Con un po’ di coraggio, dopo la parte III ( post sg. ) pubblico la prima e la seconda parte…messe sul blog nel 2011–

 

 

INTRODUZIONE PARTE  I

 

 

UN INIZIO ECCESSIVAMENTE AVVENTUROSO…

 

La ragione immediata di questo scritto è che avendo scritto diari per quarant’anni, oggi ho uno straordinario bisogno di apertura e di interlocutori.

 

Dopo tanti anni di raccoglimento e chiusura, di solitudine e desolazione, la mia mente funziona oggi solo nel dialogo con un altro. E, adesso che sono passati più di dieci anni che sto bene, con tanti altri.

 

Ho sempre annotato su una lunga serie di quaderni cosa stava succedendo dentro di me, perché molto presto mi sono accorta che questo alleviava la mia ansia e la mia confusione.

 

Ero anche convinta che capire fosse la cosa che mi servisse di più: questa convinzione mi veniva dall’esperienza della meditazione cristiana.

 

Del resto, anche oggi, non potrei sopravvivere se non avessi dentro di me gli strumenti per accorgermi rapidamente di cosa accade nel mio mondo mentale e potervi far fronte.

 

 

Il viaggio che ho intrapreso a dodici anni nel mio mondo interno mi ha affascinato come il mondo esterno non riusciva a fare.

Ero meravigliata dai giochi che la mente fa per non scoprirsi, dai bluff nei quali rimaniamo irretiti e dalla lotta sorda contro ogni modificazione che vogliamo introdurre.

 

E anche dalla terrificante lentezza necessaria perché una modificazione avvenga veramente.

 

Mi accorgevo, nello stesso tempo, che uno stato d’animo depressivo, una speciale stanchezza, una malattia fisica, facilmente mi portava indietro a stadi anteriori, anche se non inesorabilmente.

All’epoca studiavo l’Odissea e mi sentivo come Ulisse che non riusciva, e non voleva, ritornare a Itaca per troppe avventure.

 

Anch’io non volevo limiti.

 

Dovevo esplorare la mia mente in ogni recesso nascosto, ogni terra e ogni isola, ogni mare lontano fino ad arrivare al regno dei morti che per me significava il dominio dei sogni.

 

Un bisogno di infinito molto grande e anche un coraggio che non si fermava davanti a niente (sostenuto com’era da una certa onnipotenza) mi spingevano fino ai limiti della conoscenza umana e della mia mente.

 

 

Ma, dopo tanti anni e tante esperienze, Ulisse torna dalla sua sposa.

 

E anch’io, oggi, sono ritornata dal mio viaggio periglioso, anche se questo mondo interno non ha cessato di incantarmi.

 

Dentro mi è rimasta la stessa voglia di girovagare per il mare aperto, ma una cosa è cambiata.

 

Oggi parto da un porto sicuro e, soprattutto, so che a questo posso ritornare.

 

 

Non ho più il terrore, né il bisogno, così tipico dei malati di mente, di perdermi in Oceani aperti.

 

Niente è più spaventoso che frantumarsi negli spazi siderali.

 

Questa esperienza di “perdersi” negli spazi e nei tempi infiniti deve essere sufficientemente ripetuta per poter arrivare a “capire”.

 

E’ necessario (a me è stato necessario) che innumerevoli volte ci si riduca ad essere la minuscola polvere di un astro disperso lontano nell’infinito universo buio…

Se ne viva l’incomunicabile angoscia…

E poi, se ci si salva (non tutti si salvano)…

Si parta pazientemente per quella che sembra sempre la fatica di Sisifo…

dal momento che l’abbiamo ripetuta innumerevoli volte inutilmente…

fatica che è la minuta ricostruzione, pezzetto per pezzetto, della nostra identità.

 

Questa esperienza così immane e così dura, cura anche da un bisogno di assoluto così straordinario come avevo io.

Questa sofferenza inenarrabile, se ripetuta, convince anche i più recalcitranti a darsi dei limiti.

 

Quando alla fine si apprende la necessita di limitare la propria onnipotenza e darsi dei confini, si può dire che si è vinta la malattia.

 

 

 

INTRODUZIONE:

II . Ho scelto di stare sulla Terra

 

 

Oggi appartengo alla Terra, e il Cielo mi sta di fronte, lontano da me.

Non è dentro di me, ma è un mio interlocutore, se si può dire… bellissimo in tutto il suo fiammeggiare di luci calme e gentili.

 

Un’esperienza appagante e serena, che mi dà, per un attimo, la sensazione di vivere nell’infinito. Ma quando ho questa percezione così esaltante, sento anche che ho un corpo, e questo corpo, che ho appreso faticosamente ad amare, mi riporta ai fiori e alle piante che mi circondano, ai pesci, alle farfalle, insomma a tutte le bellezze terrene che nascono, vivono un attimo e poi muoiono.

 

Conosco l’origine di questa passione mistica che mi permetteva di “vivere tra gli angeli”, ma, dopo una grossa crisi intorno ai quindici anni ( di cui parlerò in seguito), questo bisogno di infinito è stato, per così dire, “decapitato”. Di colpo sono rimasta esclusivamente con il “finito” “il concreto”, senza però aver mai avuto in precedenza alcuna preparazione a conviverci.

Questo catapultarmi in una realtà speculare e opposta a quella in cui ero vissuta, mi ha lasciato un peso così grande dentro come fossi diventata di granito.

 

La necessità di assoluto si è trasformata in un bisogno di eternizzare tutto e, nello stesso tempo, di immobilismo, come avessi subito una forte inibizione di tutte le mie facoltà.

Non so dire quale potesse essere il significato di tutto questo, molto probabilmente un rifiuto radicale sia della vita che della morte.

 

La vita scorre, taglia, cuce, rompe, aggiusta, fa tante piccole “morti”, tanti piccoli “abbandoni” perché è viva, si muove, obbliga ad adattarsi continuamente, corre via, lascia cadere le cose.

Io non potevo adattarmi a niente, non potevo tollerare il più piccolo abbandono, e “abbandono” era per me anche una persona che mi salutava di malavoglia…

Vivevo attraverso un’unica costante che non poteva
assolutamente essere modificata: e questa costante era, naturalmente, il dolore.

 

Mi aggrappavo alla mia enorme sofferenza come all’unico scoglio rimasto al naufrago.

Quella era l’unica realtà che ancora mi teneva in vita, il dolore era diventata la mia anima perché io non avevo altra “spina dorsale”.

Tutto questo avveniva perché ormai ero chiaramente malata di mente, anche se nessuno se ne accorgeva dal mio comportamento.

 

Ma io non potevo non saperlo.

Avevo chiesto al clinico di famiglia di mandarmi da uno psichiatra. Questi si era letteralmente messo le mani nei capelli, dicendo che se mi fossi avviata per quella strada non ne sarei più uscita viva.

Nella mia ignoranza, mi ero fidata della sua.

Mi aveva prescritto dei tranquillanti.

Ma allora avevo sedici anni, e preferirei raccontare dell’oggi, anche se oggi ne ho sessant’uno.

 

 

 

Il fatto che abbia, oggi, un porto da cui partire e, soprattutto, a cui tornare, con una rotta precisa da seguire, anche se con una certa possibilità di “andirivieni”, è, a mio parere, il risultato più importante di tanti anni di psicoanalisi.

 

Ho una “casa” dentro di me, “un’appartenenza”, che vuol dire avere una “patria”, con la conseguenza che dentro questa patria mi è riconosciuta un’esistenza di diritto, “perché sono un cittadino che pago le tasse” ( Mi è uscita come una battuta, ma credo di voler dire che ho un rapporto creativo con le figure che compongono il mio mondo interno).

 

Così ho finalmente delle radici mie che, però, contemporaneamente, riconosco appartenere ad un vecchio ceppo dove ci sono i miei genitori, e i miei nonni fino ai bisnonni, di cui so tanti racconti, ma che non ho conosciuto.

 

Invece di disperdere la mia immagine nell’infinito universo, oggi ho uno specchio costante in cui mi vedo nel presente e nel passato, anche nel più lontano, addirittura quando ero nella pancia di mia mamma e mia madre scappava spaventata dalla guerra. Insieme a me, in questo specchio, compare, oltre alla mia famiglia, che sta in grande evidenza, proprio nei primi posti, una piccola tribù di persone con le quali sono legata da amicizia fin dall’infanzia, tutte persone che mi sono state vicine in tutto il mio cammino.

 

A me pare di raccontare una cosa molto bella cioè quella di avere un’identità costante e serena, cosa che la maggioranza delle persone probabilmente ha spontaneamente dalla vita, mentre a me è costata molti anni di lavoro. Ma, anche così, mi è difficile comunicare la serenità e la felicità che sento tutti i giorni.

 

E, sento anche, se si può confessare, l’orgoglio di essermela conquistata questa felicità.

Mi ricordo bene degli anni in cui solo il dolore mi teneva in piedi e dell’immane difficoltà a sostituirlo con “un’anima vera”.

 

Come ho fatto?

Posso dire con franchezza di non essermi mai tirata indietro davanti a nessun drago, neanche davanti a quelli dalle mille teste, ho affrontato tutti gli spettri più orrendi che uscivano dalla mia testa e, in tanti anni di isolamento, ci se ne erano annidati parecchi.

Ho dovuto smantellare tutto un mondo fantastico che mi ero fabbricata a mio uso e consumo, nel quale vivevo solo io.

Ho dovuto così reggere, per poterlo fare, una sofferenza inaudita che mi ha obbligato a dilatare le mie capacità di sopportazione in una maniera che non sospettavo possibile.

 

Oggi ho sconfitto i diavoli maligni che mi spingevano ad angosce continue e al suicidio, tanto è vero che la mia mente conosce la serenità e la gioia.

 

Se guardo al percorso di trent’anni di lavoro della mia mente, mattoncino per mattoncino, vedo un lavoro indefesso.

Questo tipo di lavoro ritorna in parte, anche se più blando, nei momenti delle piccole crisi, che, però, grazie al Cielo riesco ad arginare subito.

 

Vista così dall’alto, mi pare che la mia mente sia talmente trasformata da non essere neanche più la mia mente originaria, ma una “costruzione” del mio lavoro e delle persone che mi hanno seguito, principalmente gli psicoanalisti e gli psichiatri.

 

E mi chiedo se tanta tranquillità sia possibile perché la psicoterapia, le connessioni cerebrali nuove che questa ha stabilito, hanno potuto produrre un’alterazione genica, come sostiene il grande neuroscienziato Eric Kandel.

 

Voglio riportare una sua affermazione perché è troppo interessante:

“E’ affascinante pensare al successo della psicoanalisi nel produrre modificazioni persistenti delle attitudini, abitudini, e comportamenti consci e inconsci, producendo alterazioni nell’espressione genica che portano a modificazioni strutturali nel cervello”

(Eric R. Kandel, Biology and the future of psychoanalysis: a new intelectual framework for psychiatry revisited. American Journal Of Psychiatry, 1999 Apr;156($):505-24)

 

Mi dispiace di aver dovuto appesantire il racconto con una citazione dotta, ma, secondo me, questa è l’unica spiegazione che potrebbe giustificare il grande cambiamento si è verificato in me.

 

Certamente bisognerà aspettare che questa scoperta sia comprovata da altri scienziati, anche se a Kandel, per i suoi studi sulla memoria (ricerche che si basano su questa teoria dell’ereditarietà) è già stato assegnato il Nobel.

 

Non dimentico, con questo, il grande cambiamento prodotto dalle medicine che, per me, è stato enormemente significativo, e che racconterò in seguito.

Quello che penso è che entrambi abbiano agito congiuntamente in funzione di una trasformazione che non esito a chiamare molto grande.

 

Vorrei aggiungere infine, come cosa principale, che sia la psicoterapia che la psichiatria ci danno degli input che ogni giorno, nei nostri rapporti, lavoriamo e mettiamo a frutto o lasciamo cadere. Questo per dire che la vera grande trasformatrice è la nostra vita e i nostri rapporti, sui quali agiamo, ma dai quali, se si può dire, “siamo agiti”.

 

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2 risposte a Con un po’ di coraggio, dopo la parte III ( post sg. ) pubblico la prima e la seconda parte…messe sul blog nel 2011–

  1. roberto scrive:

    che dirti? l’ho fatto leggere ad Alessandra. Nella prima parte ci si è ritrovata, nella seconda dice che non c’è ancora arrivata e, chiaramente, dubito avrà il tempo di arrivarci. Purtroppo. Ma non è stata tutta una vita di sofferenza la sua, malgrado la mia vicinanza ( so essere assai pesante, a volte), abbiamo passato momenti piacevoli e sereni. Momenti, anni.
    Però è vero, anche ora, mentre mi spiegava cosa l’avvicinava al tuo scritto e cosa ancora non sentiva, vedevo la sofferenza mentre cercava di spiegarmi la suo sofferenza interiore che credo, ahimè, ci sia sempre malgrado i momenti di piacere..si nasconde ma è sempre pronta a ghermirti.
    Domani o più tardi le proporrò di leggere la terza parte che hai messo per prima. Le ho già detto che ci sono dei miei commenti …. ma se vuole leggerli, non credo ci sia qualcosa che non sappia già.
    Grazie Chiara, è sempre bello sentirti!

    • Chiara Salvini scrive:

      CHE BEL REGALO MI AVETE FATTO TUTTI E DUE… ! SEI BRAVO A RITRARRE LE PERSONE ANCHE PSICOLOGICAMENTE, PARLO DI ALESSANDRA. MAGARI LEI NON SOTTOSCRIVERA’ TUTTO, MA A ME SEMBRA DIVENTATA UN’AMICA.

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