” è diventato il valore supremo, ma anche perché assolutamente “dobbiamo” (“noi che possiamo”) rifiutare, con qualunque artificio o illusione, la massificazione dei bisogni e di identità e, ancor più di cervelli, che ci ha portato la globalizzazione in quasi quarant’anni. “Noi siamo diversi”, può essere lo scopo di una vita.

Veramente la globalizzazione c’era già con Alessandro Magno e con l’Impero romano; reinventata ampliandola a nuovi importantissimi territori nel Cinquecento, è continuata ad estendersi con l’Impero Inglese nell’Ottocento e poi, in tappe varie, ha coperto i più piccoli anfratti del mondo intero (“totale”), negli ultimi decenni del Novecento fino ad oggi. Ma la grande differenza non è solo l’ampiezza cui la nostra testa ha dovuto adeguarsi, ma la velocità degli scambi  e delle notizie che alcuni sanno sfruttare, a noi, gente-massa, essere continuamente invasi dagli stimoli più  contradditori sempre più veloci, come abitassimo una giostra impazzita…fa diventare il nostro cervello e la nostra anima, appunto, una giostra impazzita, che ha perso ogni possibile senso dell’orientamento perché  punti di riferimento vagamente stabili non solo non ci sono più, ma appena mi fisso su un punto qualsiasi, questo in un attimo scompare nel nulla, e tento su un altro, stesso destino…finché capisco che l’unica certezza che posso avere è l’incertezza,  camminare su un a terra che si sbriciola sotto i nostri passi e cosa ancora più grave, “non capire più nulla” perché gli strumenti che ci eravamo fatti negli anni, ci restano come peso inutile nelle mani. come bulloni di una macchina che da tempo non esiste più.

Tutte cose che si sanno, ma questa mattina mi sono svegliata con questo in testa e dovevo raccontarvelo… come fosse una scoperta nuova!

Finisco con una breve nota sulla psicoanalisi o qualunque altra terapia: la terapia ci dà “quello che cerchiamo di ottenere noi, pazienti o non pazienti, con il nostro lavoro su noi stessi”: può darci “un aggiustamento e un maggiore equilibrio”, come dice il prof. Galimberti, ma può darci anche una conoscenza di noi stessi che ci permette “di guardare con coscienza tranquilla l’immenso della materia” (citaz. per come la ricordo di Lucrezio). Una filosofia? Lucrezio, seguace di Epicuro, lo credeva.

Adesso all’autore: “Cosa significa rapporto?” di J. Krishnamurti (1981)


L’amore per gli alberi è, o dovrebbe essere, parte della nostra natura, come respirare. Gli alberi fanno parte della terra come noi, pieni di bellezza, con quel loro strano distacco. Così immobili, pieni di foglie, ricchi e luminosi, proiettano le loro lunghe ombre e la loro gioia selvaggia quando soffia la bufera. Tutte le foglie, anche quelle sul ramo più alto, danzano al minimo soffio di brezza, e l’ombra è accogliente, quando il sole batte forte. Seduti con la schiena contro il tronco, se rimanete in silenzio, stabilite un rapporto durevole con la natura. I più hanno perso questo rapporto; quando passano in automobile o risalgono queste colline chiacchierando, vedono tutte queste montagne, queste valli, i corsi d’acqua e le migliaia di alberi, ma sono troppo assorbiti nei loro problemi per guardarsi intorno e rimanere in silenzio. Un pennacchio di fumo si alza lungo la valle, e sotto passa un autocarro, carico di tronchi appena recisi, non ancora scortecciati. Un gruppo di ragazzi e di ragazze passa chiacchierando, facendo fremere l’immobilità del bosco.
La morte di un albero, nel momento finale, a differenza di quella dell’uomo, è bella. Un albero morto nel deserto, senza più corteccia, ripulito dal sole e dal vento, con tutti i rami nudi spalancati al cielo, è una visione meravigliosa. Una grande sequoia, vecchia di molte centinaia di anni, viene abbattuta in pochi minuti per fare recinzioni e sedili, per costruire case o per arricchire la terra in un giardino. Quel meraviglioso gigante è morto. L’uomo avanza nel cuore delle foreste, distruggendole per creare pascoli e costruire case. Le regioni vergini stanno scomparendo. C’è una valle, circondata da colline che forse sono le più antiche della terra, dove i ghepardi, gli orsi e il daino, che un tempo era possibile vedere, ora sono completamente scomparsi, perché l’uomo è arrivato dappertutto. La bellezza della terra viene lentamente distrutta e inquinata. Macchine e costruzioni a più piani stanno facendo la loro comparsa nei luoghi più inaspettati. Quando perdete il rapporto con la natura e con i cieli immensi, perdete ogni rapporto con l’uomo.

Arrivò insieme alla moglie e parlò quasi sempre lui. Lei era piuttosto timida, e aveva l’aria intelligente. Lui era piuttosto arrogante, e aveva l’aria aggressiva. Disse di essere stato presente a qualcuno dei miei discorsi dopo aver letto uno o due libri e aver assistito a qualche dialogo. ” In realtà, siamo venuti a parlare con lei personalmente del nostro problema più grosso, e spero di non averla disturbata. Abbiamo due figli, un maschio e una femmina che vanno a scuola, fortunatamente per loro. Non vogliamo infliggergli le tensioni che ci sono tra noi, anche se prima o poi le avvertiranno. Mia moglie e io siamo molto innamorati; non userei la parola amore, perché ho capito che cosa lei intende con questo termine. Ci siamo sposati abbastanza giovani; abbiamo una bella casa e un piccolo giardino. Il denaro non rappresenta per noi un problema. Lei sta bene di suo, e io lavoro, anche se mio padre mi ha lasciato qualcosa. Non siamo venuti da lei come da un consulente matrimoniale, ma vogliamo discutere con lei, se ce lo consente, il nostro rapporto. Mia moglie è piuttosto riservata, ma io sono sicuro che fra poco parteciperà anche lei alla discussione. Eravamo d’accordo che avrei incominciato io.
Abbiamo grossi problemi di rapporto. Ne abbiamo parlato spesso, ma non ne è venuto fuori niente. Dopo questa premessa, la domanda che vorrei farle è la seguente: che cosa c’è di sbagliato nel nostro rapporto, e che cos’è il rapporto giusto?”.
Che rapporto avete con queste nuvole, piene della luce della sera, o con questi alberi silenziosi? Non è una domanda a sproposito. Vedete quei ragazzi che giocano là, in quel campo, quella vecchia auto? Quando vedete tutto questo, vi chiedo, qual è la vostra reazione? “Non lo so con esattezza. Mi piace vedere i bambini che giocano. E anche a mia moglie piace. Per quelle nuvole o quell’albero non ho sentimenti speciali. Non ci ho pensato; probabilmente non li ho neanche mai guardati”.
La moglie disse: “Io sì. Per me hanno un significato, ma non riesco a dirlo a parole. I bambini là fuori potrebbero essere i miei figli. Dopo tutto, sono una madre”. Signore, guardi quelle nuvole e quell’albero, come se li vedesse per la
prima volta. Li guardi senza che il pensiero interferisca o divaghi. Li guardi senza definirli ‘nuvole’ o ‘albero’. Li guardi semplicemente con il cuore e con gli occhi. Appartengono alla terra come noi, come quei bambini, e come quella vecchia auto. Dar loro un nome fa parte del pensiero.
“Guardarli senza ricorrere alle parole sembra quasi impossibile. La forma è la parola”. Quindi le parole svolgono un ruolo molto importante nella nostra vita. Sembra che la nostra vita sia un intreccio di parole complicate, legate tra loro.
Le parole esercitano una grossa influenza su di noi: parole come dio, democrazia, libertà, totalitarismo. Evocano tutte immagini familiari. Le parole moglie e marito fanno parte delle nostre espressioni quotidiane.
Ma la parola moglie non è in realtà la persona in carne e ossa, con le sue complessità e i suoi problemi. Quindi la parola non è mai la realtà. Quando la parola assume un’importanza totalizzante, la vita, la realtà , viene trascurata.
“Ma non posso sfuggire alla parola e all’immagine che essa evoca”. Non possiamo separare la parola e l’immagine. La parola è l’immagine. Osservare senza parola/immagine, questo è il problema.
“Ma è impossibile!”. Se permette, lei non ha cercato di farlo seriamente. La parola impossibile blocca in lei la possibilità di farlo. Non dica, la prego, che è possibile o impossibile, ma lo faccia semplicemente.


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2 risposte a L’angoscia del vuoto e la mancanza di qualunque senso possibile nei sani (in modifica)

  1. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Ho sempre sentito che tutte le creature, rocce comprese, hanno dentro di se’ qualcosa che ci parla, se riusciamo o vogliamo ascoltarlo. Facciamo parte di questa cosa misteriosa che è l’universo. E’ un pensiero che in qualche modo mi dà pace. e mi permette , forse, di essere più buona. Credo che l’albero, la pianta, una nuvola, un cielo azzurro o il mare in burrasca possano non so come trasmetterci qualcosa di grande di cui sentiamo, se riusciamo a fare silenzio dentro di noif, di far parte.

  2. nemo scrive:

    ” … il paesaggio è una consolazione … ” ( Francesco Biamonti )

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